Sindrome del piatto vuoto, un disturbo da non sottovalutare

Spesso confusa con la semplice ingordigia, la sindrome del piatto vuoto ci fa perdere il controllo sul cibo e su noi stessi. È importante saperla riconoscere.

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Matteo Migliaccio

Farmacista, nutrizionista e Personal Trainer

Laureato in Farmacia e in Scienze della Nutrizione Umana, attualmente svolge la libera professione di nutrizionista, con l’obiettivo di migliorare lo stato di salute delle persone attraverso una corretta alimentazione e uno stile di vita attivo.

Siamo alla fine del cenone di Capodanno, sulla tavola una volta impeccabilmente apparecchiata sembra essere passato un tornado. Bicchieri mezzi pieni, posate sporche e vassoi da portata semivuoti giacciono ormai senza nessuna pretesa da parte dei commensali, ma ad un tratto una mano si allunga per prendere l’ultimo pasticcino rimasto su di un piatto, perché lasciarlo lì sembra uno spreco, sembra che qualcosa sia fuori posto.

Questa è la sindrome del piatto vuoto, un disturbo del comportamento alimentare che può portarci inconsapevolmente ad aumentare di peso.

I disturbi del comportamento alimentare

I disturbi del comportamento alimentare (DCA), sono un insieme eterogeneo di disturbi che affliggono la sfera psicologica del soggetto che ne è vittima andando a modificare il suo rapporto con il cibo e l’alimentazione, portandolo spesso verso lo sviluppo di stati patologici quali l’anoressia, l’obesità e non solo.

L’anoressia nervosa (AN) è un disturbo che porta il soggetto a ridurre progressivamente o repentinamente il suo consumo alimentare. Questa riduzione causerà la perdita di peso da parte della persona arrivando a raggiungere valori ben al di sotto del suo peso ideale, i quali comprometteranno profondamente il suo stato di salute.

La bulimia nervosa (BN) è un disturbo del comportamento alimentare caratterizzato da periodi di digiuno interrotti da altri periodi in cui si ricorre a grandi abbuffate le quali porteranno a consumare enormi quantità di cibo in brevi periodi di tempo. Queste abbuffate saranno seguite da sforzi volontari per eliminare immediatamente le calorie consumate mediante vomito, eccessivo uso di lassativi e diuretici o esercizio fisico portato all’estremo.

Sia le persone affette da bulimia nervosa che quelle affette da anoressia nervosa quindi, cedono in maniera incontrollata alle tentazioni della tavola per poi adottare dei meccanismi compensatori che cercano di ridurre l’introito calorico ma, a differenza dei soggetti che soffrono di anoressia, i bulimici sembrerebbero non riuscire a controllare la propria fame andando così incontro ad abbuffate più frequenti.

Un altro disturbo del comportamento alimentare molto diffuso è il disturbo da alimentazione incontrollata conosciuta oltreoceano come binge-eating disorder (BED), per il quale i soggetti che ne sono affetti arrivano ad ingerire rapidamente e compulsivamente grandi quantità di cibo, senza però effettuare meccanismi compensatori tipici dei precedenti due disturbi.

Questi disturbi pur essendo diversi presentano moltissime similitudini, ed infatti possono iniziare con un’ossessione per l’immagine del proprio corpo.

Molti pazienti che presentano queste DCA sembrano oscillare tra le diverse diagnosi a seconda delle circostanze e del contesto, questo ci fa capire che la differenza tra le patologie è molto sfumata e spesso di difficile definizione.

Pazienti affetti da bulimia nervosa o da disturbo da alimentazione incontrollata possono arrivare con il tempo a sviluppare uno stato di obesità o sovrappeso che li porterà ad aggravare ulteriormente la loro salute, alcuni comportamenti come il consumare il cibo molto rapidamente o la tendenza a terminare sempre quello che si ha nel piatto o che si è messo in tavola, comportamento tipico della sindrome del piatto vuoto, possono influenzare questo processo.

L’obesità ed i suoi rischi

L’obesità è definita dall’organizzazione mondiale della sanità come un eccessivo accumulo di grasso corporeo in relazione alla massa magra, è una malattia complessa le cui cause sono multifattoriali e quindi da ricercarsi in svariati fattori che vanno oltre la semplice combinazione di una dieta inadeguata ed un inadeguato livello di attività fisica.

