Frattura del femore, perché i rischi crescono con l’età e quanto pesa l’osteoporosi

Prevenire il rischio delle fratture del femore è possibile: le 5 regole da seguire, dalla camminata alla dieta contro l'osteoporosi

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Attività fisica. Vita all’aria aperta. Alimentazione sana, che offra il calcio necessario al benessere delle ossa. Attenzione al sovrappeso, ma senza esagerare per evitare di avere un pannicolo adiposo troppo sottile su cosce e glutei. Se non c’è protezione, si rischia di esporre un osso magari divenuto fragile per il tempo che passa ad una possibile lesione, anche dopo un trauma leggero che potrebbe aumentare il rischio di fratture. E poi controlli mirati, per valutare se le ossa stanno diventando sempre più “povere” ed esposte al rischio di rompersi.

Per prevenire le fratture da osteoporosi (e non solo); con particolare attenzione al femore sono queste le regole da tenere presenti. Anche e soprattutto con l’avanzare degli anni. Perché più si va avanti con l’età, più i rischi aumentano. E purtroppo, una lesione di questo tipo può incidere pesantemente sul benessere anche a distanza di tempo, limitando l’autonomia di una persona e accelerando l’invecchiamento. Per questo occorre sempre riconoscere precocemente la lesione e non perdere tempo con i trattamenti che vanno sempre identificati caso per caso (compreso il percorso riabilitativo) con lo specialista.

In prevenzione, ricordate di camminare (veloci)

Se avete passato la soglia della pensione armatevi di un contachilometri e di un cronometro prima di fare la classica passeggiata. I due strumenti sono fondamentali per capire se rischiate di cadere, ovviamente non in quel preciso momento, ma a casa o piuttosto su una strada impervia. Quanto più piano ci si muove, infatti, tanto maggiore potrebbe essere il pericolo di cadute: esiste anche una soglia per definire questo rischio. Chi camminando normalmente non riesce a fare 70 centimetri al secondo, infatti, corre più pericoli e quindi è più esposto a potenziali fratture o altri traumi.

Proprio il timore, peraltro, sembra essere il peggior nemico della sicurezza nel passo. Secondo l’Oms il 70 per cento delle persone che sono cadute recentemente e circa il 40 per cento di coloro che non riferiscono recenti cadute dichiarano di aver paura di cadere. Il risultato è che ci si muove di meno, si riduce la sensibilità e aumenta di conseguenza il rischio di cadere. Gli anziani, ovviamente sono a rischio più elevato. Le cifre dicono infatti che sopra i 70 anni 35 persone su 100 sono di fronte a questo pericolo e che, curiosamente, in quasi tre casi su quattro le cadute avvengono di giorno e non la notte, quando magari si è meno attenti a come ci si muove. Non si salvano in questo senso anche le persone ricoverate in ospedale o casa di riposo, con tassi in aumento progressivo.

Chi rischia di più

Le fratture del femore possono avere diverse origini. In molti casi, soprattutto negli anziani, le lesioni possono anche nascere in seguito a cadute legate a deficit di equilibrio. E purtroppo in questi casi possono trasformarsi in una causa di permanenza a letto e di perdita dell’autonomia, oltre che favorire la disabilità e anche il rischio di decesso.

Questa lesione è per l’anziano la sequela più grave di una caduta anche per le complicazioni che può comportare. Ad esempio aumenta il rischio di andare incontro a embolia polmonare, se non si ricupera presto un minimo di movimento e si rimane a letto possono comparire le piaghe da decubito, si è più esposti alle infezioni.

In termini generali, deve prestare particolare attenzione chi assume farmaci contro l’ansia o per riposare meglio, e comunque chi prende un certo numero di medicinali ogni giorno. Soprattutto in queste situazioni si associa un rischio nove volte maggiore di alterazione cognitiva e paura di cadere. Ovviamente, poi, debbono prestare particolare attenzione le persone che soffrono di malattia circolatorie, a carico dei polmoni, delle articolazioni e chi è vittima di depressione, oltre che di problemi di continenza, visto che spesso occorre muoversi in fretta per raggiungere la toilette.

Ma non bisogna sottovalutare altre situazioni a rischio. Ad esempio deve fare attenzione chi ha carenze nutrizionali: essere eccessivamente magri aumenta il pericolo, così come un deficit di Vitamina D che può portare ad alterazioni dell’andatura, debolezza muscolare ed osteoporosi. Importante è anche ricordare che è più a rischio chi ha problemi cognitivi, chi ha problemi alla vista e all’udito e ovviamente piedi non perfettamente in salute, magari per la presenza di lesioni legate al diabete o semplicemente alle unghie.

