Piastrinopenia: cos’è, come si riconosce e perché si sviluppa

La piastrinopenia rivela una scarsità di piastrine. Può essere persistente o cronica e nella maggior parte dei casi non dà sintomi

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Avete presente quando ci tagliamo inavvertitamente o ci sbucciamo un ginocchio cadendo? Il sangue esce, poi si verifica una serie di processi che porta a fermare il flusso e a formare la classica crosticina. Ebbene, questa reazione si verifica perché nel nostro sangue circolano le piastrine, che hanno il compito di provvedere ai processi di coagulazione.

In certi casi, come ad esempio in chi tende a formare coaguli all’interno dei vasi, si cerca di limitarne l’azione per ridurre il rischio d’infarto. Invece, quando sono carenti, come in caso di piastrinopenia, aumenta il rischio di andare incontro a emorragie.

Cosa sono le piastrine e cosa significa piastrinopenia

In pratica le piastrine sono cellule del sangue che all’inizio del loro percorso di vita si “attivano” in questo senso. Derivano  dai megacariociti hanno il compito di provvedere ai normali processi di coagulazione.

Quando si crea una piccola lesione, ad esempio, un esercito di piastrine “suicide” si va a posare lungo i margini della lesione stessa sollecitando al contempo l’arrivo di altre cellule finché il sacrificio di questi piccoli elementi non risulta sufficiente per bloccare la perdita di sangue.

La piastrinopenia – il termine deriva dal greco – rivela una scarsità di piastrine. Questa condizione si può legare ad altre malattie o essere primitiva, quindi isolata, cioè associata alla completa normalità degli altri parametri relativi alle cellule del sangue e dall’assenza di segni clinici, ovviamente escluse le emorragie, che spesso fanno da contorno a questa condizione patologica.

Nell’ambito di questo gruppo eterogeneo di patologie, la piastrinopenia immune primaria, che viene definita anche porpora trombocitopatica idiopatica. Si tratta di una malattia autoimmune, legata a una combinazione di diversi meccanismi che contribuiscono a determinare l’attacco da parte del sistema immunitario dell’organismo nei confronti delle stesse piastrine dell’individuo.

Oltre alla presenza di autoanticorpi (cioè cellule che si scatenano, errando, contro componenti dello stesso organismo cui appartengono), paiono infatti coinvolti diverse aree del sistema immunitario sotto il controllo di particolari linfociti chiamati linfociti T e un’alterazione nella produzione di piastrine da parte del midollo osseo, “l’officina” che sintetizza non solo le piastrine, ma anche i globuli rossi che debbono trasportare l’ossigeno legato all’emoglobina e i globuli bianchi, implicati nei meccanismi di difesa dalle infezioni.

Quanto dura e come si manifesta

Questa specifica patologia, che va identificata precocemente per poter ottenere i migliori risultati terapeutici, può essere persistente (3-12 mesi) o cronica (più di un anno di durata), proprio in base alla sua durata.

In genere, nell’adulto si presenta in maniera subdola, apparentemente senza alcuna causa scatenante e tende a cronicizzare. Nel bambino invece compare quasi sempre dopo un’infezione virale, che potrebbe dare il via al disordine immunitario, e in genere pur avendo un decorso più acuto tende ad autorisolversi.

Nella maggior parte dei casi i pazienti non presentano alcun sintomo ma possono comparire emorragie a carico delle gengive, petecchie, sanguinamenti del tubo digerente. Questi rischi possono essere limitati prestando particolare attenzione alla gravità della piastrinopenia, alla presenza di un’insufficienza renale, all’impiego di farmaci che possono interferire con l’attività delle piastrine.

Vista la complessità della malattia, l’approccio terapeutico va attentamente valutato caso per caso. Lo specialista ematologo può far riferimento a farmaci specifici per tenere sotto controllo la situazione oppure anche puntare su un intervento chirurgico, l’asportazione della milza o splenectomia può diventare il trattamento più efficace. Va comunque ricordato che tutti questi approcci sono gravati da effetti indesiderati a volte molto significativi, e che la splenectomia, in quanto atto chirurgico, è associata a una serie di possibili complicazioni legate all’operazione e alle conseguenze postoperatorie.