Obesità e chirurgia: quanto l’intervento incide sulla mortalità

La chirurgia dell'obesità può cambiare le prospettive di vita del paziente diminuendo il rischio di morte. Come funziona

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Non pensate che le persone con obesità siano “colpevoli” della loro condizione. Perché l’obesità è una malattia in se stessa e come tale va riconosciuta sia dallo Stato che dalla società. Ma soprattutto va affrontata nel modo più giusto. E in molti casi possono esserci le indicazioni per il trattamento chirurgico, con tipologie d’intervento diverse che vanno identificate dallo specialista. L’importante è non rimanere inermi, anche sotto l’aspetto psicologico. A rilanciare il messaggio sono gli esperti riuniti a Napoli in occasione del Congresso SICOB (Società Italiana di Chirurgia dell’Obesità e delle Malattie Metaboliche).

Perché l’obesità è una malattia e quando serve l’intervento

Secondo Giuseppe Navarra, responsabile del centro di eccellenza di chirurgia bariatrica e direttore delll’UOC Chirurgia Generale ad indirizzo oncologico del Policlinico G. Martino di Messina e presidente eletto SICOB, occorre capire che i malati d’obesità non hanno colpa della loro condizione.

“L’obesità non è un vizio, ma è il prodotto di diversi fattori, molti dei quali stiamo progressivamente isolando e comprendendo: dai processi cerebrali che regolano in maniera alterata la sensazione di sazietà alle tante disfunzioni nell’assorbimento dei nutrienti. Accettare l’obesità come patologia significa riconoscere l’impatto gravissimo delle sue conseguenze – con malattie croniche e tumori – ma anche prepararsi a garantire quelle cure alle quali i pazienti hanno diritto: dai nuovi farmaci all’accesso ai circa 130 Centri Chirurgici multidisciplinari certificati e regolati”.

In termini generali, ricordiamo che la chirurgia dell’obesità (o chirurgia metabolica e bariatrica) è, infatti, per quella parte di pazienti con BMI – body mass index superiore a 30, la cura più efficace per l’obesità, portando alla riduzione di fino al 70 per cento del peso in eccesso. È una chirurgia sicura – con il tasso di complicanze più basso dell’intero spettro chirurgico (0,05 per cento) e i cui effetti positivi si protraggono nel tempo. Purtroppo, è, ancora, una chirurgia cui si ricorre molto raramente – l’1% – rispetto al bisogno effettivo.

Gli interventi sono aumentati sì del 300 per cento negli ultimi dieci anni, toccando i circa 30mila all’anno, ma coloro che potrebbero, potenzialmente ed effettivamente, trarne beneficio si stima superino i 3 milioni, ovvero il 50 per cento delle persone con obesità, in Italia circa 6 milioni.

Come l’operazione incide sulla mortalità

Le cifre parlano chiaro. Quando esistono le indicazioni, l’intervento può davvero cambiare le prospettive di vita di una persona. “I dati sono inequivocabili. – spiega Giuseppe Maria Marinari responsabile dell’Unità Operativa di Chirurgia Bariatrica all’IRCCS Humanitas di Milano – Secondo uno studio condotto dall’Università dello Utah su 22mila pazienti obesi per 40 anni, la mortalità di coloro che si erano sottoposti a chirurgia metabolica e bariatrica si è rivelata decisamente inferiore a quella delle persone con obesità non operate.

A loro volta, i pazienti operati hanno una probabilità di morte inferiore del 16 per cento in assoluto e del 29 per cento per le malattie cardiache, del 43 per cento per tumore, e del 72 per cento per il diabete. La chirurgia dell’obesità va estesa ai pazienti per i quali è indicata, perché ha un impatto diretto e sostanziale sia sulla qualità di vita che sull’aspettativa di vita”.

Non si tratta di un intervento estetico

“Bisogna sfatare un pregiudizio che ancora oggi persiste – sostiene il presidente SICOB Marco Antonio Zappa – e cioè che la chirurgia metabolica e bariatrica possa essere considerata un intervento di tipo estetico volto a soddisfare i capricci del paziente, “colpevole” di essere una persona con obesità. Questo approccio trascura invece i tantissimi fattori che portano all’obesità quali predisposizione genetica, traumi psicologici, problematiche culturali.

Manca la consapevolezza del fatto che si tratta di una malattia per la quale l’intervento si può rivelare un vero salva-vita. Non a caso l’obesità patologica è spesso definita il cancro del terzo millennio. Se non ci fosse l’obesità avremmo il 12% di tumori in meno nell’uomo e il 13,5% nella donna. Per questo tutti questi fattori fanno dell’obesità una malattia gravissima, la seconda causa di morte al mondo. Ma fino a quando continueremo a considerarla un problema estetico di cui il paziente è responsabile, non ne verremo mai fuori “.