Gli individui obesi vengono classificati in tre categorie in base al loro valore di BMI (Body mass index):

Sovrappeso 25,0 – 29,9 kg/m2
Obeso I grado 30,0 – 34,9 kg/m2
Obeso II grado 35,0 – 39,9 kg/m2
Obeso III grado ≥ 40 kg/m2

L’obesità compromette lo stato di buona salute dell’individuo in quanto è stato riscontrato che aumenta il rischio di sviluppare patologie quali:

Inoltre aumenta anche il rischio di morte per tutte le cause. Questo è possibile perché il tessuto adiposo si comporta come se fosse un vero e proprio organo, presenta la capacità di secernere ormoni e riceve l’influenza di ormoni secreti dagli altri organi, inoltre nell’organismo dell’individuo obeso per via della così importante presenza di grasso corporeo si avrà un continuo stato di infiammazione silente che negli anni e nei decenni andrà a promuovere lo sviluppo di patologie degenerative, non ultime i tumori.

L’obesità quindi è un vero e proprio problema socio-sanitario che riguarda quasi tutti i paesi a livello mondiale, infatti viene ormai considerata un’epidemia.

Spesso le ragioni dello sviluppo dell’obesità da parte di un individuo possono affondare le loro radici anche nella sfera emotiva e psicologica del soggetto stesso, per questo molte volte queste persone non hanno solo bisogno di una dieta ipocalorica che li aiuti a ridurre il girovita, ma di veri e propri percorsi dietetici che devono essere comprensivi dell’aiuto di più professionisti nell’ambito della nutrizione, del movimento e della salute psichica.

L’obesità può essere la conseguenza di disturbi del comportamento alimentare, che negli anni portano l’individuo ad un costante aumento di peso.

La sindrome del piatto vuoto può giocare un ruolo importante in questo processo, in quanto causa un aumento inconscio ma costante delle calorie introdotte durante i pasti che andranno negli anni ad instaurare questo stato patologico, saperla riconoscere quindi può essere d’aiuto per ridurre l’incremento ponderale.

La sindrome del piatto vuoto

La sindrome del piatto vuoto, spesso scambiata per semplice ingordigia, è una sindrome che spinge gli individui che ne sono affetti a consumare gli alimenti e le pietanze che avanzano sulla tavola dopo la fine di un pasto, questo comportamento però non viene adottato in risposta allo stimolo della fame, ma solo per non far avanzare tali pietanze.

Può far parte di disturbi del comportamento alimentare più complessi e radicati nel soggetto come la bulimia nervosa ed il disturbo da alimentazione incontrollata, che lo portano ad avere un rapporto conflittuale con l’alimentazione e negli anni a sviluppare uno stato di sovrappeso o di obesità.

Infatti la sindrome del piatto vuoto è stata analizzata attraverso alcuni studi che ne hanno delineato gli aspetti e le caratteristiche, trovando delle associazioni tra la tendenza a consumare tutto il cibo a disposizione sulla tavola e l’aumento di peso dei partecipanti. Questo ci fa capire che la sindrome del piatto vuoto può essere effettivamente implicata nell’aumento di peso degli individui.

Altri studi hanno cercato di indagare il motivo per il quale i soggetti che ne facevano parte erano spinti a consumare il cibo residuo dai loro pasti pur non avendo più fame, ed è emerso che c’è una maggior tendenza al consumo di alimenti palatabili, ossia gustosi, piuttosto che di alimenti sani e meno saporiti.

È stato inoltre osservato che tendiamo a consumare gli alimenti rimanenti se questi sono in una quantità tale da non costituire più una porzione che possa essere usata per soddisfare eventuali appetiti futuri.

Oltre a tutti questi aspetti è emerso che tendiamo ad essere più permissivi con noi stessi andando a sottostimare le calorie che possono derivare dal consumo di quegli alimenti in più rispetto alla quantità di calorie che effettivamente essi apportano, ed inoltre considereremo il tutto non molto influente ai fini del computo calorico generale.

È importante anche capire che questa tendenza può derivare da un comportamento che ci è stato consciamente o inconsciamente tramandato in ambito familiare, per il quale il cibo deve essere terminato a qualunque costo per rispetto della persona che lo ha preparato ed ha reso possibile il suo consumo.

Questa tendenza inserita in un contesto di abbondanza, tipico del mondo occidentale, ed anche ad una scarsa conoscenza dei rudimenti di una sana alimentazione e stile di vita può portare l’individuo ad introdurre quantità importanti di cibi estremamente palatabili e calorici che lo porteranno nel tempo ad aumentare di peso.

I possibili rimedi

La sindrome del piatto vuoto può contribuire in modo importante allo sviluppo dei disturbi del comportamento alimentare o anche nell’aumento di peso del soggetto che negli anni può ritrovarsi in una condizione di sovrappeso o addirittura di obesità.

