Non sono una presenza costante sui banchi del mercato, ma non per questo sono meno deliziosi rispetto ai frutti più comuni.
Alcune varietà di frutta, infatti, sono meno conosciute perché considerate poco produttive e per questo restano fuori dalla grande distribuzione. Tuttavia, in quanto a sapore e a benefici per la salute, non hanno nulla da invidiare ai frutti più noti.
Sono, infatti, definiti “antichi o dimenticati” proprio perché non sono facilmente reperibili nei negozi di tutti i giorni. Per assaporarli però, si possono acquistare mercati locali o di filiera corta.
Ad esempio, le sorbe che maturano in autunno, oppure la giuggiola, da cui deriva l’espressione “andare in brodo di giuggiole” che cresce nelle aree collinari e montane. Oppure i gelsi, un tempo coltivati per l’allevamento dei bachi da seta, così come le pere e le mele cotogne o il corbezzolo, tipico della macchia mediterranea e diffuso soprattutto in Sardegna.
Sono davvero tante le varietà di frutti dimenticati, vale la pena conoscerli e riscoprirli.
Indice
Frutti dimenticati e la perdita della biodiversità agricola
Preservare il nostro ambiente e conservare la biodiversità è fondamentale non solo per la nostra sopravvivenza, ma anche per la nostra evoluzione.
Purtroppo la corsa al profitto, sempre più marcata, minaccia gravemente questi aspetti. Gli alimenti che mangiamo sono sempre più prodotti industrialmente e sempre meno naturali e le scelte alimentari sono il più delle volte influenzate dalla pubblicità e non dalla qualità dei cibi.
Forse è arrivato il momento cambiare i nostri modelli di consumo e produzione, per offrire cibi salutari e saporiti senza danneggiare l’ambiente naturale.
È sorprendente quanto rapidamente alcuni frutti sono stati dimenticati: basta tornare indietro di sole due generazioni per parlare di frutti antichi o dimenticati.
La frutticoltura moderna, e quindi industriale, ha gradualmente sostituito varietà di frutti che una volta erano comuni sulle tavole dei nostri nonni. Si tratta di frutti che rappresentano un tesoro di biodiversità, il risultato di un lungo processo evolutivo e della selezione realizzata dai contadini nel corso dei secoli.
In Italia, il patrimonio di conoscenze sui frutti antichi coinvolge appassionati e ricercatori. E mentre la scienza si concentra sul riutilizzo di queste varietà per un’agricoltura sostenibile, è essenziale riconoscere il ruolo sociale delle agricolture storiche nel conservare le varietà locali e per offrire ai consumatori la possibilità di riscoprire sapori quasi perduti e ricchezza nutrizionale.
Quante varietà si sono perse?
L’evoluzione agricola dettata dal mercato ha avuto come effetto un impoverimento della biodiversità e la significativa riduzione della varietà non solo ambientale, ma anche culturale e gastronomica.
Secondo uno studio della FAO, nel Novecento, il 75% della biodiversità agricola è stato abbandonato. Si prevede che entro il 2055, il cambiamento climatico potrebbe causare l’estinzione del 16-22% delle specie selvatiche imparentate con colture comuni come patate, fagioli e arachidi.
Tra le piante più colpite da questa restrizione ci sono peschi, mandorli e ciliegi, mentre per albicocchi e peri l’impoverimento varietale è ancora più drammatico, arrivando all’88%.
Tra il 1950 e il 1983, nel meridione, sono state abbandonate 75 delle 103 varietà locali. Ricerche recenti dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) in Emilia-Romagna e Puglia confermano questa tendenza, evidenziando che oggi l’80% delle mele consumate in Italia proviene da solamente tre varietà, nonostante l’esistenza di quasi mille varietà nel solo territorio italiano.
Anche la biodiversità vitivinicola italiana ha subito una forte riduzione. Un parassita di origine americana arrivato in Europa alla fine dell’800, ha decimato centinaia di vitigni autoctoni, diminuendo a meno della metà il numero originario.
Oggi, le dodici uve più coltivate coprono quasi la metà dei terreni vinicoli italiani. Ciò si deve però non solo agli eventi naturali ma a una selezione mirata a fini commerciali.
Quali sono i frutti antichi o dimenticati?
Il termine “frutti dimenticati” evoca una certa nostalgia. Questi frutti, che un tempo valorizzavano la nostra alimentazione, erano usati sia freschi, sia nella preparazione di cibi da conservare per l’inverno.
Coltivati o raccolti allo stato selvatico, sono piante che donavano principi nutritivi importanti per la salute.
Sebbene siano stati esclusi dai canali commerciali, i frutti dimenticati, infatti, vantano eccellenti proprietà salutistiche.
