Manuel Bortuzzo, la verità su Lulù Selassiè dopo la condanna: “È passata anche alla violenza fisica”

Da promessa del nuoto a vittima di stalking: Manuel Bortuzzo racconta la sua storia con Lulù Selassié, finita con una condanna e tante ferite aperte

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Francesca Secci

Giornalista

Sarda, ma anche molto umbra. Giornalista pubblicista, sogno di una vita, da maggio 2023, scrive soprattutto di argomenti che riguardano l’attualità.

Pubblicato: 6 Aprile 2025 13:52

Era il ragazzo prodigio del nuoto italiano, Manuel Bortuzzo. A 16 anni faceva tremare i cronometri sui 3000 metri, ma la sua carriera ha preso una piega brutale dopo una sparatoria in una notte romana, fuori da un pub, per colpa di uno scambio di persona. Da allora si muove in carrozzina, ma non ha mollato il cloro. Anzi, ha rilanciato: oggi è un orgoglio della nazionale paralimpica, uno che ha trasformato una tragedia in forza, e che continua a fare sport ad altissimo livello con una determinazione che non ha niente da invidiare al passato.

Stavolta, però, a far parlare non è il cronometro: in un’intervista al Giornale, Manuel ha parlato di quella che lui definisce una storia d’amore diventata incubo. La sua ex, Lulù Selassié, è stata condannata per stalking a un anno e otto mesi con la condizionale. Non una storia da copertina ma quella di un amore tossico e di un’ossessione morbosa.

Come è nata e finita la storia tra Manuel Bortuzzo e Lulù Selassié

Tutto comincia a settembre 2022, quando Manuel e Lulù si conoscono nella casa del Grande Fratello. Una storia come tante nata tra confessionali e prime serate, ma naufragata lontano dai riflettori: il 25 aprile 2023, lui mette fine alla relazione. “Ho capito che non c’erano i presupposti per andare avanti” dirà poi. Peccato che lei, di quella rottura, non ne abbia mai voluto sapere: mentre lui cercava distanza, lei cercava ancora una trama da scrivere insieme. Solo che il copione era già chiuso.

Messaggi, telefonate e inseguimenti: cosa è successo dopo la rottura

Dopo la rottura, altro che silenzio stampa: è iniziata la tempesta. Squilli senza sosta, notifiche a raffica, apparizioni a sorpresa nei luoghi che lui frequentava. Una vera maratona dell’insistenza. Manuel Bortuzzo l’aveva lasciata con garbo, spiegando che non c’erano terze persone, solo incompatibilità. Ma lei, niente: “me la sono ritrovata ovunque” ha raccontato. Quando dice ovunque, intende davvero ovunque.

Dietro a quei comportamenti, c’è chi direbbe si nascondano tratti tipici del narcisismo: idealizzazione, manipolazione emotiva, maschere costruite ad arte per ottenere attenzione. Non lo dice Manuel, ma la dinamica è quella. Lei cambia volto, lui ci ricasca, poi si ritrova nello stesso incubo.

A un certo punto Manuel ha provato a rimettere insieme i cocci. Forse per ingenuità, forse per trovare una tregua, forse perché era stato portato al limite. E per un attimo, sembrava quasi che lei avesse deciso di riscrivere il suo personaggio: “è come se avesse indossato una maschera adottando comportamenti che sapeva essere quelli che a me potevano piacere” ha spiegato.

Ma il sipario è durato poco. La maschera è caduta, la realtà ha ripreso il sopravvento e Manuel ha detto basta, una volta per tutte: “alla fine si è rivelata sempre per quella che è, e allora io ho deciso veramente di dire basta: chiudiamo definitivamente, perché io non ne voglio più sapere”.

La trasferta europea e l’aggressione fisica: quando la situazione degenera

Due mesi dopo il game over definitivo, Lulù Selassiè si è rifatta viva. E non nel quartiere sotto casa, ma all’estero, durante gli Europei di nuoto. Un blitz in piena regola: lo raggiunge, pretende un confronto, e quando lui non cede, scatta il teatrino. Solo che stavolta le parole non bastano: “Quella volta ha anche alzato le mani” ha raccontato Manuel. E no, non si tratta di una lite da coppiette: si passa dalla scenata al contatto fisico. A quel punto, lui la prende per un polso e la accompagna alla porta: “dicendole che ci saremmo visti in tribunale”.

Il ricatto emotivo e le frasi minacciose: la violenza che non lascia lividi

Parole grosse ne sono volate, anche un bel po’. “Ti ammazzo”, diceva lei nei momenti di rabbia. Manuel dice di non essersi mai sentito davvero in pericolo fisico, forse anche per via della sua stazza. Ma attenzione: non importa quanto sei alto o muscoloso, se qualcuno ti mette le mani addosso, fa male. Sempre. E quella scena agli Europei non era certo una carezza. La violenza è violenza, non importa se sei un uomo di un metro e 90.

Quello che lo metteva alle corde era anche altro: la violenza psicologica, quel gioco malato di frasi su se stessa buttate lì come un laccio al collo. “Mi faceva pesare una specie di ricatto psicologico. Anche quella è una forma di violenza”.

La denuncia, la condanna e il percorso psicologico imposto a Lulù Selassié

A un certo punto, Manuel ha detto stop e ha scelto di fare quello che molte vittime non riescono a fare: denunciare. La sua è stata una mossa di sopravvivenza, di quelle che servono a rimettersi al centro della propria vita. Si è rivolto alla magistratura, ha chiesto una misura di protezione e l’ha ottenuta. E così Lulù è stata allontanata, ufficialmente. Almeno sulla carta.

Selassié ha preso un anno e otto mesi, pena sospesa e niente carcere, ma due sedute a settimana dallo psicologo sono diventate obbligatorie. Non si trattava di un amore finito male, ma di un’ossessione in piena regola. Un chiodo fisso trasformato in incubo. La giustizia ha messo nero su bianco ciò che Manuel ha vissuto per mesi sulla propria pelle.

Quando chi denuncia passa per carnefice: il racconto amaro di Manuel Bortuzzo

Ha vinto in tribunale, ma non sui social. Manuel racconta di sentirsi additato come il colpevole, nonostante la sentenza dica il contrario. “La cosa paradossale è che io ho la sensazione che nonostante non abbia fatto nulla di male… alla fine per le persone risulto il cattivo che ha denunciato una ragazza ingiustamente”, ha dichiarato. Una confessione che racconta molto più del processo: l’idea, ancora viva, che chi denuncia, debba giustificarsi.

Un vissuto simile lascia segni. E non serve un referto per accorgersene. Chi ha vissuto qualcosa del genere non dimentica, registra tutto. Il confine tra intimità e allarme resta sfumato, anche quando la storia è finita da un pezzo. Oggi Bortuzzo si approccia alle nuove conoscenze con maggiore prudenza. Le ferite non sempre sono visibili, ma condizionano il modo in cui ci si fida, ci si espone, si lascia entrare qualcun altro nella propria vita. Fidarsi, dopo certi traumi, diventa un gesto da calibrare. E chi ha subito, spesso paga due volte: una in aula, l’altra nella vita reale.