La paura di non fare niente e il mito della produttività

Siamo seguaci dell'idea che più siamo impegnati più valiamo come persone. Così riempiamo le nostre agende dimenticando l'importanza e il significato del tempo libero

Viviamo nella società del tempo che sfugge, che scivola tra le mani velocemente, senza darci il tempo di stringerlo, di accoglierlo e di viverlo. Ma nonostante questa sia una consapevolezza che tutti abbiamo fatto nostra, continuiamo a vivere e sopravvivere lasciandoci travolgere dal caos e dal disordine dei giorni. Dagli impegni, più o meno importanti, dalle scadenze che dobbiamo rispettare a tutti i costi, mentre tutto il resto viene costantemente rimandato.

Così ecco che il tempo libero diventa un miraggio, un’oasi in mezzo al deserto che non riusciamo più a raggiungere. E anche quando faticosamente ci riusciamo la sua stessa esistenza perde di valore. Lo fa perché quello spazio, che doveva essere solo nostro e di nessun altro, inizia a essere invaso dai sensi di colpa, dalle ansie e dalle preoccupazioni rispetto a tutto ciò che non stiamo facendo e che potevamo fare.

Perché per qualche strano motivo ci siamo convinti che i nostri desideri, così come le virtù, le passioni e gli hobby fine a se stessi, non valevano nulla in confronto al lavoro e agli impegni. Perché siamo diventate schiavi del mito della produttività. E più ne siamo seguaci, più quell’ansia e quella paura di non fare niente ci avvolge e ci coinvolge, ci fa sprofondare nell’oziofobia.

C’era una volta il dolce far niente

“Il lavoro nobilita l’uomo” è una frase attribuita al grande naturalista Charles Darwin che abbiamo sentito e pronunciato tantissime volte nel corso della nostra vita. Si è trasformata, col tempo, in un detto popolare, in un’esortazione e anche in un invito, quello che celebra il lavoro come un diritto dell’uomo, e non solo come un dovere.

Eppure, più cresceva questa convinzione più aumentava un disagio collettivo che non escludeva nessuno. Sì perché se era il lavoro a caratterizzarci, a definire la nostra identità, allora, è a lui che dovevamo dedicare tutte le forze e le energie. Ma facendolo, in maniera quasi totalizzante, abbiamo rinunciato a tutto il resto, scivolando in un circolo vizioso all’interno del quale oggi siamo intrappolati.

Perché è inutile negarlo, viviamo in funzione del lavoro. Non solo durante il tempo che dedichiamo effettivamente alla nostra professione, ma soprattutto nel tempo libero che ha smesso di essere tale. Perché quando non c’è il lavoro a occupare le nostre giornate ci sono i sensi di colpa per non aver fatto abbastanza. E allora piuttosto che goderci quel dolce far niente, che tutti ci meritiamo ogni tanto, occupiamo le ore e le giornate con impegni inutili e futili. Perché è alla produttività che ormai guardiamo, e non più al benessere.

Il tempo libero non è mai libero per davvero, non è mai vuoto. Al contrario è sempre riempito da impegni lavorativi e personali. Va bene anche rispondere alle mail, guardare le chat di lavoro o fare un zapping compulsivo tra i diversi social network per vedere cosa succede lì fuori. Tutto, piuttosto che non fare niente.

E quando questo non ci riesce, ecco che quei momenti si riempiono di disagio, frustrazione e ansia. Succede durante le vacanze, per esempio, quando l’incapacità di gestire i tempi e gli spazi diversi da quelli che conosciamo si trasforma in stress e malessere destinati a rovinare tutto, soprattutto quando rinunciamo a quel tempo libero che nessuno ci darà indietro mai più.

Oziofobia: quando non fare niente non è contemplato

Quante sono le persone che possono dire con assoluta fermezza di essere riuscite a rilassarsi, ma rilassare per davvero, durante le vacanze estive, per esempio? Quanti di voi possono affermare di aver staccato totalmente e di non aver fatto nulla, di essersi persino annoiate? Pochi, ne siamo certi, anzi pochissimi. Perché quella dell’oziofobia è una paura e un’ansia generalizzata che ha colpito tutti, o quasi.

