Grasso addominale, perché è pericoloso per il metabolismo e per il cuore

Non basta misurare i chili ma va considerato anche il girovita. Il grasso addominale aumenta le infiammazioni e il rischio di scompenso cardiaco

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Non fidatevi solo della bilancia. Perché non conta solamente il rapporto tra peso e altezza, ma occorre sempre capire anche dove il tessuto adiposo si concentra. Anche perché se il grasso si localizza soprattutto all’interno dell’addome e intorno agli organi come il cuore, i rischi per la salute crescono vertiginosamente.

Volete un esempio? Pensate al cuore. Sono almeno 400.000 gli italiani con obesità e scompenso cardiaco, due patologie legate a doppio filo ed entrambe in continua crescita nel nostro Paese, dove gli obesi sono circa 6 milioni e i pazienti con insufficienza cardiaca oltre 1 milione. I chili di troppo sono spesso il primo passo sulla strada che porta allo scompenso e si stima che fino all’80% dei pazienti con scompenso cardiaco e frazione di eiezione preservata, pari alla metà dei casi, sia anche molto su di peso.

La combinazione è molto pericolosa, perché può aumentare fino all’85% il rischio di eventi cardiovascolari fatali, ‘rubando’ almeno sei anni di aspettativa di vita. A dirlo sono gli esperti in occasione dell’84° Congresso Nazionale della Società Italiana di Cardiologia (SIC).  Ed è solo l’ultimo, ennesimo appello per un controllo del peso, misurando non solo i chili, ma anche il girovita.

Quando si parla di obesità addominale

L’obesità addominale può essere definita come un accumulo di grasso in corrispondenza dell’addome, ed è legata all’eccesso di tessuto adiposo viscerale ovvero all’interno dell’addome, con il grasso che si dispone lungo il peritoneo (membrana che ricopre internamente gli organi addominali) e nelle strutture connettive intraaddominali come il mesentere.

La presenza dell’obesità addominale, e quindi di eccesso di grasso viscerale, viene definita attraverso la misurazione della circonferenza dell’addome: quando questa supera valori di 102  e 88 centimetri rispettivamente nei maschi e nelle femmine di parla di obesità addominale.

Il grasso viscerale ha caratteristiche diverse rispetto a quello sottocutaneo, che si trova ad esempio nei glutei, sia sotto il profilo della struttura delle cellule sia sotto l’aspetto degli effetti che le cellule stesse esercitano sul sistema endocrino-metabolico dell’organismo. È infatti dimostrato che gli adipociti viscerali svolgono una maggiore attività endocrina e quindi esercitano una maggior quantità di effetti negativi sul metabolismo, con incremento dei rischi per l’apparato cardiovascolare

Mela o pera? Cosa cambia

Mela o pera? Un medico francese, nel 1947, aveva chiaramente definito con un semplice esempio vegetale la differente distribuzione del tessuto adiposo nei maschi e nelle femmine. Nei primi la concentrazione adiposa si verifica soprattutto nell’area dell’addome, nelle seconde l’accumulo di cellule adipose contribuisce a formare curve meno spigolose, addolcendo fianchi e cosce.

Non bastano più i soli parametri di peso e altezza, quindi, per definire correttamente il rischio cardiometabolico del soggetto. Occorre un elemento di misurazione in più, che la comunità scientifica ha identificato nella valutazione della circonferenza addominale ottenuta attraverso la semplice misurazione del girovita.  L’indice di massa corporea non quindi è l’indicatore più adeguato della reale obesità.

Perché il cuore rischia con i chili di troppo

Scompenso cardiaco e obesità sono due epidemie in rapidissima crescita: l’insufficienza cardiaca oggi colpisce oltre un milione di italiani e si stima un incremento del 30% dei casi entro il 2030 – osserva Pasquale Perrone Filardi, presidente della SIC e direttore della scuola di specializzazione in malattie dell’apparato cardiovascolare dell’Università Federico II di Napoli. L’aumento dei casi è trainato in parte dall’incremento dell’aspettativa di vita, perché la prevalenza della patologia raddoppia a ogni decade di età e dopo gli 80 anni lo scompenso colpisce il 20% della popolazione. Tuttavia l’insufficienza cardiaca ha anche l’obesità fra le sue cause principali perché i chili in eccesso comportano, fra le altre cose, un incremento dell’infiammazione generale, un maggiore stress su metabolismo e sistema cardiovascolare e un aumento del grasso viscerale anche a livello cardiaco”.

Non solo. L’obesità infatti fa male al cuore: la probabilità di avere un infarto, un ictus o un evento cardiovascolare fatale aumenta dal 67 all’85% rispetto a chi è normopeso, tanto che i chili in eccesso ‘rubano’ fino a 6 anni di vita, secondo un recente studio pubblicato su Jama.  Il grasso corporeo in eccesso, insomma, comporta ipertensione, sindrome metabolica, diabete, fibrillazione atriale, tutte patologie che si associano poi all’insufficienza cardiaca. Oltre la metà dei pazienti con scompenso ha il cuore che non è in grado di riempirsi correttamente e di questi si stima che fino all’80% sia obeso.

Quanto l’obesità addominale aumenta il rischio per la salute?

L’obesità addominale e il conseguente eccesso di grasso viscerale vengono attualmente associati allo sviluppo di fattori di rischio cardiovascolare, sia per il rapporto tra questa condizione e lo sviluppo di diabete di tipo 2 sia perché l’eccesso di grasso viscerale può, attraverso diversi meccanismi, influire su altri fattori di rischio per cuore e vasi.

