Neuro-Covid, come è cambiato l’impatto della pandemia sul sistema nervoso

Col termine Neuro-Covid si intendono tutti i disturbi neurologici associati all'infezione da Covid-19: sintomi, cure e diffusione

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Sono una delle tante sfide che la pandemia da Sars-CoV-2 ha lanciato. Parliamo delle manifestazioni legate a disturbi neurologici dovuti a Covid-19 e del loro decorso. Se all’inizio i problemi sembravano destinati a permanere a lungo nelle persone, con l’avanzare delle varianti Omicron la problematica appare meno accentuata. E li dicono i dati italiani. Le informazioni su questa variazione dell’impatto di Neuro-Covid vengono dallo studio Neuro-COVID Italy, promosso dalla Società Italiana di Neurologia (SIN), recentemente pubblicato sulla rivista scientifica internazionale Neurology.

Cosa comporta Neuro-Covid e come si è svolto lo studio

I disturbi neurologici associati all’infezione da COVID-19, chiamati collettivamente con il termine “neuro-COVID”, sono tra gli aspetti più allarmanti, controversi e meno compresi della recente pandemia. Si tratta di sintomi e malattie diverse – dall’encefalopatia acuta (ovvero un grave stato confusionale, con disorientamento e allucinazioni) fino all’ictus ischemico, l’emorragia cerebrale, le difficoltà di concentrazione e memoria, la cefalea cronica, la riduzione dell’olfatto e del gusto, alcune forme di epilessia e di infiammazione dei nervi periferici.

Il progetto Neuro-COVID Italy ha coinvolto 38 unità operative di Neurologia in Italia e nella Repubblica di San Marino ed è stato coordinato da Carlo Ferrarese, direttore della Clinica Neurologica dell’Università di Milano-Bicocca presso la Fondazione IRCCS San Gerardo dei Tintori di Monza. Lo studio, ideato dai ricercatori dell’Università di Milano (Vincenzo Silani e Alberto Priori, rispettivamente Direttore del Dipartimento di Neuroscienze di Auxologico IRCCS e Direttore della Clinica Neurologica III, Polo Universitario San Paolo) e di Milano-Bicocca (Carlo Ferrarese), ha coinvolto quasi 53000 pazienti ospedalizzati per COVID-19, circa 2000 pazienti erano affetti da disturbi neuro-COVID e sono stati seguiti per almeno 6 mesi dopo la diagnosi, per analizzare l’evoluzione dei disturbi.

Quanto impatta Neuro-Covid

Come ricorda Simone Beretta, Neurologo presso la Fondazione IRCCS San Gerardo dei Tintori di Monza e primo autore dello studio, diverse sono le informazioni che giungono dalla ricerca. “Un primo dato importante è che i disturbi neuro-COVID sono diventati gradualmente meno frequenti ad ogni successiva ondata pandemica, passando da circa l’8 per cento della prima ondata a circa il 3 per cento della terza ondata. Questo indipendentemente dalla severità respiratoria del virus e prima dell’arrivo dei vaccini. La ragione più probabile di questa riduzione sembra quindi legata alle varianti stesse del virus, che passando da quella originale di Wuhan fino a Delta hanno reso il virus meno pericoloso per il sistema nervoso. Con la variante Omicron e l’uso dei vaccini, la situazione è andata ulteriormente migliorando e i disturbi neuro-COVID sono ora diventati molto rari”. Ma non basta.

