Vitamina D, perché è importante per la fertilità

Da alcuni studi è emerso che la vitamina D può aumentare la ricettività dell’endometrio e dunque la possibilità di gravidanza. Cosa dice l’esperto.

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Luana Trumino

Editor specializzata in Salute & Benessere

Laureata in Scienze dell’Alimentazione e Nutrizione Umana, da oltre 15 anni scrive di benessere, occupandosi prevalentemente del rapporto tra nutrizione e salute.

Quando si ricerca una gravidanza, le abitudini alimentari e gli stili di vita sono fondamentali per aumentare le possibilità di concepimento e la nascita di un bambino sano.

Una carenza piuttosto frequente nella popolazione generale è quella che riguarda la vitamina D, un ormone steroideo prodotto principalmente a livello cutaneo grazie all’esposizione alla luce solare, con meno del 10% proveniente da fonti alimentari. Recentemente il suo recettore (VDR) è stato trovato a livello di ovaie, utero, placenta e testicoli, nonché a livello di ipotalamo e ipofisi, suggerendo un suo ruolo nella fisiologia riproduttiva. 

Funzioni della vitamina D

La funzione principale e più nota della vitamina D è quella di favorire il processo di mineralizzazione dell’osso, aumentando l’assorbimento intestinale di fosforo e calcio, e diminuendo l’escrezione di calcio nell’urina. Oltre alle azioni sul tessuto osseo, la vitamina D ne svolge numerose altre raggruppate comunemente sotto il termine di azioni extra-scheletriche. 

Tra queste è di particolare importanza il suo contributo al buon funzionamento del sistema di difesa dell’organismo (sistema immunitario). In particolare, la vitamina D è importante per l’attivazione della prima linea di difesa contro alcuni microrganismi patogeni poiché aumenta la capacità delle cellule del sistema immunitario, preposte a questa funzione, di eliminare microrganismi. Inoltre, ha la capacità di modulare la risposta infiammatoria controllando il grado di attivazione di molte cellule del sistema immunitario e la produzione di fattori che intervengono nell’infiammazione.

Vitamina D e fertilità

Un numero crescente di prove suggerisce anche come livelli carenziali siano associati a manifestazioni tipiche della sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) – tra cui anovulazione, iperandrogenismo e insulino resistenza – e come la sua integrazione, volta a ripristinare valori circolanti ottimali, sia in grado di migliorare la ciclicità mestruale, l’iperandrogenismo e vari aspetti metabolici di questa sindrome.

Alcuni studi hanno evidenziato una correlazione positiva fra livelli sierici di vitamina D e di AMH (o ormone Antimulleriano, il cui valore, secondo molti studiosi, è un indicatore della fertilità femminile perché consente di valutare il numero dei follicoli primordiali residui): una carenza della prima sembrerebbe associata a una riserva ovarica inferiore, sebbene questo aspetto vada indagato ulteriormente. Da altri studi è emerso come la vitamina D – attraverso il legame al suo recettore endometriale e la modulazione del sistema immunitario, aspetto cruciale durante l’impianto embrionale – possa aumentare la ricettività dell’endometrio e dunque la possibilità di gravidanza.
Diverse ricerche sottolineano infine l’importanza di questa vitamina in gravidanza poiché coinvolta nello sviluppo placentare e nel fetal programming.

Tuttavia, “È doveroso sottolineare che gli studi finora condotti su vitamina D e fertilità giungono a risultati eterogenei e talvolta contrastanti. Sebbene la carenza di vitamina D sembra possa essere dannosa per la fertilità, non è chiaro se livelli più elevati conferiscano benefici aggiuntivi una volta raggiunta la sufficienza”, spiega il dott. Domenico Carone, Specialista in Ginecologia ed Ostetricia con Indirizzo in Fisiopatologia della Riproduzione Umana e Coordinatore Medico di Clinica Eugin Taranto.

Fonti di vitamina D

Circa il 90% della vitamina D presente nell’organismo è ottenuta dall’azione dei raggi solari sul colesterolo della cute, che si trasforma in vitamina D. Il resto, circa il 10% proviene dagli alimenti. Sono ricchi di questa sostanza:

  • pesce grasso, come salmone, sardine, aringhe e sgombri (4,2-17 microgrammi per 100 grammi)
  • fegato
  • tuorli d’uovo (4,5 microgrammi per 100 g)
  • cioccolato, ha contenuti apprezzabili di vitamina D in 100 grammi, anche se non è una quantità da consumare con frequenza per l’elevato apporto calorico
  • frutta e verdure, in minima quantità e nella variante meno biodisponibile (vitamina D2)
  • funghi, contengono vitamina D2 di origine vegetale.

Valori ideali e integrazione di vitamina D

In Italia, dall’inizio della primavera alla fine dell’estate, una persona sana e senza particolari fattori di rischio dovrebbe essere in grado di ottenere quantità sufficienti di vitamina D dai raggi solari. La quantità di vitamina D prodotta dipende, però, da molti fattori, tra cui l’ora del giorno, la stagione, la latitudine e il colore della pelle. A seconda di dove si vive o dello stile di vita, la produzione di vitamina D potrebbe diminuire o essere completamente assente durante i mesi invernali. 

Ma quali sono i valori ideali? In una nota dell’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco, 2019) con la quale sono state aggiornate le indicazioni per la “Prevenzione e trattamento della carenza di vitamina D” nella popolazione adulta, si indicano come valori desiderabili di 25(OH)D valori compresi tra 20 e 40 ng/mL. Valori indicativi di “carenza” di vitamina D sono individuati, invece, per valori di 25(OH)D inferiori a 20 ng/mL.

Tuttavia, “Per quanto sia importante individuare queste carenze nel minor tempo possibile, si sconsiglia sempre il fai-da-te, soprattutto per quanto riguarda l’assunzione di eventuali integratori”, suggerisce il dott. Carone. “Se in alcuni casi possono essere solo inutili e superflui, in altri potrebbero essere dannosi, per esempio interferendo con eventuali farmaci assunti”, conclude l’esperto.

Per questo motivo si consiglia di confrontarsi sempre con lo specialista di riferimento, che saprà guidare verso la scelta più razionale.