Tumore dell’ovaio, quanto e come dipende dai geni

Un caso su quattro di tumore maligno dell'ovaio dipende da una mutazione genetica: i test su misura e la chirurgia preventiva

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

La scelta di Bianca Balti di rimuovere tube ed ovaie per la presenza di un rischio aumentato di sviluppare un tumore riporta l’attenzione sul ruolo del Dna nella possibile genesi dei tumori femminili. Secondo la scienza, circa in un caso su quattro di tumore maligno dell’ovaio entrano in gioco mutazioni dei geni BRCA1 e BRCA2. Ma va detto che al momento ci sono altre sfide da vincere, come la necessità di strategie di screening che oggi non ci sono, tanto che in molti casi la donna presenta una malattia avanzata già al momento della diagnosi. Ma quando e perché serve conoscere le mutazioni dei geni?

Test su misura al momento della diagnosi

“Conoscere lo stato mutazionale di questi due geni è molto importante ed il test BRCA dovrebbe essere effettuato su tutte le pazienti al momento della diagnosi. – spiega Saverio Cinieri, Presidente AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica). È questa la via da seguire per definire le migliori strategie terapeutiche e iniziare il percorso familiare che può permettere l’identificazione di persone sane con mutazione BRCA, nelle quali impostare programmi di sorveglianza intensiva, medici e chirurgici, per la riduzione del rischio di sviluppare il carcinoma ovarico.

L’asportazione chirurgica preventiva deve quindi inserirsi in un articolato percorso di consulenza oncogenetica in centri specializzati”. L’analisi genetica, pur se nella complessità di una diagnosi ancora difficile da ottenere precocemente, consente comunque di mettere in atto strategie efficaci di riduzione del rischio, sia mediche che chirurgiche.

“Questi approcci, stando alle stime, attuati nelle parenti sane positive al test genetico preventivo, sono in grado di portare ad una riduzione dell’incidenza del carcinoma ovarico del 40% in 10 anni – fa sapere l’esperto. Delle 5200 nuove diagnosi ogni anno in Italia, 1300 sono determinate da alterazioni in questi due geni”.

Cosa combinano i geni?

BRCA1 e BRCA2 producono proteine in grado di bloccare la proliferazione incontrollata di cellule tumorali. Quando sono mutate, cioè difettose, il DNA non viene riparato correttamente e si determina un accumulo di alterazioni genetiche, che aumenta il rischio di cancro. Una mutazione di BRCA1 e BRCA2, ereditata dalla madre o dal padre, determina quindi una predisposizione a sviluppare il tumore più frequentemente rispetto alla popolazione generale.

Le donne che ereditano la mutazione BRCA1 hanno una probabilità del 40% di sviluppare un tumore ovarico nel corso della vita. Le percentuali sono inferiori per il gene BRCA2, pari al 18%. “L’informazione sull’eventuale presenza della mutazione BRCA va acquisita al momento della diagnosi, perché può contribuire alla definizione di un corretto percorso di cura che parta dalla prima linea di trattamento – fa notare Cinieri. E, nei familiari che presentano la mutazione, devono essere avviati programmi di sorveglianza intensiva, che spaziano dai controlli semestrali fino all’asportazione chirurgica delle tube e delle ovaie”.

Come si controlla la situazione

Se si scopre la presenza di mutazioni genetiche, nelle donne che desiderano avere figli  sono raccomandati un controllo semestrale di un marcatore tumorale (CA-125) insieme all’ecografia ginecologica transvaginale. “Dall’altro lato, l’asportazione chirurgica di tube ed ovaie (annessiectomia profilattica bilaterale) può prevenire la quasi totalità dei tumori ovarici su base genetico-ereditaria – è la conclusione di Cinieri.

La chirurgia profilattica è oggi consigliata nelle donne con mutazione genetica che hanno già avuto gravidanze o che siano in menopausa. Sono fondamentali la condivisione della scelta e il supporto psicologico, soprattutto nelle donne ancora in età fertile. Nell’assumere queste decisioni, va quindi considerata l’età della donna, il tipo di mutazione e la pianificazione di eventuali gravidanze”.