Migliorate le possibilità di recupero

Un secondo dato, riguarda il recupero neurologico nei mesi successivi all’infezione, come spiega Carlo Ferrarese: “In oltre il 60 per cento dei pazienti c’è stato una risoluzione completa dei sintomi neurologici oppure la persistenza di sintomi lievi, che non impediscono le attività della vita quotidiana. Questa percentuale arriva a oltre il 70 per cento per i pazienti in età lavorativa, tra i 18 e i 64 anni. N

on bisogna però dimenticare che in circa il 30 per cento dei pazienti, i sintomi neurologici sono durati oltre i 6 mesi dall’infezione. Questo è vero soprattutto per quanto riguarda i pazienti con ictus associato all’infezione da COVID, che nelle prime ondate sono stati gravati anche da una elevata mortalità intraospedaliera. Ma anche per i disturbi cognitivi, della concentrazione e della memoria, la risoluzione dei sintomi è stata molto più lenta rispetto ad altre condizioni neurologiche, tanto da rientrare in quella che è stata chiamata sindrome long-COVID. Questa nuova sindrome è attualmente seguita in molti centri neurologici coinvolti nello studio”.

Cos’è il Neuro-Covid

Studi precedenti hanno fatto il punto proprio su Long-Covid a carico del sistema nervoso. Una ricerca italiana indica che a distanza di un anno dalla malattia ci possono essere in un certo numero di pazienti ancora alterazioni cognitive che in parte possono essere dovute ad alterazioni psichiche senza un correlato metabolico sul cervello ma, in poco meno della metà dei casi, possono essere correlate ad alterazioni del metabolismo cerebrale e, occasionalmente anche a deposizione di molecole tossiche per i neuroni.

Ma attenzione:  si sa da tempo che  l’infezione può colpire sia il sistema nervoso centrale – con cefalea, vertigini, disturbi dello stato di coscienza (confusione, delirium, fino al coma), encefaliti, manifestazioni epilettiche, disturbi motori e sensitivi, maggiore incidenza di ictus con maggiore severità – sia il sistema nervoso periferico, con perdita o distorsione del senso dell’olfatto, del gusto, neuralgie e sindrome di Guillan-Barré.  Anche nella fase successiva alla malattia sono emersi vari problemi quali astenia protratta, disturbi di concentrazione, disturbi della memoria e comportamentali, che potrebbero essere collegati a piccoli danni vascolari o infiammatori del sistema nervoso, con ripercussioni a lungo termine.

Così il virus “attacca” il sistema nervoso

La malattia può interessare il cervello in vari modi. Si sa che si può verificare l’infezione diretta delle cellule neurali da parte del coronavirus così come il cervello può essere interessato dalla grave infiammazione generalizzata che lo  “inonda” di agenti pro-infiammatori danneggiando così le cellule nervose.

“Il virus Sars-CoV-2 utilizza l’ACE2 come principale recettore di attacco della “proteina spike” per l’ingresso cellulare  – ha spiegato qualche tempo fa Paolo Calabresi, Ordinario di Neurologia e Direttore della Neurologia del Policlinico Gemelli di Roma. La proteina ACE2 è stata osservata nel sistema vascolare, ma in minor misura nel rivestimento dei vasi cerebrali. Tuttavia, il sequenziamento dell’RNA ne ha dimostrato la presenza, anche se modesta nel cervello umano”.

In uno studio pubblicato recentemente e relativo a pazienti sintomatici ricoverati nella prima ondata di Covid-19, 213 pazienti sono risultati positivi per Sars-Cov-2mentre 218 pazienti sono risultati negativi e sono stati utilizzati come gruppo di controllo. “Per quanto riguarda le manifestazioni del sistema nervoso centrale, è stato osservato nei pazienti positivi una maggiore frequenza di cefalea, iposmia ed encefalopatia sempre correlata a condizioni sistemiche (febbre o ipossia) – è stato il commento dell’esperto.

Inoltre, il coinvolgimento muscolare era più frequente nell’infezione da Sars ‐CoV-2. Le manifestazioni neurologiche di Covid-19 costituiscono quindi una delle principali sfide per la salute pubblica non solo per gli effetti acuti sul cervello, ma anche per i danni a lungo termine alla salute del cervello che potrebbe derivarne. Queste manifestazioni ritardate potrebbero essere presenti anche in pazienti che non hanno mostrato sintomi neurologici nella fase acuta”.