Attenzione a casa e non solo

Sui pericoli, ovviamente, incidono molto anche le condizioni dell’ambiente in cui la persona si muove. Se per la strada occorre prestare attenzione a marciapiedi sconnessi e vie poco illuminate, è in casa che spesso si nascondono le minacce. I consigli pratici sono estremamente semplici: ad esempio è importante rimuovere sempre le cose accumulate sul pavimento e togliere di mezzo mobili bassi anche meno di mezzo metro, carini sotto l’aspetto estetico ma tremendamente minacciosi per chi si muove a fatica.

Il sistema di illuminazione deve essere attentamente studiato perché sia assicurata un’efficace visibilità soprattutto la notte, in particolare in prossimità del letto o del bagno, con fonti di luce che siano facilmente attivabili dalla persona anziana e chiariscano perfettamente il percorso. Infine, mai dimenticare che non c’è nulla di più pericoloso di suppellettili che si possono spostare con un semplice calcio. Il letto deve essere pesante e comunque bel saldo sul pavimento, così come i mobili. Il classico comodino leggero può diventare una minaccia per chi è in cerca di un appoggio perché si può spostare e quindi non sostenere il corpo, facilitando la caduta.

Perché il calcio delle ossa è importante

Il nostro scheletro è molto di più di un semplice apparato di supporto. È un deposito di calcio che assicura lo svolgimento di numerose funzioni vitali. Questo elemento è infatti accumulato per il 99 per cento nel tessuto osseo, mentre il restante 1 per cento è in soluzione nel sangue che lo distribuisce ai vari tessuti in base alle loro necessità. Introdotto nell’organismo con l’alimentazione, il calcio viene prelevato dal cibo con i processi di digestione che avvengono nell’intestino per poi essere immesso nel sangue. Qui la sua concentrazione è tenuta sotto stretto controllo. Se è troppo alta, il calcio viene eliminato con le urine o è ridepositato nell’osso. Se è troppo bassa, a causa di un cattivo assorbimento intestinale o di un insufficiente apporto con l’alimentazione, cominciano i guai.

L’organismo, per mantenere costante la concentrazione di calcio nel sangue, è costretto a prelevare questo elemento dalla sua riserva principale, cioè dallo scheletro. Parte del tessuto osseo viene pertanto sacrificato per soddisfare i fabbisogni essenziali della vita.  Con l’avanzare dell’età i prelievi saranno sempre più numerosi dei nuovi depositi di calcio nell’osso e sarà molto facile andare in bilancio negativo di calcio. Il tempo che impiegheranno i prelievi ad assottigliare pericolosamente il nostro scheletro dipenderà soprattutto dal picco di massa ossea che si è riusciti a raggiungere durante l’adolescenza e dal nuovo calcio che ogni giorno si introduce con la dieta.

Le nostre ossa non sono statiche, bensì formate da un tessuto osseo vivo in continua trasformazione. Il suo incessante rinnovamento è mediato dal calcio, che viene liberato nei vasi sanguigni che irrorano l’osso durante la fase di riassorbimento, presieduta dagli osteoclasti, cioè dalle cellule capaci di erodere una piccola parte di tessuto osseo.

Durante la fase di formazione o di deposizione gli osteoblasti, cioè le cellule deputate a ricostruire nuovo osso nelle cavità erose dagli osteoclasti, lo riassorbono invece dal sangue per depositarlo sulla rete di matrice proteica preparata per la formazione di nuovo tessuto osseo. Queste due fasi non sono tuttavia sincrone. In un certo momento e sullo stesso osso vi sono infatti zone di riassorbimento e zone di ricostruzione.

Alla base di una patologica fragilità ossea c’è sempre un assorbimento negativo di calcio e una sua perdita con le urine. Questo meccanismo perverso di solito si instaura con la caduta del livello di estrogeni con la menopausa. Questi ormoni facilitano infatti l’assimilazione intestinale di calcio e riducono la sua escrezione renale. Se a questa carenza ormonale si aggiunge, come di solito accade ad una certa età, un insufficiente apporto di calcio con la dieta, la perdita di calcio dal tessuto osseo sarà ancora più marcata.