Ecco allora alcune delle tante varietà di frutta dimenticata, ma assolutamente degne di essere gustate e portate in tavola.
Giuggiole
Originarie probabilmente della Cina, sono frutti rossicci simili alle olive, dolci e aromatici. Sono impiegate soprattutto nella preparazione di sciroppi, canditi e liquori. Ma hanno anche proprietà lenitive e idratanti per la pelle.
Mele e pere cotogne
Il cotogno ha una storia di coltivazione millenaria, ma oggi è piuttosto raro. I suoi frutti, simili a mele o pere, sono utilizzabili solo per preparazioni a lunga conservazione come marmellate e gelatine. Sono noti in particolare perché favoriscono la digestione.
Castagno di Mindino
È un enorme castagno che si trova nella provincia di Cuneo. La varietà è chiamata
localmente Gabbiana ed è una castagna di piccole dimensioni, dal sapore molto dolce che viene utilizzata anche essiccata per produrre farina.
Fico brianzolo
Il fico brianzolo è fra i migliori fichi lombardi ed era stato descritto già nel 1817. È piccolo, cucurbiforme, panciuto, simile a una cipolla; ha una buccia verde e polpa rossastra.
Quando è ben maturo, è morbido e saporito e può competere degnamente con le varietà del Mezzogiorno.
Nespolo
Il nespolo, un arbusto spontaneo diffuso in Europa, è conosciuto fin dai dagli antichi Romani. I frutti, piccoli e tannici, sono consumati in autunno dopo un processo di ammezzimento che ne addolcisce la polpa. Dal nespolo si ricavano marmellate, salse, liquori e il legno è apprezzato in falegnameria.
Pera da sidro
Varietà di pera molto antica, prodotta da grandi alberi dalla chioma voluminosa che producono pere ottime per il sidro e sono caratteristici dell’area friulana.
In particolare, le piante di pero di Camporosso sono molto alte e producono ancora tanti frutti che però non sono più utilizzati per la produzione del sidro e sono lasciati cadere a terra.
Pera festaro
È una vecchia varietà coltivata nelle due valli del Veneto Valle Dell’Agno e del Chiampo, ma è poco diffusa e la si commercializza solo nei mercatini locali delle due valli.
La pera è chiamata anche sestaro per la sua forma di cesta (in dialetto veneto “sesta”).
Il frutto è di media grandezza e molto panciuto; la buccia è verde e rosso arancio nelle parti rivolte al sole; la polpa è dolce-acidula, granulosa, croccante, molto succosa e piuttosto profumata. È ricca di proprietà organolettiche.
Pera Trentatré
Arriva dal Parco Nazionale della Majella. È una pera invernale di forma ovale, con il picciolo corto, ma molto grande, dal colore verde della buccia ricoperta quasi completamente da un colore marrone chiaro.
Pera lardara
Tipica delle zone nei pressi di Salerno, è un frutto antichissimo, sporadicamente ancora
Coltivato e raccolto ancora acerbo a ottobre e fatto maturare in cantina, sott’acqua, in un’anfora di terracotta chiamata “pirànna”, cioè contenitrice di pere.
Pera volpina
È una varietà di pera antica, di piccola taglia, tipica della Romagna. Questo frutto autunnale è adatto soprattutto per la cottura, poiché particolarmente resistente al calore. È ideale per preparare dolci e composte. Ha un sapore deciso, aspro e tannico e una consistenza soda.
A livello nutrizionale, è povera di zuccheri e di calorie ma ricca di vitamine e sali minerali e di fibre.
Corbezzoli
Il corbezzolo è un arbusto sempreverde del Mediterraneo, noto per le sue bacche rosse e piccole che maturano in autunno. Utilizzate in cucina per fare marmellate e salse, queste bacche hanno anche proprietà antisettiche e antinfiammatorie. È anche apprezzato per il suo valore ornamentale che decora il paesaggio tutto l’anno.
Sorbe
La sorba è un albero tipico della regione mediterranea. Produce piccoli frutti che ricordano le pere e che devono fermentare prima del consumo. Noti per le loro proprietà diuretiche e il contenuto di vitamina C, questi frutti sono utilizzati per preparare ottimi sciroppi e marmellate. Il legno della sorba è anche apprezzato in falegnameria per la sua robustezza.
Uva vecchia
Si tratta di un vitigno antico, un tempo diffuso nelle campagne toscane, con un’uva dal colore rosa antico che era coltivata sia per la vinificazione sia come uva da tavola. Produce grappoli di piccole dimensioni con chicchi rosati, dolci e dal sapore gradevole. Ha una buccia abbastanza spessa che lo rende resistente alle avversità. Si tratta di viti molto rustiche che però sono state soppiantate dai vitigni di nuova generazione, più produttivi.
