Obesità e sovrappeso, le nuove definizioni scientifiche: quando e perché si diventa obesi

Un adulto su due è in sovrappeso e il 12% degli italiani è obeso: che impatto hanno queste condizioni sulla vita di chi ne soffre e come intervenire

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Pubblicato: 29 Gennaio 2025 16:47

Le cifre parlano chiaro. In Italia più o meno un adulto su due è in sovrappeso e il 12% della popolazione fa i conti con l’obesità. Ed il trend non è certo in miglioramento. Ma bisogna fare attenzione. Ogni persona ha una storia diversa, così come differenti possono essere le problematiche che affronta e le sfide che la vita propone. Soprattutto in termini di stigma e pregiudizi.

Occorre quindi riflettere sulla tematica, come propone l’iniziativa “Perdere peso non dipende solo da te. Il tuo corpo può fare resistenza”, realizzata con il patrocinio dell’associazione pazienti Amici Obesi Onlus, accompagnata dall’inaugurazione di un’installazione unica: “The Impossible Gym”, nella rinnovata Piazza dei Cinquecento, presso la Stazione Termini di Roma, aperta fino al 4 febbraio.

L’installazione rappresenta visivamente le sfide quotidiane affrontate da chi vive con l’obesità. All’interno, attrezzi da palestra resi inutilizzabili da elastici gialli simboleggiano la “resistenza” del corpo al calo ponderale, un fenomeno biologico che rende particolarmente difficile perdere peso e mantenerlo nel tempo. Un’esperienza immersiva che raffigura gli ostacoli fisici, biologici e psicologici con i quali devono convivere ogni giorno le persone con obesità.

Come nasce l’obesità e quanto impatta

Come detto, in Italia si stimano circa 6 milioni di soggetti obesi ma sommando questi con quelli in sovrappeso siamo intorno alla metà della popolazione. Peraltro, con le nuove definizioni scientifiche, molte delle persone sovrappeso che presentano eccessivo grasso viscerale potrebbero essere diagnosticate come affette da obesità. Nel nostro Paese si registra un trend per una maggiore prevalenza nelle regioni italiane meridionali.

Gli ultimi dati suggeriscono un lieve rallentamento di questo trend in alcune regioni del Sud, sebbene le prevalenze restino ancora globalmente più alte rispetto al Nord e al Centro. Riguardo al genere, vi è una prevalenza maggiore nel sesso maschile.

È molto importante ricordare che l’obesità è un fattore di rischio per diabete, infarto, ictus e anche per tantissime altre malattie come tumori, insufficienza renale, alterazioni del fegato, problemi osteoarticolari e disabilità, con perdita di autonomia, limitazioni funzionali e, globalmente, una minore qualità della vita.

Considerando tutte le patologie correlate all’obesità, questa malattia diventa la sfida sanitaria e sociale più importante, rispetto ai costi sanitari e sociali, diretti e indiretti. Ed allora? Allora si dice di calare di peso. Ma bisogna ricordare che perdere peso è la cosa più difficile per chi soffre di obesità e non è una questione di forza di volontà, ma di come funziona il nostro corpo.

Il motivo? Siamo di fronte ad una serie di mutamenti che vanno compresi ed interpretati. “L’obesità è legata ad una modificazione patologica dei meccanismi che nel nostro organismo regolano la fame e la sazietà, regolando di conseguenza il peso corporeo – spiega Rocco Barazzoni, Presidente Società Italiana Obesità (SIO) e Professore Associato di Medicina Interna, Dipartimento di Scienze Mediche, Università degli Studi di Trieste – questo tipo di alterazioni è indipendente dal controllo e dalla volontà della persona. Si tratta di meccanismi neurologici in gran parte localizzati nel cervello, ma che rispondono anche a segnali che arrivano dal tessuto adiposo e dall’intestino. Questi meccanismi complessi sono in grado di mantenere in condizioni fisiologiche il peso corporeo entro limiti che possiamo definire “normali”, o sani”.

È dimostrato che le persone affette da obesità presentano alterazioni di tali processi biologici che portano ad un rischio maggiore di aumentare la propria massa grassa. A questi meccanismi si associano anche fattori genetici, endocrini e ambientali. Per questo, quindi, occorre definire l’obesità come malattia.

“In questi ultimi anni sono stati introdotti farmaci innovativi e molto efficaci, che permettono non solo una riduzione marcata del peso corporeo, ma promettono anche di ridurre, prevenire e curare molte complicanze gravi e temibili – fa sapere l’esperto. Ovviamente resta anche in questo caso fondamentale l’approccio bilanciato e sano alla dieta, e l’aumento dell’attività e dell’esercizio fisico in un approccio globale alla persona e alla malattia”.

Come si definisce l’obesità

La comunità medica è sempre più consapevole che il solo peso corporeo non è sufficiente a definire lo stato di salute di un individuo. Alla valutazione dell’Indice di Massa Corporea (BMI) si deve almeno aggiungere la valutazione della distribuzione del grasso in eccesso. Perché il tessuto adiposo non è tutto uguale.

In particolare, sul fronte della salute, il grasso che si insinua nell’addome è più pericoloso per lo sviluppo di complicanze molto gravi come le malattie cardiovascolari, metaboliche, endocrine e molte altre).

La Lancet Commission e, qualche mese prima, la stessa Società Europea dell’Obesità hanno enfatizzato questo messaggio con dichiarazioni simili, stabilendo che il peso di per sé è importante ma non sufficiente a stabilire il rischio clinico generale. In sintesi, il BMI dovrebbe restare al di sotto di 30 Kg/m2 per stabilire la soglia oltre la quale si parla di obesità, mentre tra 25 e 30 si parla di sovrappeso. A questa misurazione va aggiunto il parametro del grasso viscerale localizzato all’addome, con la misura del “giro vita”. Una circonferenza dell’addome elevata associata a un BMI anche inferiore a 30 dovrebbe essere considerata sufficiente per fare diagnosi di obesità.

