Il peso della genetica nella diagnosi e nella cura del tumore dell’ovaio

La diagnosi precoce è l’arma più efficace per contrastare il tumore ovarico. Test genetici consentono di verificare le probabilità di trasmissione ereditaria, ma soprattutto di adottare un percorso personalizzato nella fase di intervento e terapia

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Contano, eccome se contano, le nostre buone abitudini. Dieta sana, ricca di frutta e verdura, controllo del peso, niente fumo, regolare attività fisica…. sono tutti fattori chiave in termini di prevenzione dei tumori. Ma ci sono persone che, per una particolare caratteristica invisibile scritta nel Dna, sono a maggior rischio di sviluppare determinate forme di cancro e debbono quindi seguire monitoraggi su misura per tenere sotto controllo gli organi potenzialmente esposti. Il Gene “Jolie”, così chiamato dal nome della bellissima attrice americana che si è sottoposta ad asportazione delle ghiandole mammarie e delle ovaie perché portatrice di questa caratteristica, è uno di questi.

Non solo geni

Qualche tempo fa ha fatto molto discutere la scelta di Angelina Jolie, che abbiamo ricordato. La presenza della mutazione del gene BRCA1, mediamente, innalzerebbe dell’85% il rischio di sviluppare un tumore maligno al seno e del 50% quello di andare incontro al cancro dell’ovaio, per cui l’attrice ha provveduto ad eliminare all’origine i rischi. In caso di positività al test genetico, specie se esiste anche una risposta positiva ad un altro gene (BRCA2) le probabilità di ammalarsi di tumore alla mammella crescono esponenzialmente. A prescindere dalle scelte, l’attrice ha portato alla ribalta un problema sempre più significativo, anche per l’attenzione che si porta ai test genetici. Il National Cancer Institute rivela che quasi il 10 per cento dei tumori dell’ovaio potrebbe essere legato ad un’alterazione genetica che si trasmette per via ereditaria. Sotto la lente di ingrandimento della scienza ci sono questi due geni, la cui presenza si può correlare anche ad una possibile “anticipazione” della malattia rispetto all’età classica. Cosa significa in pratica questa situazione? La donna, una volta eseguito il test genetico e dopo aver parlato con un genetista medico e con gli specialisti, deve prestare particolare attenzione a mammella e ovaio, seguendo percorsi personalizzati di monitoraggio per valutare l’eventuale evoluzione della situazione.

A prescindere dalla conformazione genetica, in ogni modo, la diagnosi precoce è l’arma più efficace per contrastare efficacemente il tumore ovarico, che rappresenta il più grave tumore femminile, con una mortalità del 60%. Gli strumenti per dimezzare questa percentuale passano attraverso il riconoscimento precoce della lesione e della malattia che andrebbe presa sempre agli esordi. Quindi la tempestività e la massima appropriatezza dell’intervento terapeutico sono i veri “salvavita” per la donna che riceve la diagnosi.

Le cure migliorano

Arrivare presto, insomma, è fondamentale. Se il tumore ovarico viene diagnosticato in stadio iniziale la possibilità di sopravvivenza a 5 anni è del 75-95% mentre la percentuale scende al 25% per tumori diagnosticati in stadio molto avanzato. La diagnosi tempestiva cambia la prognosi perché consente al chirurgo di operare nel modo migliore e quindi di aprire la strada al successo delle cure, che può esserci anche negli stadi avanzati, in cui la guarigione può essere raggiunta da circa il 30% delle pazienti. Per l’altro 70%, l’obiettivo si sposta sulla cronicizzazione della malattia: attraverso l’impiego dei farmaci più efficaci, si cerca di far convivere la paziente con il tumore il più a lungo possibile, assicurandole al tempo stesso la migliore qualità di vita. Su questo fronte importanti prospettive, oltre alle cure già disponibili dopo l’intervento chirurgico, vengono rappresentate dai PARP-inibitori, che possono essere somministrati per bocca e hanno indicazioni precise. Tra l’altro, rispetto ad altri trattamenti, l’impiego di questi farmaci ha significato anche per le pazienti affette da tumore ovarico e con mutazione BRCA 1 e 2. In attesa dell’immunoterapia, che potrebbe insegnare all’organismo a difendersi meglio dalle cellule neoplastiche, anche in questa malattia e per la quale si parla solo in prospettiva, la disponibilità di farmaci di questo tipo e delle altre terapie dell’armamentario dello specialista rappresenta un elemento di speranza. Ricordando sempre che, fatto salvo il corredo genetico, le buone abitudini sono fondamentali e che  arrivare presto è basilare per sconfiggere il “nemico”.