Tumore della mammella metastatico, la cura che potrà evitare la chemioterapia

Trastuzumab Deruxtecan, un anticorpo monoclonale farmaco-coniugato, permette di controllare più efficacemente il tumore al seno metastatico

Foto di Federico Mereta

Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Una cura su misura. Anche quando il tumore è in fase avanzata e magari ha già dato metastasi. È questo l’obiettivo dell’oncologia, che sempre di più riesce a differenziare una determinata forma tumorale dalle altre, che pure colpiscono lo stesso organo. Per le forme che si sviluppano nel tessuto della mammella, nel 2023 ci sono state poco meno di 56.000 nuove diagnosi, i passaggi per controllare al meglio la lesione e le cellule che la determinano sono sempre gli stessi.

La prima regola è arrivare presto, sfruttando i controlli, dall’autopalpazione allo screening, con percorsi che sono ovviamente diversi da donna a donna nelle varie età. e poi…. Poi occorre capire le caratteristiche delle unità neoplastiche, che possono cambiare. Per arrivare infine al trattamento mirato in base a queste peculiarità invisibili delle cellule neopplastiche.

Su questo fronte emerge una novità interessante, che fa sperare di poter evitare in certi casi il ricorso alla classica chemioterapia anche in forme tumorali che vedono questo approccio come fondamentale per percorso delle cure. Trastuzumab Deruxtecan, un anticorpo monoclonale farmaco-coniugato, potrebbe cambiare lo standard di cura in prima linea del tumore della mammella metastatico, evitando la chemioterapia dopo la terapia anti ormonale. A segnalarlo sono i dati dallo studio di Fase III DESTINY-Breast06, presentato in Sessione Plenaria al Congresso ASCO (American Society of Clinical Oncology) tenutosi a Chicago.

L’importanza di valutare i recettori

Anche se la diagnosi è la stessa, ovvero, tumore al seno, ci sono tante diverse categorie che differenziano una lesione dall’altra. Per questo si si parla di patologie – e quindi cure – specifiche per ogni donna. Oggi lo specialista è in grado infatti di capire, in base alle caratteristiche delle cellule tumorali e alle mutazioni che subiscono, come affrontare la patologia e predisporre la terapia “su misura” per ogni singolo caso.

In prima battuta, grazie alla biopsia sul tessuto prelevato dal chirurgo e analizzato dall’esperto, si può scoprire innanzitutto se ci sono recettori specifici che possono “guidare” la terapia. Si tratta di “segnalatori” che si trovano sulle cellule e ricevono “indicazioni da sostanze che circolano nel sangue, come ad esempio gli ormoni. La cellula neoplastica può quindi risentire di questi stimoli. La forma più comune è il tumore della mammella positivo ai recettori ormonali: se questi sono presenti, l’unità maligna ha stimoli che le consentono di replicarsi e riprodursi meglio. La presenza di questi recettori viene solitamente considerata in base alla loro quantità: se il loro numero è più elevato, infatti, l’azione sullo sviluppo cellulare è maggiore.

In genere in circa due casi su tre di tumore la patologia si presenta con queste caratteristiche, sia pure se con “quantità” diverse. Diversa è la situazione in caso di positività ad HER-2.  Il tumore in questo caso è caratterizzato dalla produzione di un gene che viene “espresso” in quantità eccessive: questo si comporta come un recettore ed è presente sulla membrana esterna delle cellule patologiche.

In questo senso la positività all’ HER-2 (HER2+) diventa una caratteristica del tumore: in media circa un caso su quattro dei tumori ha queste caratteristiche. Ovviamente la presenza dei recettori non è sempre così specifica per cui è possibile avere anche una doppia sensibilità. Esiste infine una terza possibilità, ovvero l’assenza totale di recettori. Questa situazione si verifica nel tumore  triplo-negativo: in questo caso le cellule tumorali sono negative sia ai recettori ormonali che all’HER-2. Mediamente circa il 15 per cento delle lesioni presenta queste caratteristiche: il quadro è più comune nelle donne giovani.

