Tumore al seno, quanto conta l’attività fisica come cura e prevenzione

Fare attività aerobica almeno tre volte alla settimana può essere una cura contro il tumore della mammella e potrebbe avere un'azione positiva sul sistema immunitario

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Diciamolo. A meno che non sia lo specialista oncologo a darci indicazioni in queste senso, non servono supplementi vitaminici durante il trattamento per il tumore al seno. Né è utile fissarsi su limitazioni alimentari irrazionali. È però importante fare regolare attività fisica intensa (non la sola passeggiata ma corsa, cyclette o altro) almeno tre volte la settimana. Pensate. Secondo alcuni studi l’effetto potrebbe sovrapporsi a quello di alcuni farmaci e soprattutto, grazie ad un’attività fisica regolare, si riesce a controllare meglio il peso. Combattere l’obesità e il sovrappeso insomma è utile non solo per chi è in cura, ma anche per prevenire il tumore.

Quanto pesano gli stili di vita sani

Gli stili di vita sani possono ridurre del 27% il rischio di sviluppare il tumore del seno. In Italia, però, il 36,9% delle donne è sedentario, il 26,8% è in sovrappeso e l’11,1% obeso, il 15,3% fuma e l’8,7% consuma alcol in quantità a rischio per la salute. Questi comportamenti aumentano la probabilità di sviluppare non solo il carcinoma mammario, ma anche altre neoplasie e gravi malattie, come quelle cardiovascolari, metaboliche e neurodegenerative.

Inoltre, la frequenza degli stili di vita scorretti incrementa con l’avanzare dell’età, proprio quando il rischio di sviluppare il cancro del seno è più alto anche per i cambiamenti ormonali legati alla menopausa. La sedentarietà aumenta dal 30,2% delle 45-54enni al 31,9% delle 55-59enni fino al 36% delle 60-64enni, il sovrappeso passa dal 25,6% delle 45-54enni al 30% delle 55-64enni, il consumo di alcol a rischio per la salute aumenta dal 7,5% delle 45-64enni al 9,3% delle 65-74enni. Per questo l’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) lancia la prima campagna nazionale rivolta alle donne dai 20 anni in su, per favorire corretti stili di vita a tutte le età, con l’obiettivo di ridurre l’incidenza e la mortalità del carcinoma mammario.

Secondo Saverio Cinieri, Presidente AIOM “l’eccesso di peso, soprattutto in post menopausa, può aumentare il rischio di tumore del seno perché il tessuto adiposo è la principale fonte di sintesi di ormoni estrogeni circolanti, con conseguente eccessivo stimolo ormonale sulla ghiandola mammaria. La dieta mediterranea, che ha come caposaldo l’olio extravergine di oliva, ha dimostrato un’efficace azione protettiva. Particolare attenzione va posta anche nei confronti dell’alcol, un vero nemico della salute del seno.

Bastano 50 grammi di alcol al giorno, pari a poco più di 3 bicchieri, per determinare un aumento di rischio di cancro della mammella del 50% rispetto a chi non beve”. In Italia, nel 2022, sono stati stimati 55.700 nuovi casi e 834.200 donne vivono dopo la diagnosi. La sopravvivenza a 5 anni è pari all’88% e supera il 90% quando la malattia è individuata negli stadi iniziali.

Non solo alimentazione

Movimento costante e dieta equilibrata sono gli strumenti più importanti nella prevenzione primaria della malattia. Il grasso viscerale contribuisce a creare uno stato infiammatorio, livelli elevati di insulina e di glucosio. Un’alimentazione ricca di cereali integrali, vegetali e legumi riduce, per esempio, il rischio di sindrome metabolica, uno dei fattori di rischio. Devono essere preferiti i cibi non raffinati e vanno limitati i grassi animali perché tendono a rallentare l’azione dell’insulina e a mantenere alta la glicemia, fattori associati a una maggiore probabilità di sviluppare la malattia.

Il ruolo fondamentale della dieta

Uno studio, pubblicato sulla rivista scientifica Breast Cancer, ha coinvolto 1319 pazienti con tumore della mammella, arruolate nel ‘Long Island Breast Cancer Study Project’, e 1310 donne non colpite dalla malattia. Entrambi i gruppi sono stati seguiti per una media di quasi 18 anni. “Nello studio – segnala Matteo Lambertini, membro del Direttivo Nazionale AIOM e Professore Associato Convenzionato di Oncologia Medica all’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino, Università di Genova – è stato utilizzato l’Healthy Lifestyle Index, calcolato in relazione all’indice di massa corporea, all’attività fisica praticata, al consumo di alimenti animali e vegetali, di alcol, all’allattamento al seno e all’abitudine al fumo.Punteggi più alti corrispondevano a stili di vita più salutari.

Le donne con un punteggio medio-alto nell’Healthy Lifestyle Index presentavano un rischio inferiore del 22-27% di sviluppare il tumore della mammella e di circa il 30% di morire per tutte le cause dopo una diagnosi di carcinoma rispetto alle donne con punteggio più basso. Questi dati evidenziano il ruolo degli stili di vita sani non solo nel ridurre il rischio di cancro della mammella, ma anche nel migliorare la sopravvivenza dopo la diagnosi di tumore, soprattutto fra le donne in post menopausa”.

