Quando il bambino non vuole mangiare: i consigli della pediatra

Dallo svezzamento, al baby food, al rifiuto del cibo: come avvicinare il bambino a una corretta alimentazione

Foto di Luana Trumino

Luana Trumino

Editor specializzata in Salute & Benessere

Laureata in Scienze dell’Alimentazione e Nutrizione Umana, da oltre 15 anni scrive di benessere, occupandosi prevalentemente del rapporto tra nutrizione e salute.

“Aiuto, mio figlio mangiava benissimo fino a qualche mese fa, e adesso rifiuta il cibo che prima adorava”. Oppure “Mio figlio accetta di mangiare solo pasta o prosciutto”. Basta fare un giro tra le community dedicate ai genitori per notare che il rifiuto del cibo o la selettività alimentare sono temi abbastanza comuni. Condizioni che destano non poche preoccupazioni alle mamme e ai papà. 

In genere, le prime difficoltà si manifestano dopo lo svezzamento, raggiungendo la massima espressione della lotta contro il cucchiaino nel periodo tra i 2 e i 3 anni. Ma niente paura. “A mangiare si impara come si imparano le tabelline, cioè ripetendo la stessa cosa più volte, in tempi ravvicinati, con atteggiamento positivo. Quindi, più viene offerto un alimento più viene apprezzato”. Ne è convinta la dott.ssa Margherita Caroli, pediatra di lunga esperienza ed esperta di nutrizione per la Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (SIPPS) che, al Congresso della Società scientifica intitolato ‘Napule è’ (edizione 2021), ha presentato un documento di indirizzo sull’alimentazione complementare.

L’importanza dell’alimentazione nei primi 1000 giorni di vita

È ormai dimostrato che l’alimentazione nei primi 1000 giorni di vita è in grado di influenzare non solo la salute del bambino, ma anche dell’adulto che sarà. Proprio in questi anni, infatti, si modellano le vie del metabolismo, che saranno poi responsabili del buono o del cattivo funzionamento dell’organismo, sia perché a questa età iniziano a stabilirsi le abitudini e i gusti alimentari che poi si stabilizzano nelle età successive, e che sarà sempre più difficile modificare man mano che il bambino cresce. Una vera e propria azione di prevenzione in grado di proteggere il bambino da malattie cardiovascolari e obesità e dallo sviluppo di alcuni tumori. 

Come iniziare lo svezzamento

In tema di alimentazione complementare, nelle prime fasi di introduzione dei cibi solidi per i lattanti, è necessario ricordare che “l’alimentazione complementare va differenziata se il bambino è allattato al seno o con formula. Ad esempio, nel caso di bambini allattati al seno – spiega l’esperta – bisogna iniziare con le proteine (bastano 10 grammi al giorno di carne o di pesce); mentre, per i bambini allattati con formula questa supplementazione non è necessaria (dato che il latte in formula ha un carico proteico e di ferro superiore a quello materno) e occorre, invece, dare alimenti dai sapori diversi, cambiando molto, partendo da frutta e verdura. Questo perché i bambini allattati con formula sono abituati a un unico sapore, mentre quelli allattati al seno sentono sapori diversi in base a quello che ha mangiato la mamma. In un certo senso, quindi lo svezzamento del bambino allattato al seno è più facile”.

Baby food

Un altro tema affrontato dal documento di indirizzo è quello del baby food marketing. “Seguendo una legge europea – illustra la pediatra e consulente dell’OMS – le aziende possono indicare i 4 mesi come età minima a partire dalla quale i loro alimenti sono adeguati. In realtà, l’OMS dice che si deve partire a 6 mesi e ci sono moltissimi documenti che dimostrano come la somministrazione di alimenti solidi prima di quell’età sia inutile se non dannosa. Così, la Commissione europea ha chiesto all’EFSA (l’Autorità europea per la sicurezza alimentare) di emettere un parere sull’età in cui si può iniziare a somministrare cibi solidi, con l’obiettivo di arrivare a variare questa indicazione sulle confezioni di baby food, obbligando le aziende a scrivere ‘dal sesto mese compiuto’. L’EFSA ha espresso il proprio parere sostenendo la somministrazione di alimenti solidi prima dei sei mesi non crea problemi, ma non porta neanche vantaggi, per cui non esiste alcun motivo per dare alimenti diversi dal latte prima dei sei mesi”.

Quando si rifiuta di assaggiare un alimento

“I genitori – consiglia l’esperta – non devono andare in crisi se il bambino si rifiuta di assaggiare un alimento o se, una volta assaggiato, ne mangia poco. Così come non si impara una tabellina al primo colpo, allo stesso modo non si può apprezzare un alimento somministrato una sola volta. Bisogna quindi somministrarlo almeno 10 volte, a distanza ravvicinata, senza imposizioni e ricordando che nessun bimbo morirà se andrà a letto quasi a digiuno. Prima o poi mangerà, tutti i bambini sani alla fine mangiano quando capiscono che non ci sono alternative”. 

Dagli da mangiare alla prima fame

“Noi siamo geneticamente programmati per apprezzare maggiormente i cibi grassi e dolci”, spiega la dott.ssa Caroli. “Bisogna dunque avere pazienza e stimolare il bambino ad apprezzare anche i sapori più amari o più acidi o quelli delle verdure”. Allo stesso modo, aggiunge, “è bene sapere che l’ipoglicemia delle fasi iniziali della fame è quella che stimola le papille gustative e le rende più predisposte a nuovi sapori. Partendo da questa informazione, bisogna imparare a proporre ‘a prima fame’ e non demordere”.

All’asilo mangia, a casa no

Cosa fare, invece, quando gli stessi alimenti mangiati volentieri alla mensa dell’asilo o della scuola, vengono rifiutati a casa? “In questo caso – constata la pediatra – vuol dire che i genitori sono un po’ ‘deboli’ e i bambini hanno capito di poter far leva per ottenere quello che vogliono. I genitori – tiene a ricordare – devono essere un muro di protezione e di sostegno per i bambini, un muro che non deve sgretolarsi al loro primo ‘no’”, conclude l’esperta.