Tumore dell’ovaio, i campanelli d’allarme per una diagnosi precoce

Il tumore dell'ovaio colpisce 5000 donne l'anno. La diagnosi precoce è fondamentale per affrontare al meglio la malattia: i sintomi da non trascurare

Foto di Federico Mereta

Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Le statistiche dicono che il tumore dell’ovaio colpisce circa 5000 donne l’anno. E purtroppo, ancora troppo spesso è difficile giungere alla diagnosi precoce, che rappresenta lo strumento ottimale per affrontare al meglio la malattia.

Campanelli d’allarme e diagnosi precoce

Il tumore dell’ovaio, infatti, ha una caratteristica: è tremendamente “bravo” a nascondersi, soprattutto nelle fasi iniziali. I pochi segni in qualche modo collegati alla sua insorgenza, come gonfiore e dolore indefinito alla pancia, così come le difficoltà ad andare in bagno, sono campanelli d’allarme che spesso vengono sottovalutati o confusi. Invece dovrebbero essere argomenti di cui parlare subito con il ginecologo, che può poi, oltre alla visita, procedere ad un un’ecografia transvaginale e addominale, che può far partire poi tutte le indagini necessarie per svelare la natura del quadro che si sta componendo.

Il consiglio è valido per tutte, ma diventa ancor più importante per chi ha appena oltrepassato la soglia della menopausa. Secondo le statistiche, infatti, i casi di malattia vengono identificati soprattutto nella decade tra i 50 e i 60 anni. ci sono, è vero, altri elementi che possono in qualche modo rappresentare un possibile maggior rischio di sviluppo di questa neoplasia, la settima nella popolazione femminile. Ad esempio occorre fare più attenzione quando le mestruazioni sono iniziate molto presto e la menopausa è giunta tardi.

Sul fronte della protezione, invece, pare che l’impiego del contraccettivo orale possa rappresentare un elemento positivo, così come aver avuto più figli ed aver allattato al seno. L’importante, in ogni caso, è arrivare presto: quando il tumore è ancora limitato all’organo e le cellule malate non si sono ancora diffuse, le prospettive di guarigione completa si modificano profondamente.

Cura, aumentano le speranze

Una volta identificato un tumore ovarico, in base alle sue caratteristiche e alla possibile diffusione, il primo passo è l’intervento chirurgico per eliminare oltre all’organo anche eventuali altre aree “intaccate” dalla malattia. Lo specialista può poi proporre un trattamento di chemioterapia, che appare di importanza cruciale soprattutto se il tumore che si è asportato è in fase avanzata. L’obiettivo in questo caso è ovviamente “ripulire” completamente l’organismo dalle cellule patologiche, facendo anche in modo di togliere i rifornimenti al tumore. per questo, pur se esistono molti schemi di cura che vanno indicati caso per caso, insieme alla chemioterapia classica viene spesso consigliato un trattamento anti-angiogenesi, che mira a ridurre la formazione di nuovi vasi sanguigni necessari al tumore per accrescersi.

Negli ultimi tempi, poi, si stanno rivelando di grande aiuto nuove terapie, ed in particolare i farmaci PARP-inibitori, che vanno sempre indicati in base alle caratteristiche delle cellule tumorali. Questi medicinali agiscono sui meccanismi di riparazione del Dna e, stando a quanto emerso al recente congresso dell’Associazione Europea di Oncologia Medica (ESMO) tenutosi a Barcellona, possono rivelarsi altamente efficaci.

Una ricerca presentata al convegno e pubblicata su New England Journal of Medicine dimostra che il trattamento con niraparib (appunto un PARP- inibitore) ha ridotto del 38% il rischio di progressione della malattia o morte nelle pazienti rispetto al placebo. Secondo Antonio Gonzalez, condirettore del dipartimento di oncologia medica, Clinica Universidad de Navarra e primo autore della ricerca “in futuro la monoterapia con niraparib dopo un intervento chirurgico e la chemioterapia a base di platino potrebbe essere una nuova importante opzione di trattamento per le pazienti”.

Buone notizie vengono anche dallo studio PAOLA-1, che ha dimostrato una riduzione del rischio di progressione di malattia o di morte nelle donne trattate con Olaparib (altro PARP-inibitore) in aggiunta alla terapia standard e a bevacizumab, farmaco antiangiogenesi, rispetto a questo solo approccio curativo. Siamo ancora nelle fasi di sperimentazione per questi farmaci, ma il futuro nella cura di questa forma tumorale appare sicuramente promettente.

Genetica, fattore di rischio

Qualche tempo fa ha fatto molto discutere la scelta di Angelina Jolie. La presenza della mutazione del gene BRCA1 innalzerebbe dell’87 per cento il rischio di tumore maligno al seno e del 50 per cento quello di cancro alle ovaie, per cui l’attrice ha provveduto ad eliminare all’origine i rischi. In caso di positività al test genetico, specie se esiste anche una risposta positiva ad un altro gene (BRCA2) le probabilità di ammalarsi di tumore alla mammella crescono esponenzialmente.

L’attrice ha portato alla ribalta un problema sempre più significativo, anche per l’attenzione che si porta ai test genetici. Il National Cancer Institute rivela che quasi il 10 per cento dei tumori dell’ovaio potrebbe essere legato ad un’alterazione genetica che si trasmette per via ereditaria.

Sotto la lente di ingrandimento della scienza ci sono due geni, con le loro rispettive mutazione: si chiamano BRCA1 e BRCA2. Sono importanti per quanto riguarda sia il tumore ovarico che quello della mammella e in presenza di questa mutazione si può pensare ad una possibile “anticipazione” della malattia rispetto all’età classica.

Per questo, come riporta l’Associazione Italiana per la Ricerca sul cancro (AIRC): “In famiglie con molti casi di tumore dell’ovaio o di carcinoma della mammella (più precisamente, più casi dello stesso tipo di tumore o di due tumori associati alla stessa alterazione genetica, come quelli di ovaio e mammella, nello stesso ramo della famiglia) è utile rivolgersi a un centro specializzato in consulenza genetica presso un istituto oncologico di rilievo nazionale. Qualora una persona fosse portatrice di una di queste mutazioni genetiche, è consigliabile seguire un programma di stretta sorveglianza con mammografie ed ecografie”.

Senza dimenticare che si tratta comunque di un fattore di rischio, che non presuppone la comparsa sistematica delle neoplasia. Ma ne aumenta il rischio: quindi è importante che si seguano corretti stili di vita in chiave preventiva.