Uva di Corinto
È un vitigno bianco, legato alla provincia di Catania. È un’uva antichissima ritenuta estinta già da secoli. I grappoli sono morbidi, vellutati e di piccole dimensioni. Gli acini sono di colore dorato a maturazione. Di questo vitigno esistono solo pochi esemplari nella zona dell’Etna.
Corniole
La corniola è un arbusto resistente che produce frutti simili alle olive, maturi in estate e di color vinaccia. Dolci e leggermente aciduli, sono ideali per marmellate e infusi. Le corniole sono anche rinomate per le loro proprietà toniche e astringenti. La pianta ha anche valore ornamentale.
Mela uncino
Tipico delle è un frutto dalla forma allungata, troncato in punta; il suo colore è verde finemente puntato di bianco, dal sapore dolce-acidulo. Matura verso novembre e si conserva bene in fruttaio fino a tarda primavera. Questa antica mela ha un sapore molto delicato.
Mela limoncella
Tipica del Molise, la sua presenza è documentata da qualche vecchio albero. È la tipica mela da conservare, conosciuta e apprezzata (sapore e aspetti salutistici) solo nei mercati locali.
Arancia staccia
Cresce in Basilicata ed è un del frutto appiattito, a forma di disco che può raggiungere anche 1 kg di peso. Il sapore è amarognolo. Diversi contadini sono tornati a coltivarla, ma la produzione complessiva non supera i 350 quintali all’anno
Arancia di Trebisacce
Calabria, terra di agrumi, in provincia di Cosenza si sta cercando di riportare alla luce questa varietà di arancia, probabilmente un ecotipo del gruppo Biondo Comune, che aveva caratterizzato l’agrumicoltura storica italiana e che si era diversificata in diversi tipi.
Azzeruole
Sono frutti di un arbusto antico, prevalente nelle zone collinari del Mediterraneo. Simili alle nespole per sapore e utilizzo, sono ricche di vitamina A e possiedono proprietà lassative e diuretiche. Questi frutti, dal gusto caratteristico, sono impiegati nella preparazione di marmellate e infusi. L’azzeruolo è anche amato come pianta ornamentale.
Ciliegie Bianche
Sono una varietà unica, spesso trascurata dal mercato per il loro colore insolito. Questi frutti hanno un sapore dolcissimo e sono ideali per la conservazione sotto spirito o canditi. Deperiscono rapidamente dopo la raccolta, quindi richiedono un consumo veloce. La loro dolcezza e rarità le rendono però una prelibatezza speciale.
Pesca tabacchiera
Questo frutto, originario dell’Etna e noto per la sua forma piatta, è stato migliorato geneticamente per resistere al freddo e ampliare la stagionalità di maturazione, guadagnandosi un posto nei mercati moderni per la sua dolcezza.
Frutti dimenticati e dieta
I frutti dimenticati sono un tesoro nascosto nello scenario alimentare moderno. Originariamente coltivati e consumati per le loro qualità nutrizionali e per la loro adattabilità all’ambiente, molti di questi frutti sono stati gradualmente esclusi dalle diete contemporanee a favore di varietà più commercializzabili, spesso meno nutrienti e più uniformi nel gusto.
Nonostante la loro ridotta presenza nei mercati di oggi, i frutti come le nespole, le azzeruole, le sorbe e le ciliegie bianche, offrono diversi benefici per la salute.
Ricchi di vitamine, minerali e antiossidanti, questi frutti possono sostenere dieta equilibrata, apportando nutrienti che spesso mancano nei frutti più commerciali.
Ad esempio, le sorbe e le azzeruole sono note per l’alto livello di vitamina C e antiossidanti che rafforzano il sistema immunitario.
Integrare i frutti dimenticati nella dieta quotidiana quindi non solo apre il palato con sapori nuovi, ma può anche rivitalizzare pratiche agricole locali e sostenibili, preservando la biodiversità e sostenendo gli agricoltori che scelgono di coltivare queste varietà meno comuni.
Inoltre, la loro riscoperta può stimolare l’interesse per le tradizioni culinarie regionali di una volta e la creatività, dalle marmellate artigianali ai dessert, fino ai condimenti e alle bevande dal gusto un po’ diverso dal solito.
Ogni frutto dimenticato che ritorna nelle nostre cucine è una piccola vittoria per la diversità biologica e culturale.
Fonti bibliografiche
- Frutti dimenticati e biodiversità recuperata, ISPRA
- Casola Valsenio, la Festa dei frutti dimenticati, Regione Emilia Romagna
- Frutti dimenticati. Una riscoperta nutrizionale del territorio italiano, CREA