È una vera proprio crisi dell’epoca moderna che ha coinvolto diverse generazioni, un disagio fortemente radicato all’interno della società che trova le sue origini proprio nel mito della produttività. Perché siamo diventati schiavi dell’idea che più ci impegniamo, e meno ci concediamo del tempo libero, e più abbiamo valore come persone.

E ci sembra quasi veritiera quella sensazione di soddisfazione che fa capolino tutte le volte che annaspiamo tra i mille impegni quotidiani. Gli esperti, però, sanno bene che non è così, che quella del busy bragging in realtà è una spirale dannosa dalla quale dobbiamo uscire al più presto.

E la sua diretta conseguenza è proprio l’oziofobia, quell’ansia che appare, e non scompare, tutte le volte che siamo liberi da qualsiasi altro impegno. Il termine, coniato dallo psicologo spagnolo Rafael Santandreu, non potrebbe essere più calzante per spiegare tutte quelle sensazioni che ci travolgono quando ci dedichiamo degli spazi di totale libertà. Quando cancelliamo ogni impegno dalle nostre agende e guardiamo in maniera quasi ossessiva le lancette che scorrono, le giornate che si susseguono, con la sensazione di aver perso tempo.

È allora che appare quella pericolosa sensazione di frustrazione e di senso di colpa per aver scelto di non fare niente. Eppure prima non era così, prima era diverso. Le famiglie attendevano con ansia la domenica, che era il giorno di riposo per antonomasia, per rilassarsi e per trascorrere del tempo insieme. Così come aspettavano le ferie estive, o quelle natalizie, per il medesimo motivo.

Anche adesso, in realtà, contiamo i giorni affinché quei momenti di pausa dal lavoro arrivino, salvo poi essere completamente terrorizzati dall’idea di non fare niente. Così ecco che corriamo a riempire le nostre agende di impegni e programmi per non rischiare di lasciare tutto al caso, perché ormai abbiamo rinunciato a quella libertà di gestire il nostro tempo libero.

Oziofobia: come sconfiggerla

L’oziofobia si manifesta in diversi modi, ma tutti hanno in comune quell’esigenza quasi ossessiva di mettere al primo posto i risultati, piuttosto che il proprio benessere e la felicità. È una conta orgogliosa a tutte le cose che sono state realizzate durante le giornate, sia quelle lavorative che libere. Non c’è spazio, in questo vortice di elenchi da mettere in mostra, per ascoltare i propri sentimenti e le emozioni, il corpo e la mente.

Eppure sappiamo bene che quando non ci mettiamo all’ascolto delle nostre reali esigenze, queste tornano a presentarci un conto molto caro, che sfocia nel malessere fisico e psichico. Ecco perché dobbiamo riflettere attentamente sul significato più vero dell’oziofobia, ecco perché dobbiamo imparare a riconoscerla e superarla.

Farlo non vuol dire rinunciare al lavoro o spogliarlo della sua importanza, soprattutto se abbiamo degli obiettivi che vogliamo realizzare e che fanno rima con i nostri sogni di sempre. Superare l’oziofobia vuol dire piuttosto recuperare il piacere del dolce far niente, riprovare quella meravigliosa sensazione di annoiarsi. E guai a considerare la noia come una cattiva compagnia, perché come la scienza ha più volte ribadito, è proprio lei a stimolare la creatività nei grandi e nei bambini.

Per superare l’oziofobia, e riappropriarci della nostra esistenza, dobbiamo ritagliarci delle pause, staccare per davvero. Imparare anche a gestire momenti e giornate intere che si svolgono in totale libertà, senza programmi. Mettersi all’ascolto delle nostre emozioni, dei sentimenti e delle reali esigenze che spesso mettiamo a tacere.

Dobbiamo imparare a non fare niente, e non fare niente vuol dire anche occuparci del nostro benessere. Vuol dire riposare corpo e mente, staccare dalla routine e affidarle nuovi e importanti significati. Al contrario, invece, trasformare gli impegni quotidiani nell’unico scopo della vita rischia di svuotare di ogni significato tutto ciò che facciamo, tutto ciò che siamo.