Ad ulteriore dimostrazione di questa osservazione esistono diverse osservazioni epidemiologiche che confermano come la prevalenza dell’obesità addominale sia maggiormente frequente in pazienti che hanno presentato un evento cardiovascolare rispetto alla popolazione di confronto di peso normale. Basta pensare a qualche dato risalente a studi ormai datat

i. Un’elevata circonferenza addominale al momento dell’evento coronario inteso come Infarto miocardico acuto o sindrome coronarica acuta è presente su scala internazionale nel 46,5 per cento dei maschi e nel 45,6 per cento delle donne secondo lo studio Interheart. Secondo questa indagine la presenza di obesità addominale aumenta di oltre il doppio il rischio di infarto miocardico acuto nella popolazione in esame rispetto a quella di controllo e l’obesità addominale da sola appare responsabile di quasi un infarto su cinque in entrambi i sessi.

Cosa succede se c’è grasso nell’addome

L’eccesso di grasso viscerale, direttamente in rapporto con la misurazione della circonferenza addominale,  può rappresentare un predittore indipendente di fattori di rischio cardiovascolare. Come mai? La presenza di grasso viscerale favorisce diversi elementi che aumentano il rischio cardiovascolare, come il mantenimento dell’infiammazione, l’insulino-resistenza, l’iperglicemia, la dislipidemia, l’ipertensione e la disfunzione endoteliale.

Le sostanze prodotte dall’eccesso di grasso viscerale possono, infatti, influire sul metabolismo dell’intero organismo con meccanismi diversi, legati sia alla carenza di ormoni con effetti protettivi come l’adiponectina la cui sintesi cala in presenza di quantità eccessive di grasso viscerale, sia per l’incremento della produzione di sostanze in grado di influire sui diversi fattori di rischio. Il ruolo del grasso viscerale nella patogenesi di questi fenomeni può illustrato attraverso diverse “vie”.

Cosa succede al metabolismo dei grassi e degli zuccheri

Provando a fare una sorta di “viaggio” nel metabolismo, e cerchiamo di capire cosa accade, invisibilmente, se ci sono adipociti di troppo all’interno dei visceri. Le cellule adipose in eccesso nell’addome liberano nel sangue gli acidi grassi liberi. La presenza degli acidi grassi liberi nel sangue dipende direttamente dalla quantità del grasso addominale. Quanto più questa sale, tanto maggiore è la liberazione di acidi grassi liberi.

Gli acidi grassi liberi in eccesso si mettono in “concorrenza” con il glucosio e vengono utilizzati al suo posto dai muscoli, per cui si verifica un aumento della glicemia, cioè del glucosio nel sangue. L’aumento del glucosio nel sangue porta alla risposta da parte del pancreas, che aumenta la produzione di insulina.

Non solo: in queste circostanze anche l’eliminazione dell’insulina in eccesso da parte del fegato non è efficace, per cui si verifica un aumento dell’insulina nel sangue in presenza di iperglicemia. Questa accoppiata, teoricamente difficile da realizzare, è possibile perché si instaura un complesso fenomeno chiamato insulino-resistenza.

In pratica il corpo diventa meno sensibile all’azione dell’insulina e quindi, anche in presenza di elevate quantità di insulina nel sangue, si può sviluppare il diabete. Ma non è finite. L’eccesso di grasso viscerale libera acidi grassi che attraverso la circolazione portale raggiungono il fegato che produce stimolando la sintesi di trigliceridi e di lipoproteine ricche in VLDL.  le VLDL che possono essere successivamente trasformate in LDL. Queste rappresentano il colesterolo “cattivo”, che tende ad accumularsi nella parete dei vasi, favorendo l’insorgenza dell’aterosclerosi. Nello stesso tempo cala il colesterolo “buono” legato alle lipoproteine HDL, che invece trasportano il grasso, ovvero il colesterolo, dai tessuti periferici direttamente o indirettamente al fegato per lo “smaltimento” .

Il grasso viscerale favorisce l’ipertensione

L’eccesso di cellule adipose nell’addome infine, può favorire l’insorgenza di ipertensione. In pratica infatti in queste condizioni aumenterebbe l’effetto dell’adrenalina sui piccoli vasi, che quindi risultano più “stretti” (vasocostrizione), e diminuirebbe l’eliminazione di sodio da parte dei reni. Il minerale, rimanendo nel sangue, tende a conservare all’interno dei vasi anche i liquidi. Associando questi due meccanismi, cioè il “restringimento” dei condotti in cui corre il sangue e l’aumento del “contenuto” all’interno dei vasi, la pressione sale.

Il grasso nella pancia facilita l’infiammazione

L’eccesso di grasso viscerale infine favorisce la sintesi di mediatori dell’infiammazione come l’interluechina-6 e di Tumor Necrosis Factor (TNF) alfa ed è associato ad un incremento della proteina C reattiva, attualmente considerata come marcatore fondamentale di infiammazione correlata ad infarto microardico acuto.

Inoltre induce un calo nella sintesi di adiponectina, la cui azione invece contrasta lo sviluppo di infiammazione. Per questo motivo, oltre a favorire la disfunzione entoteliale (cioè della parte più interna della parete arteriosa) favorisce l’instabilità della placca ateromatosa la cui rottura è all’origine dei fenomeni trombotici che riducono l’afflusso di sangue ed ossigeno al cuore e al cervello attraverso i vasi sanguigni, con comparsa di sindromi coronariche e ischemie cerebrali acute.

Fonti bibliografiche

Società italiana di cardiologia