Cosa dice lo studio

Nella ricerca presentata a Chicago sono state coinvolte 866 pazienti con tumore del seno metastatico, positivo per i recettori ormonali (HR+), HER2-low (713) e HER2-ultralow (153). Tutti hanno ricevuto almeno un trattamento con terapia endocrina. La definizione low e ultralow sta ad indicare la presenza di un numero limitato (o molto ridotto) di recettori per la proteina HER2. Ed è proprio in questo senso che sta la novità.

Lo studio mostra che in chi ha una bassa espressione della proteina HER2 (HER2-low), il farmaco ha ridotto del 38% il rischio di progressione di malattia o morte e la sopravvivenza libera da progressione mediana è stata di 13,2 mesi rispetto a 8,1 con la chemioterapia standard. Migliorato è stato anche il tasso di risposta oggettiva, che ha raggiunto il 56,5% rispetto al 32,3%. Nei pazienti con bassissima espressione della proteina HER2 (HER2-ultralow), questo parametro è più che raddoppiato rispetto alla chemioterapia (61,8% rispetto a 26,3%).

“Nel tumore della mammella metastatico positivo per i recettori ormonali, dopo la terapia endocrina nelle fasi iniziali, lo standard di cura è la chemioterapia, che però è associata a benefici limitati – commenta Giuseppe Curigliano, membro del Direttivo Nazionale AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica). Nello studio DESTINY-Breast06 i pazienti con tumore della mammella metastatico HR+, HER2-low e HER2-ultralow, trattati con trastuzumab deruxtecan, hanno vissuto più a lungo, senza progressione o peggioramento della malattia rispetto alla chemioterapia standard.

I risultati di DESTINY-Breast06 rappresentano un potenziale cambiamento nel modo di classificare e trattare il tumore del seno metastatico, poiché abbiamo la possibilità di utilizzare trastuzumab deruxtecan precocemente nel trattamento del tumore del seno metastatico HR+ e di impiegarlo in una nuova popolazione di pazienti con malattia metastatica, che precedentemente non ha potuto beneficiare di un farmaco mirato dopo la terapia endocrina”.

Perché è un dato importante

In Italia, nel 2023, sono stati 55.900 i nuovi casi di carcinoma mammario. Il sottotipo più comune è quello positivo per recettori ormonali (HR+) e HER2-negativo, che rappresenta il 70% del totale. Si stima che circa il 60%-65% dei tumori al seno HR positivi – HER2 negativi sia in realtà HER2-low e, potenzialmente, un ulteriore 25% possa essere HER2-ultralow. La HER2 è una proteina  che ha una particolare importanza nei tumori perché può essere prodotta in quantità superiore al normale nei tumori della mammella, per garantire una crescita più rapida e  la diffusione nel resto dell’organismo con metastasi.

Quando si parla di tumore avanzato

In cinque-dieci casi su cento quando il tumore al seno viene scoperto ha già dato metastasi a distanza. E più o meno tre donne su dieci svilupperanno questa situazione nel corso della vita, anche dopo una diagnosi di tumore in stadio precoce e conseguenti terapie fin dall’inizio della malattia. In questi casi la diffusione del tumore dal seno interessa altre zone del corpo, come ossa, fegato, polmone o cervello.

Il tumore della mammella metastatico, a differenza della forma non metastatica, è un tumore che ha invaso i vasi sanguigni e/o linfatici ed ha raggiunto altri organi e tessuti, sviluppando nuove sedi di malattia a distanza macroscopicamente visibili. Va ricordato che tra le donne che vivono con diagnosi di tumore della mammella metastatico: il 10% circa di queste ha un’età compresa fra i 40 e i 49 anni. Si tratta  quindi di donne giovani, nel pieno della loro vita familiare e professionale, come madri, mogli e lavoratici. In questi casi, la malattia ha un impatto profondo sull’intera famiglia. Da qui la necessità di opzioni terapeutiche innovative che garantiscano quantità e qualità di vita e proprio su questo fronte si sta muovendo la ricerca.