La seconda semifinale dell’Eurovision 2025 ha superato ogni aspettativa: un turbine di look eccessivi, drammi coreografati, microfoni volanti e outfit al limite del surreale. Sul palco di Basilea non si è solo cantato: si è sfilato, si è pianto, si è ballato come se fosse l’ultima notte sulla Terra. E tra body in pelle, abiti di paillettes, bambole ribelli e regine medievali, la moda ha avuto la sua rivincita.
Australia, il sex appeal anni ’70. Voto: 6
Go-Jo, all’anagrafe Jordan Gough, ex rugbista australiano diventato virale su TikTok, si presenta all’Eurovision con un pezzo funk-pop che ha il groove giusto, ma poca sostanza. Milkshake Man strizza l’occhio a sonorità anni ’70 con un beat accattivante e coreografie scanzonate, che però sembrano più da pubblicità di cereali che da palco eurovisivo.
Il cambio d’abito azzurro è uno dei momenti più cool della sua esibizione: brillante, semplice ma efficace, esalta il suo fisico scolpito e le sue vibes da poster boy. Ma il testo – volutamente ironico e allusivo – finisce per scadere in un gioco di metafore sessuali tra il latte e altro che sa tanto di provocazione gratuita. Lui resta bello, certo, ma la canzone non lascia davvero nulla. E tra un coro in stile Michael Jackson e un balletto simpatico, ci chiediamo se non si potesse osare di più, con meno TikTok e più musica.
Irlanda, una favola tamarra. Voto: 6,5
L’idea di base è commovente: riscrivere la storia di Laika, la prima cagnetta mandata nello spazio, con una festa glitterata in suo onore. Emmy prende questo spunto e lo trasforma in Laika Party, un tripudio di luci da club anni 2000, tutine argentate, atmosfera da alieno e beat truzzi.
Il risultato? Una performance talmente kitsch da diventare ipnotica. Lei, vestita da regina dello spazio, resta ferma sul piedistallo come un’icona pop congelata nel tempo. Intorno a lei ballerine che sembrano uscite da un musical intergalattico ballano sotto led fluo e stelle artificiali. Il trucco e il parrucco sono ben studiati – glitterati al punto giusto – ma manca forse un’evoluzione scenica. È un’operazione interessante, che mescola nostalgia e frivolezza, ma la voce e la presenza scenica di Emmy restano un po’ piatte. Ci aspettavamo un volo sulla luna, è arrivata una corsa su una giostra.

Lettonia, fate baltiche che cantano con una potenza mistica. Voto: 8,5
Le Tautumeitas non si limitano a cantare: incantano. Bur man laimi, che significa “Incantami la fortuna”, è una preghiera potente, quasi sciamanica, che fonde tradizione lettone, mitologia e vocalità ipnotiche. Sono in sei, vestite come ninfee-aliene venute dal profondo nord, e la loro presenza sul palco è magnetica.
I loro abiti sembrano usciti da un sogno baltico: elementi tradizionali fusi con tagli moderni, dettagli argento, trasparenze rituali. Ciascuna canta con una tecnica diversa: si passa da voci di testa ad armonizzazioni arcaiche, con tamburi tribali e bassi elettronici che trasformano la ballata in un’esperienza sensoriale. Ballano in cerchio, creando immagini di sorellanza e magia. Tutto è costruito come un rituale visivo e sonoro, e funziona. Un inno femminile, mistico e potente, che ci ricorda che l’Eurovision è anche questo: linguaggio popolare ed evocazione ancestrale.