Come nasce l’osteoporosi post-menopausale

Diciamolo. Anche l’uomo può andare incontro a fratture di femore. Lo dimostrano i dati. Ma non ci sono dubbi che l’osteoporosi dopo la menopausa sia un rischio per la salute del femore e delle altre ossa più esposte al rischio di frattura, come le vertebre. Per capire cosa accade, proviamo a fare un paragone “ingegneristico”.

Quando si costruisce qualcosa di nuovo, occorre prima di tutto demolire quanto già presente e poi lavorare di conseguenza. Ma è ovvio che se la demolizione toglie materiale in più rispetto a quanto può essere aggiunto dai costruttori, la struttura non regge. Qualcosa di simile può accadere anche nell’osso: ci sono i lavoratori “buoni” che costruiscono e quelli che invece tendono a distruggere. I primi si chiamano osteoblasti, i secondi osteoclasti. Sono queste le cellule il cui squilibrio porta all’osteoporosi, malattia cronica che colpisce circa una donna su tre e un uomo su cinque nella terza età e che nel gentil sesso si scatena con l’avvento della menopausa, quando si verifica il calo di ormoni estrogeni disponibili nel sangue.

Normalmente l’impalcatura dell’osso ed il suo costante rinnovamento sono infatti mantenuti da un meccanismo estremamente sofisticato, basato sull’attività dei due tipi di cellule. Gli osteoblasti possono essere considerati come  “costruttori” di osso. Ma a compensare la loro attività ci sono gli osteoclasti, ovvero  unità operative che hanno invece il compito di “togliere” le parti più vecchie, in modo che possano essere sostituite. Questo meccanismo funziona perfettamente finché la produzione degli ormoni estrogeni è sufficiente, perché questi lavorano come “controllori” biochimici.

Con la menopausa, periodo in cui si verifica questo deficit ormonale, l’azione degli osteoclasti si fa via via più incisiva e gli osteoblasti non sono più in grado di sostituire il tessuto osseo perduto. Risultato: l’osso diventa progressivamente sempre più debole, compare l’osteoporosi e quindi aumenta il rischio di fratture. Questo fenomeno patologico, che interessa soprattutto le ossa lunghe (ad esempio il femore) e le vertebre, conduce nel tempo ad un impoverimento del patrimonio osseo. Le ossa diventano quindi estremamente fragili, porose, bucherellate perché il calcio viene a mancare. Anche se il loro aspetto esterno può sembrare del tutto normale. E quindi possono andare incontro a fratture anche dopo traumi di entità poco rilevante. Basti pensare che nove fratture del femore su dieci (questo tipo di lesione si concentra proprio nella popolazione femminile) si verifica dopo cadute perfettamente sopportate da donne più giovani.

Ecco come il femore diventa “fragile”

L’osteoporosi mediamente interessa il 30 per cento di tutte le donne che vanno in menopausa, ma può insorgere anche dai 45 anni se la menopausa è precoce, condizione che, si stima, coinvolga circa il 4-5 per cento della popolazione femminile. Molto spesso, il primo campanello d’allarme è la frattura vertebrale, che viene confusa per un banale mal di schiena, mentre può rappresentare l’inizio della cosiddetta “cascata fratturativa”: il 20 per cento delle pazienti riporta infatti una seconda frattura vertebrale entro un anno, mentre il rischio di frattura femorale aumenta di due volte.

Ecco, in cinque semplici passaggi, cosa accade nell’organismo della donna

  1. Normalmente l’impalcatura dell’osso ed il suo costante rinnovamento sono infatti mantenuti da un meccanismo estremamente sofisticato, basato sull’attività dei due tipi di cellule.
  2. Gli osteoblasti possono essere considerati come “costruttori” di osso. Ma a compensare la loro attività ci sono gli osteoclasti, unità operative che hanno invece il compito di “togliere” le parti più vecchie.
  3. Questo meccanismo funziona perfettamente finché la produzione degli ormoni estrogeni è sufficiente, perché questi lavorano come “controllori” biochimici.
  4. Con la menopausa, periodo in cui si verifica questo deficit ormonale, l’azione degli osteoclasti si fa via via più incisiva e gli osteoblasti non sono più in grado di sostituire il tessuto osseo perduto.
  5. L’osso diventa progressivamente sempre più debole (osteoporosi) e quindi si “rompe” con maggior facilità. il fenomeno, che interessa soprattutto le ossa lunghe (ad esempio il femore) e le vertebre.

Fonti bibliografiche

Frattura del femore, Humanitas

Osteoporosi, Ministero della Salute

Stop alle fratture, la prevenzione aiuta a combattere l’osteoporosi, Siommms