Mentre state leggendo questo servizio, pensate al tempo che passate davanti allo schermo del PC, del tablet o dello smartphone. E concentratevi sugli occhi: vi accorgerete che tenderete meno ad ammiccare, cioè ad aprire e chiudere in modo quasi impercettibile le palpebre. Risultato: state favorendo l’evaporazione del film prodotto dalle lacrime e se producete una ridotta quantità di liquido lacrimale, ecco che rischiate di avere la superficie oculare eccessivamente asciutta.
L’occhio normalmente sbatte quindici volte al minuto ma, se sottoposto a una visione prolungata con le nuove tecnologie digitali, l’occhio sbatte anche la metà delle volte necessarie. E purtroppo è anche sottoposto a uno sforzo di accomodazione, legato alla distanza troppo ravvicinata a cui vengono tenuti questi dispositivi.
Per questo la Società di Oftalmologia americana consiglia la regola del “20-20-20”: cioè ogni 20 minuti di uso di computer o tablet occorre fare una pausa di 20 secondi e focalizzare lo sguardo su un punto a 20 piedi (circa sei metri) di distanza.
Sia chiaro: l’occhio secco, perché di questo stiamo parlando, non è una malattia della vita moderna e non bisogna crocifiggere i dispositivi che ci collegano con il mondo. “Questa condizione, oltre che da una ridotta produzione di lacrime da parte delle ghiandole lacrimali o da una disfunzione delle ghiandole di Meibomio, può essere determinata o aggravata da tutta una serie di altri fattori, tra cui senza dubbio l’età avanzata – spiega Pasquale Aragona, Professore Ordinario di Oftalmologia dell’Università di Messina – Ma vi sono anche fattori esterni: per esempio eventuali terapie (sistemiche o topiche) che si stanno seguendo, oppure il fatto di aver subito interventi chirurgici a carico dell’occhio (chirurgia refrattiva, ma anche della cataratta o della retina)”.
Come se non bastasse, anche le reazione del sistema nervoso all’infiammazione possono incidere sull’innervazione dei meccanismi che regolano la produzione di lacrime, così come una riduzione della sensibilità della cornea.
Perché le donne sono a rischio
Il film lacrimale ha diverse funzioni. Prima di tutto mantiene l’occhio lubrificato: le palpebre proteggono la superficie dell’occhio dall’ambiente esterno con l’ammiccamento reso possibile dalla presenza del film lacrimale che lubrifica la superficie stessa. Per questo ammiccare è importante.
Poi “nutre” la cornea che è priva di vasi sanguigni. Infine, difende l’occhio lavando e asportando le sostanze di rifiuto e impedendo ai germi di proliferare ed attecchire. In chi soffre di occhio secco questi meccanismi non funzionano a dovere e quindi possono comparire i sintomi, che assumono caratteristiche diverse: si va dal bruciore al senso di corpo estraneo, al fastidio alla luce, alla stanchezza oculare, arrivando fino al vero e proprio dolore. Oltre all’età – i disturbi tendono a farsi più frequenti con il passare degli anni – e ai farmaci o ai fattori ambientali, anche il sesso ha un peso. Nelle donne la sindrome è più frequente.
“Il sesso femminile è più esposto alla malattia per una questione di tipo ormonale, soprattutto nell’età post menopausale: la riduzione del testosterone, ormone prodotto nella donna dall’ovaio, si accompagna a una ipotrofia tanto delle ghiandole di Meibomio che delle ghiandole lacrimali – precisa l’esperto. Inoltre, si è scoperto che l’organismo femminile è meno in grado di utilizzare come antinfiammatorio l’idrocortisone che viene normalmente prodotto dalle cellule dell’epitelio corneo-congiuntivale.
Questo fa sì che la donna sia più esposta ai processi infiammatori rispetto all’uomo e bisogna tenerne conto anche nell’impostare una terapia che dovrà prendere in considerazione questa differenza, prescrivendo eventualmente una maggiore dose di idrocortisone nel sesso femminile. Peraltro è importante ricordare che l’idrocortisone, essendo una molecola fisiologica, è tra i vari corticosteroidei, quello che dà meno effetti collaterali; quindi, il suo utilizzo, per contrastare l’infiammazione, può essere molto utile, soprattutto nelle donne”.
Una App per aiutare chi soffre
A volte i disturbi iniziano la mattina presto: durante il sonno la produzione di lacrime si azzera: quando al mattino apriamo gli occhi, a contatto con l’aria riprende anche la secrezione lacrimale. Quindi tutti i prodotti proinfiammatori che sono stati rilasciati continuamente dalle palpebre, le cui ghiandole di Meibomio sono alterate, vengono ridistribuiti sulla superficie oculare e questo determina l’insorgere della sintomatologia.
Con il trascorrere della giornata, per l’aumento e il mantenimento della secrezione lacrimale, i sintomi si riducono, fino a ricomparire, nei casi peggiori, verso sera o tardo pomeriggio-sera, quando l’aumento dell’evaporazione legata a un film lipidico che non è di buona qualità, porta ovviamente al ricomparire dei sintomi di discomfort: in questo caso la sintomatologia prevalente è quella di bruciore, ma anche di prurito. In altri casi, in presenza di una patologia autoimmune come la Sindrome di Sjogren, in cui c’è una riduzione della produzione di lacrime, i disturbi assumono caratteristiche temporalmente diverse.
Per questo è fondamentale che la diagnosi sia fatta dall’oculista e che, nel tempo, il trattamento sia sempre seguito correttamente. Per questo c’è bisogno di un “filo rosso” che colleghi chi soffre di occhio secco allo specialista. Come? Attraverso una App per smartphone per esempio. Si chiama Arianna Eye Care. “Le terapie oggi disponibili richiedono tempi lunghi (mesi, ndr) per dimostrare la loro efficacia e questo fa sì che spesso il paziente si senta in qualche modo abbandonato o poco seguito dal medico oculista: la percezione è che talvolta il medico abbia difficoltà nel comprendere le reali condizioni di disagio del paziente e a trovare una terapia adatta – spiega Maurizio Rolando, Presidente del Registro Italiano dei pazienti con Disfunzione Lacrimale e Professore di Oftalmologia presso IsPre Oftalmica di Genova”.
Durante la visita il medico può fornire al paziente un link dal quale scaricare la App. Questa manderà in tempi stabiliti delle notifiche al paziente, chiedendogli di segnalare, in modo molto semplice come sta. Basterà infatti solo schiacciare un pulsante costituito da un simbolo tipo smiley, scegliendo tra le alternative disponibili quella che più rappresenta le sue condizioni al momento, sia per quanto riguarda la frequenza, che l’entità del disturbo. Il paziente potrà inoltre segnalare se i suoi sintomi sono cambiati in meglio o in peggio rispetto al periodo precedente e se sta utilizzando costantemente la terapia prescritta o se ha cambiato farmaco e/o posologia. Oggi infatti gli agenti utilizzati nella terapia sono moltissimi, ma non tutti uguali. Avere il parere dello specialista è sempre fondamentale, anche via smartphone.