Perché è difficile convivere con l’obesità

La quotidianità che vive una persona affetta da obesità è complicata e difficile, caratterizzata in molti casi da una sensazione di profonda solitudine, incomprensione, senso di colpa e percezione di perdita di autocontrollo. Questo genera un circolo vizioso che può portare l’individuo a perdere il contatto con l’esterno anche a causa dello stigma, del senso di inadeguatezza e della vergogna. Facile a dirsi, ma difficile da comprendere.

Stando a quanto riporta l’analisi dal titolo “Obesità in Italia. Percezioni, costi e sfide per il futuro”, realizzato nel 2024 da IPSOS, I-COM e Università del Piemonte Orientale (UPO) con il contributo di Lilly, meno della metà degli italiani riconosce l’obesità come patologia cronica e fattore di rischio di altre patologie, mentre per più della metà l’obesità è il risultato di cattive abitudini e solo un fattore di rischio per altre patologie.

Un quadro che favorisce lo stigma e rende urgente un cambio di prospettiva e politiche più coraggiose. Emerge anche quanto, nell’immaginario collettivo, l’obesità sia considerata una “colpa” dell’individuo e della mancanza di volontà: lo pensa il 64% del campione.

Nessuna persona con obesità è contenta della propria condizione, anche se in apparenza la vive con il sorriso; scavando emerge sempre la sofferenza e il disagio – segnala Iris Zani, Presidente Associazione Amici Obesi. Il paziente avverte i limiti fisici del proprio corpo nella quotidianità, i limiti psicologici e poi ci sono i limiti non tangibili, quei complessi meccanismi che regolano la fame, la sazietà e il peso, che si oppongono al calo dei chili in eccesso e al mantenimento del peso raggiunto nel tempo. La maggior parte delle persone è convinta che l’obesità sia una responsabilità e una colpa dell’individuo, questo purtroppo è in parte dovuto alla mancanza di un riconoscimento ufficiale dell’obesità come malattia.

Occorre scardinare questa non-cultura così radicata nel sentire comune con una nuova e diversa narrativa di questa malattia e mettere in atto cambiamenti collettivi e individuali con politiche che facciano leva su educazione, maggiore accesso a servizi e terapie mediche, campagne di sensibilizzazione per aumentare e diffondere la conoscenza sull’obesità. Cruciale il ruolo della stampa e dei media per modificare una rappresentazione della persona con obesità ancora troppo stigmatizzata e legata a stereotipi obsoleti e discriminanti”.

Perché si diventa obesi e come affrontare l’obesità

“È evidente che esistono fattori scatenanti, con una sempre maggiore disponibilità di cibo ipercalorico e uno stile di vita sempre più sedentario – fa sapere Barazzoni. D’altra parte, pur essendo tutti esposti a questi fattori ambientali “obesogeni”, non tutti gli individui sviluppano obesità. Questa è una evidenza cruciale, perché dimostra che esiste una predisposizione, un rischio individuale a vari livelli di ammalarsi.

E qui entrano in gioco i meccanismi neurologici ed endocrini che regolano l’appetito, la fame e la sazietà che negli individui predisposti a sviluppare obesità sono profondamente alterati. Un esempio può aiutare a chiarire questo importante concetto. Tutti noi mangiamo per evitare la malnutrizione e per fornire energia al nostro corpo. Ma mangiamo anche per gratificarci e avere sensazioni piacevoli, e questo non va colpevolizzato”.

Tuttavia, sappiamo da studi scientifici che persone con obesità possono avere un livello di gratificazione inferiore rispetto a persone che non sviluppano obesità, che può portare quindi alla necessità di assumere più cibo. Queste alterazioni sono state dimostrate anche dopo una perdita di peso, ottenuta spesso faticosamente con modificazioni dello stile di vita. Il nostro organismo tende però purtroppo a sviluppare meccanismi che favoriscono il ritorno al peso iniziale, ad esempio riducendo la sazietà e limitando il dispendio energetico. Erano meccanismi utili quando i nostri antenati affrontavano fame e carestie, ma che possono favorire lo sviluppo di sovrappeso e obesità nelle condizioni ambientali in cui viviamo.

“Per quanto riguarda l’approccio clinico all’obesità, nonostante gli sforzi di chi si occupa di questa malattia, fino a pochissimo tempo fa ci siamo basati sull’approccio comportamentale, con opzioni farmacologiche piuttosto limitate e relativamente poco efficaci – conclude l’esperto.

Solo la chirurgia poteva fornire risultati più efficaci e duraturi, inevitabilmente però per un numero di pazienti più limitato. Abbiamo comunque imparato a impostare un approccio comportamentale più efficace, con una educazione alla dieta equilibrata e sana, considerando la preparazione del cibo, i tempi dei pasti, la motivazione della persona al cambiamento, introducendo un supporto psicologico comportamentale che aiuti a modificare più profondamente le proprie abitudini.

Una vera e propria rivoluzione sta poi avvenendo, in questi ultimi anni, con l’introduzione di farmaci innovativi e molto efficaci, che permettono non solo una riduzione marcata del peso corporeo, ma promettono anche di ridurre, prevenire e curare molte complicanze gravi e temibili. Ovviamente resta anche in questo caso fondamentale l’approccio bilanciato e sano alla dieta, e l’aumento dell’attività e dell’esercizio fisico in un approccio globale alla persona e alla malattia”.