Regno Unito, superchicche country-pop in overdose da glitter. Voto: 7
Le Remember Monday sono l’incarnazione delle Winx britanniche. Il loro brano What the Hell Just Happened? è un ibrido tra pop e country con armonizzazioni da manuale e una coreografia da fiaba pop. Vestite come principesse Gen Z (menzione d’onore per la bionda in rosa con i boots più kitsch della serata), si muovono tra un chandelier sospeso e un’atmosfera da musical di Broadway.
La canzone è fresca, ironica e radiofonica, anche se non brilla per originalità. Ma il vero problema è uno: una delle tre, diciamolo, non sa cantare. Stona un po’ troppo per essere perdonata. Ciononostante, l’effetto visivo è iper-femminile e irresistibile, e la loro intesa sul palco è contagiosa. Una performance perfetta per TikTok, meno per Spotify.
Malta, leopardata sexy e diva queer: Miriana spacca tutto. Voto: 9
Miriana Conte non canta solo: serve. Serving, nel gergo pop, vuol dire “dare tutto”, e lei lo fa senza freni. L’artista maltese con sangue napoletano è un’esplosione di sensualità e stile urban: capelli rossi fiamma, calze a rete, body leopardato con perizoma a vista e atteggiamento da superstar.
È una performance che strizza l’occhio a David LaChapelle, tra estetica da pride e potenza da club. Ma non è solo forma: la voce c’è, la coreografia è solida, l’attitude è quella giusta. Il pezzo è pop-R&B con punte rap, cantato con sicurezza e grinta. Il palco diventa un set cinematografico queer, con ballerini e visual a tema ribellione, libertà, anticonformismo. Miriana si muove come se stesse dominando una passerella e un’arena nello stesso momento. Per l’Eurovision, è un piccolo terremoto fashion-politico. Applausi veri.

Danimarca, electropop sognante tra body blu e stivali da club. Voto: 7,5
Sissal entra in scena avvolta in un cappotto misterioso, poi si spoglia e mostra un body blu luccicante con stivali sopra la coscia: look perfettamente coerente con il suo dream-pop elettronico. Hallucination è un brano che fluttua, costruito su voci eteree, sintetizzatori anni ’90 e una malinconia dolceamara.
Lei è magnetica: non ha bisogno di urlare, né di esplodere. È tutta atmosfera. Il testo affronta la fragilità mentale, l’illusione, il confine sottile tra sogno e realtà. La regia è pulita, la palette cromatica gioca sui blu e argento, e l’effetto finale è elegante. Forse un po’ troppo composto per lasciare il segno in mezzo a tante esibizioni barocche. Ma chi ama l’electro nordico minimalista qui trova pane per i denti.
Israele, cristallo, lingue intrecciate e rinascita tra le macerie. Voto: 8
Yuval Raphael sale su una scala di cristallo come se stesse lasciando indietro un mondo spezzato. New Day Will Rise è un brano trilingue – inglese, francese, ebraico – che mescola gospel, pop e soul in un crescendo emozionale. Lei (o meglio, la sua voce) incarna la sopravvissuta: tuta nera con maniche scenografiche, giochi di luce dorati che simulano l’alba, un’aura che profuma di guarigione.
Sul palco è un’agente di luce in un castello frantumato, tra specchi e vetri. Il coro finale è potente, con una regia che le gira intorno mentre sale verso la cima. Il contesto politico fa da sottofondo pesante e la sua presenza lo eleva senza mai cadere nella retorica. Una performance piena di grazia e dignità.
Finlandia, dominatrice disco su razzo volante. Voto: 9,5
Erika Vikman non ha bisogno di spiegazioni: entra in body di pelle nera con borchie, seno bene in vista, stivali altissimi e sguardo da regina delle nevi sadomaso. Ich komme, già dal titolo, gioca su doppi sensi esilaranti (“sto arrivando”, ma anche no…). Il pezzo è dance-pop anni ’80, sporcato di camp e kitsch scintillante, con coreografia sexy e ironica. A un certo punto lei sale su un microfono gigante trasformato in razzo e lo cavalca. Letteralmente.
Dieci metri sopra il palco, ondeggia come se fosse sul toro meccanico del Moulin Rouge. È il momento più folle, più spettacolare e più commentato della serata. Non è solo performance: è performance art travestita da disco-club di Helsinki. Pamela Anderson avrebbe approvato. E anche noi.