Sanremo 2022, quello che forse vi siete persi della terza serata

Dal monologo di Roberto Saviano al talento indiscusso di Drusilla Foer: il meglio (e il peggio) della serata del 3 febbraio

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Redazione

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La terza serata del Festival di Sanremo era la più temuta, perlomeno dal pubblico e da noi addetti ai lavori, consapevoli che con 25 artisti da far esibire il miracolo di terminare entro l’1 questa volta non si sarebbe compiuto. La classifica provvisoria vede in testa a combattersi la vittoria ancora Elisa contro Mahmood e Blanco, ma dalla terza posizione in giù qualcosa si è mosso e le prossime due serate potrebbero riservare delle sorprese.

Qui vi raccontiamo com’è andata la serata del 3 febbraio, che secondo noi porta la firma indelebile di Drusilla Foer. E infatti è proprio da lei che partiamo con i nostri top e flop della terza serata.

Scopri come è andata la terza serata.

I Top della terza serata

DRUSILLA FOER – Si era detta preoccupata al punto da temere un attacco di panico, ma non appena entra in scena si prende il palco da artista navigata qual è e strappa più di un sorriso. La gag è evidentemente scritta, ma nonostante si percepisca l’emozione, riesce ad apparire naturale e credibile. È lei la ventata di leggerezza di cui questa terza serata aveva disperatamente bisogno, considerata l’assenza di Fiorello e di altri comici e vista la durata mostruosa della puntata prevista dalla scaletta. D’altronde gli artisti sono 25 e già due serate concluse entro l’1 erano sembrate oro colato. Tornando a Drusilla Foer, ogni sua apparizione è una miniperformance che fa centro, anche quando deve solo introdurre un artista (“25 cantanti, ma lei è pazzo. Io alle 11 e mezza sono a letto” è quanto di più vero potesse essere detto). Quotiamo in pieno il commento di Michele Bravi: “Sono felicissimo che tu sia qui, la tua presenza racconta proprio la meritocrazia.”.

DARGEN D’AMICO – È la quota casinista di questa edizione (un po’ come Lo stato sociale con la vecchia che balla e Francesco Gabbani con la scimmia) e dopo una partenza buona ma non travolgente, si rifà alla seconda occasione entrando in scena coi fiori con cui omaggiare Amadeus e coinvolgendo l’orchestra nella sua ossessione per gli occhiali da sole. La canzone non è certo da Ariston e il gioco gli è reso ancora più difficile dalle regole che impedirebbero al pubblico di alzarsi e ballare pure se lui ci prova a infrangerle buttandosi in platea. Meritava più seguito, ma siamo certi che le radio e gli stream gli daranno la giusta soddisfazione. Outsider.

CESARE CREMONINI – È forse il cantante italiano che più è cresciuto musicalmente negli ultimi anni e la sua performance lo ha dimostrato e consacrato ufficialmente come un mostro sacro del pop nostrano. Il suo medley ci trasporta su un altro pianeta, grazie anche a una scenografia imponente di cui finora nessuno aveva goduto (in questa edizione). Nel podcast del Post dedicato a Sanremo è stato definito il Paul McCartney italiano e se ad alcuni questo paragone può sembrare azzardato consigliamo di rivedere la parola artistica di Cremonini, dagli inizi con i Lùnapop a Poetica, un brano che è già storia della musica. Prodigio.

DITONELLAPIAGA E DONATELLA RETTORE – Ieri ci siamo focalizzati soprattutto sulla Rettore, oggi è il momento di spendere qualche parola per Ditonellapiaga perché sì. Perché è la vera rivelazione di questo Festival. Quando Amadeus ha annunciato i big di questa 72esima edizione della kermesse, in molti si sono chiesti chi fosse. Invece quest’artista è quanto di più fresco, originale e innovativo la musica italiana abbia da offrire. Voce pulita e potente, presenza scenica notevole, non solo per la sua bellezza ma per la capacità di tenere il palco, di divertirsi e rinvigorire in certi momenti la sua compagna di esibizione. Ne sentiremo parlare.

I flop della terza serata

I MONOLOGHI – Intendiamoci: la critica non è ai monologhi in sé, né al loro contenuto. Tutt’altro. Proprio perché questa sera i due monologhi avevano un peso particolare ed erano incisivi e ben fatti, valeva la pena poterli ascoltare prima. E invece ancora una volta ci tocca aspettare quasi la mezzanotte prima di poter assistere all’omaggio ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino ad opera di Roberto Saviano e quasi le 2 prima di ascoltare – davvero – Drusilla Foer.

E proprio nella serata in cui il monologo è stato non solo interpretato, ma raccontato e vissuto a 360°, una delle poche volte in cui non si aveva la sensazione che fosse costruito per dovere e sensazionalismo. “Alla parola diversità preferisco unicità“, dice. Peccato che chi la guardi sia stremato sul divano con un occhio aperto e uno chiuso, troppo stanco per apprezzare davvero quest’artista e le sue parole ricche di significato.

Saviano, invece, ha parlato per poco meno di dieci minuti, che ci hanno ricordato come a uccidere la società, lentamente, ma inesorabilmente, sia il silenzio e quanto invece sia importante la memoria, l’ascolto, il coraggio di far sentire la propria voce e il proprio pensiero. Il suo intervento non è il classico elogio del lavoro dei due magistrati uccisi da Cosa Nostra: è molto di più. Perché ci ricorda come anche allora, pur non essendoci i social, c’erano gli haters e c’era chi considerava Falcone e Borsellino due esibizionisti, senza sapere che il loro metodo di indagine è quello che ancora oggi consente di andare a fondo, di tirare le fila di una rete capillare di criminalità. E Saviano mantiene in vita anche il ricordo di Rita Atria, figlia di un boss ucciso che si era affidata proprio a Borsellino per combattere la mafia e vivere una nuova vita, prima che quello che per lei era diventato quasi un secondo padre le venisse strappato via. Dobbiamo dire grazie a Roberto Saviano per il suo intervento e le sue parole, ma resta l’amaro. Un tema così importante forse avrebbe meritato uno spazio più significativo. Occasione mancata.

IVA ZANICCHI – Iva la si ama a prescindere, anche solo perché a 82 anni ha una vitalità che chi scrive neanche al liceo si sognava. Ma la canzone – diciamocelo – è fra le peggiori di questa edizione. Non perché sia brutta in sé e per sé, ma perché rispecchia tutto quello che Sanremo non è più, quella patina di stantio che con fatica il Festival ha cercato di scrollarsi di dosso per avvicinarsi maggiormente ai giovani e far sì che la manifestazione sia davvero un trampolino di lancio e l’occasione per farsi conoscere da un pubblico più vasto possibile, trovando un punto d’incontro poi coi gusti di chi i dischi – anche se in streaming – li compra. Purtroppo non crediamo che finito il Festival sentiremo questa canzone in radio, ma resta il fatto che quella grinta sul palco fa davvero invidia. Tigre.