I risultati di questo studio sono in linea con sperimentazioni precedenti. Un lavoro presentato al Congresso della Società Americana di Oncologia Clinica (ASCO) ha evidenziato che la dieta influenza il rischio di morire di cancro al seno. Ha esaminato quasi 49.000 donne in post menopausa, fra i 50 e i 79 anni, senza precedente storia di cancro al seno, per capire se un intervento sulla dieta facesse o meno la differenza.

I ricercatori hanno diviso le donne in due gruppi: il primo doveva continuare a seguire la propria dieta nella quale il grasso rappresentava il 32% o più delle calorie giornaliere. Il secondo gruppo, invece, doveva adottare una dieta che mirava a ridurre il consumo di grassi – fino a raggiungere il 20% o meno dell’apporto calorico – e prevedeva almeno una porzione di verdura, frutta e cereali al giorno. Complessivamente, le donne che hanno seguito la dieta bilanciata povera di grassi hanno evidenziato benefici per la salute, con una riduzione del 21% del rischio di morte di tumore del seno”.

L’allenamento fa crescere i “killer” delle cellule tumorali

Mantenersi allenate e fare regolare attività fisica fa bene sempre. E non bisogna smettere di fronte ad un tumore. Semmai, è vero il contrario. L’esercizio regolare, anche quando si combatte con il tumore della mammella, può essere davvero una cura. L’ideale è puntare su un’attività fisica intensa (non la sola passeggiata ma corsa, cyclette o altro) almeno tre volte la settimana, visto che si possono avere importanti effetti positivi e si controlla meglio il peso. Ma non basta.

Una ricerca americana dice che l’esercizio regolare avrebbe un’azione positiva anche sul sistema immunitario, favorendo le difese dal nemico per tutte le pazienti, in particolare nelle donne in trattamento con immunoterapia.

La buona notizia, che conferma una volta di più il valore di questa sana abitudine, viene da una ricerca condotta all’Università di Harvard e al Massachusetts General Hospital, pubblicata su Cancer Immunology Research nel 2021. Siamo ancora negli animali da esperimento, ma comunque le osservazioni sono davvero interessanti e a favore di questa “terapia” a costo zero, che oltretutto può offrire all’organismo anche endorfine utili per sentirsi meglio.

Gli esperti americani hanno infatti dimostrato che nei topi con tumore sottoposti a specifici programmi di esercizi aerobici regolari i tumori sono cresciuti più lentamente rispetto a quanto osservato negli animali che invece facevano una vita sedentaria, ma soprattutto hanno osservato che anche la risposta del sistema difensivo dell’organismo nei confronti del tumore si è rivelata più efficace.

La chiave di questa reazione, che conviene sfruttare al meglio, ha un nome: linfociti T citotossici. Si tratta di particolari globuli bianchi che hanno la capacità di aggredire ed uccidere le cellule neoplastiche: grazie al movimento, stando a quanto riporta la ricerca, questi “soldati” del nostro sistema immunitario non sono si sarebbero trasferiti in gran numero nel tumore, ma si sarebbero anche attivati portando quindi ad una minor crescita della lesione.

A “richiamare” i difensori invisibili al loro impegno sarebbero la presenza di due particolari sostanze: nei topi che si allenavano regolarmente è stato riscontrato un incremento di questi composti che attivano le difese naturali dell’organismo, con conseguente maggior attività di contrasto alla crescita tumorale e di possibile comparsa e sviluppo di metastasi.

L’importanza dei linfociti T citotossici

Va detto che sui linfociti T citotossici, chiamati anche cellule CD8+, si concentra da tempo l’attenzione di chi si occupa di immunologia dei tumori. La loro attività è infatti di grande importanza anche sul fronte dell’immunoterapia, la “quarta via” per la lotta ai tumori oltre a chirurgia, chemio e radioterapia. L’obiettivo dei farmaci che agiscono in questo senso è semplice: fare in modo, attraverso meccanismi complessi che il corpo si difenda al meglio nei confronti del nemico tumore.

Ebbene, sempre negli animali si è visto che gli effetti dell’esercizio potevano svilupparsi positivamente anche sull’impatto di queste terapie. Conclusioni: muoviamoci sempre e non dimentichiamo l’importanza dell’attività fisica regolare e “faticosa” anche in caso di tumore. si guadagna in benessere s condizione psicologica e si contrasta meglio la malattia.

Impariamo l’autopalpazione e ricordiamo lo screening

“Nella prevenzione di questa neoplasia – sottolinea il Presidente AIOM – rientra anche l’autopalpazione del seno, pratica non invasiva che non comporta la presenza del medico e che ciascuna donna, dopo l’adolescenza, può sperimentare su se stessa con grandi risultati in termini di diagnosi precoce. Va effettuata ogni mese a partire dai 20 anni, meglio se nella prima o seconda settimana dalla fine del ciclo mestruale. Eventuali anomalie devono essere subito segnalate al proprio medico. L’autopalpazione è un primo strumento di prevenzione, ma da sola non è sufficiente. Deve essere abbinata, a partire dai 50 anni, a test strumentali più precisi come la mammografia”.

“Questo esame di screening – spiega Lorena Incorvaia, Coordinatrice del Working Group AIOM Giovani – complessivamente nel nostro Paese raggiunge la copertura del 46%, ma va implementato soprattutto in alcune aree, perché si passa dal 63% al Nord, al 48% al Centro per scendere al 23% al Sud”.