“Non si pensi, però, – riprende e ribadisce Marinari – che la chirurgia metabolica e bariatrica sia una bacchetta magica per il dimagrimento oppure per l’aspetto estetico. Al contrario, è un intervento che richiede assoluta consapevolezza e assistenza. Non va bene per tutti e bisogna sapere dire di no ai pazienti, facendo anche capire che l’intervento bariatrico farà venire meno non solo lo stimolo ma anche l’interesse e la gratificazione del cibo: un elemento importante e decisivo nell’equilibrio emotivo della persona.

Il paziente affetto da obesità è, infatti, una persona spesso fragile perché reduce, quando si presenta al chirurgo, da molti anni di tentativi falliti di dimagrire. Quello di cui abbiamo bisogno, dunque, è un’umanizzazione delle cure ma, alla luce del vasto bacino di pazienti che avrebbero bisogno dell’intervento, abbiamo bisogno anche di un’urgente razionalizzazione delle risorse. L’adozione del protocollo ERAS® (Enhanced Recovery After Surgery) in chirurgia metabolica e bariatrica è la chiave per raggiungere entrambi gli obiettivi: attraverso una serie di procedure standardizzate, superando pratiche tradizionali ma poco efficaci della chirurgia e avendo cura di includere le aspettative, le priorità e i feedback dei pazienti nel percorso di cura, l’applicazione del protocollo ERAS riduce, di fatto, i tempi di ospedalizzazione migliorando l’esperienza del paziente e permettendo di curare più persone con le stesse risorse”.

L’operazione per chi soffre anche di reflusso gastroesofageo

Nel tempo, va detto, si sono modificate anche le strategie operatorie. E la costante innovazione tecnologica porta ad una minore invasività degli interventi. “La grande diffusione della chirurgia metabolica e bariatrica – conferma Marco Raffaelli, Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Chirurgia Endocrina e Metabolica della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS – è stata resa possibile negli ultimi 20 anni dalla definitiva affermazione della chirurgia laparoscopica, cioè la tecnica mininvasiva che, attraverso piccole incisioni e l’utilizzo di microcamere, permette di effettuare interventi chirurgici complessi con ripresa più rapida e ridotte complicanze rispetto alle tecniche del passato.

L’introduzione delle piattaforme robotiche ci ha poi permesso di fare un importante passo in più. L’uso dei robot chirurgici nella cura dell’obesità è particolarmente indicato in alcuni casi, i più complessi, (grandi obesi, re-interventi) e permette di ridurre in maniera significativa il numero degli interventi necessari a raggiungere un livello di performance ottimale, rendendo molto più rapida la curva di apprendimento. L’impiego di programmi AI – Intelligenza Artificiale, inoltre, potrà nel prossimo futuro avvicinarci al traguardo di una medicina dell’obesità personalizzata, aiutando il chirurgo nell’esecuzione dell’intervento. È, comunque, da sottolineare che la scelta del percorso terapeutico più adeguato va inserita nella prospettiva di una valutazione multidisciplinare di ogni singolo paziente che tenga conto della sua individuale unicità, in termini di abitudini alimentari, aspetti psicologici e comorbidità”.

Tra le innovazioni degli ultimi 5 anni figurano anche nuovi approcci chirurgici per il trattamento sia dell’obesità che del reflusso gastroesofageo. “L’obesità – racconta Stefano Olmi, Responsabile della Unità Operativa di Chirurgia Generale e Oncologica, Centro di Chirurgia Laparoscopica avanzata e Centro di Chirurgia dell’obesità presso il Policlinico San Marco a Zingonia – aumenta il rischio di molte altre patologie in comorbidità. Oltre ai già citati diabete e tumori – del colon, endometrio e mammella in particolare – vanno contati anche ipertensione arteriosa, apnee notturne e dolori articolari. L’intervento chirurgico non risolve solo il problema del peso, ma anche le comorbilità associate.

Non fa eccezione il reflusso gastroesofageo, patologia associata a circa il 30 per cento degli obesi oltre che quella che pone più difficoltà dal punto di vista chirurgico. Il reflusso, infatti, è peggiorato dall’obesità ma, al contempo, preclude l’esecuzione di alcuni degli interventi bariatrici”. È, inoltre, spesso sottovalutato nelle diagnosi, ma può portare a forme sintomatiche gravi e dolorose se trascurato. “La soluzione che abbiamo sviluppato più di 5 anni fa – continua Olmi – è stata quella di associare l’intervento di plastica anti-reflusso (secondo la tecnica di Rossetti o Nissen) all’intervento di riduzione del volume dello stomaco (sleeve gastrectomy). Fondamentale premessa di questo percorso virtuoso è l’attenzione diagnostica per il reflusso attraverso gastroscopia, PH metria e manometria esofagea. L’associazione delle due tecniche chirurgiche permette al paziente obeso di perdere peso, risolvere comorbidità e non avere più problemi legati al reflusso gastro-esofageo”.