Esistono degli accorgimenti che possiamo adottare per ridurre il manifestarsi della sindrome del piatto vuoto e l’aumento di peso che ne è la conseguenza.

Mangiare adagio

Consumare il proprio pasto nei giusti tempi è sicuramente un fattore che può rivelarsi determinante nel lungo periodo per limitare in modo inconscio l’introduzione di quantità eccessive di alimenti e calorie.

È provato da diversi studi che l’abitudine di consumare il cibo troppo velocemente sia associata ad un maggiore rischio di sviluppare condizioni quali il sovrappeso e l’obesità, dedicare quindi almeno 30 minuti ad ogni pasto è sicuramente una strategia importante che consente al nostro organismo di attivare i segnalatori biochimici della sazietà, i quali ci permetteranno di terminare con soddisfazione il nostro pasto.

Masticare lentamente il cibo

Si sente spesso dire che “la prima digestione avviene in bocca”, infatti la masticazione permette al nostro corpo di sminuzzare e ridurre gli alimenti in piccole parti pronte per essere meglio digerite ed assimilate. Inoltre il processo della masticazione invia segnali nervosi verso il cervello che medieranno per l’insorgenza della sazietà la quale ci porterà a terminare più facilmente il pasto.

Cambiare le stoviglie

Per mangiare meno o più lentamente, potremmo decidere di utilizzare diversi tipi di stoviglie da quelle che utilizziamo di consueto.

Usando piatti più piccoli la quantità di cibo che andremo a riporre in essi sembrerà maggiore, come anche utilizzando posate più piccole andremo a ridurre la velocità con la quale consumeremo i nostri pasti.

Per gli amanti dell’oriente invece un’opzione valida potrebbe essere quella di utilizzare delle bacchette al posto delle posate tradizionali, queste ci permetteranno di ridurre la velocità con la quale consumeremo gli alimenti.

Non digiunare

Importante sarà anche non digiunare per troppe ore tra un pasto e l’altro così da riuscire ad arrivare al pasto successivo con non troppa fame.

L’abitudine nelle diete di prevedere, nell’arco delle ventiquattro ore, tre pasti principali e due spuntini è sostanzialmente dettata dal fatto che dilazionando così le proprie calorie giornaliere si avrà meno fame durante la giornata e si riuscirà a resistere meglio alla tentazione di mangiare troppo.

Seguire un piano alimentare personalizzato

Seguire un piano alimentare personalizzato su quelle che sono le nostre preferenze, gli orari delle nostre giornate, i nostri obiettivi e le nostre esigenze ci permetterà di aderire in maniera eccellente al piano stesso riducendo il rischio di abbandono. Inoltre un piano ben strutturato non solo deve contemplare il pasto libero, ma anche renderlo lecito insegnando al paziente come e quando sia possibile adottare un’alimentazione più libera per un singolo pasto o anche per un determinato periodo, così facendo rischieremo di incorrere meno nella sindrome del piatto vuoto.

Essere comprensivi con noi stessi

Un altro aspetto fondamentale è quello di essere realisti e capire che non possiamo e non dobbiamo sempre avere il controllo su tutti gli aspetti della nostra vita, men che meno sul cibo.

Ci saranno sempre dei periodi della nostra vita in cui ricercheremo una maggiore gratificazione da esso e magari tenderemo a non seguire un’alimentazione bilanciata ed a cedere più facilmente alla tentazione di finire l’ultimo pasticcino, ma questo non deve scoraggiarci.

Dobbiamo riuscire ad osservare le cose in prospettiva, e valutare un percorso nutrizionale non per quello che ci può dare nel breve termine, ma nel lungo termine ragionando nell’ottica dei mesi e degli anni e non delle settimane, solo in questo modo riusciremo a godere del cibo in un modo sano e libero.

Fonti bibliografiche

  • Eric Robinson, Paul Aveyad, Susan A. Jebb “Is plate clearing a risk factor for obesity? A cross-sectional study of self-reported data in US adults”. Obesity 2015
  • Eric Robinson, Eva Almiron-Roig, Femke Rutters et all. “A systematic review and meta-analysis examining the effect of eating rate on energy intake and hunger”. The american journal of clinical nutrition, 2014
  • John P.J. Pinel, Steven J. Barnes “Psicobiologia” p 326 X ed. Edra 2018
  • Veronika Ilyuk, Lauren Block, Kelly L. Haws “Justifying by “healthifying”: When expected satisfaction from consumption closure increases the desire to eat more and biases health perceptions of unhealthy leftovers”. Appetite 2019