Pif: “Le donne possono, la mafia ha paura di loro”

Intervista a Pif, che nel suo libro "Io posso" racconta insieme a Marco Lillo la storia delle sorelle Pilliu, due donne sole contro la mafia.

Foto di Andrea Bertolucci

Andrea Bertolucci

Giornalista esperto di Lifestyle

Classe 1990, Andrea Bertolucci è un giornalista e autore specializzato in cultura giovanile, lifestyle, società ed economia dell’intrattenimento. La sua attività professionale lo ha avvicinato negli anni ad alcune tra le principali redazioni televisive e web nazionali. Andrea è considerato uno dei maggiori esperti di cultura Trap nel nostro Paese.

Palermo. A pochi metri dal Parco della Favorita, il polmone verde dove negli anni ’70 si teneva la versione palermitana di Woodstock durante la quale si è esibita anche la regina del soul Aretha Franklin, si staglia uno dei palazzi simbolo della mafia. Dall’altra parte, due casette che da 30 anni resistono alla mafia. Lì dentro, abitavano due sorelle: Savina e Maria Rosa Pilliu.

Savina e Maria Rosa sono di origine sarda, come suggerisce anche il loro cognome, ma nascono a Palermo e qui crescono con la madre. La loro vita scorre tranquilla: mandano avanti un piccolo negozio di alimentari e si dedicano alla famiglia. Un giorno però, all’inizio degli anni ’80, il terreno dove le loro casette sono edificate attira l’interesse di un imprenditore che le vorrebbe abbattere per costruire un palazzone di nove piani.

Da quel giorno inizia per loro un’Odissea lunga trent’anni, fatta di intimidazioni e di minacce, che le sorelle Pilliu affrontano senza mai segni di cedimento, nonostante le istituzioni sembrano averle abbandonate in questa loro battaglia. Una storia, apparentemente comune, che oggi Pif ha deciso di raccontare in un libro, dal titolo “Io posso”, scritto insieme al giornalista Marco Lillo e uscito per Feltrinelli.

Non disponibile.

“È chiaro che niente e nessuno potrà rimborsare trent’anni di denunce, sofferenze e paure”, ci racconta Pif. “Ma sicuramente possiamo rendere il finale di questa storia meno amaro”. E prosegue: “Quello che ho capito, dopo tanti anni in cui ho incontrato persone che hanno denunciato, è che il riconoscimento e la legittimazione del loro gesto è tutto. La vera paura di chi denuncia è che chi sta attorno non capisca la fatica che sta dietro al loro gesto”.

Abbiamo raggiunto telefonicamente Pif per farci raccontare da lui la tenacia e la forza di queste due donne.

Solo una persona ha dato retta da subito alle sorelle Piliu: il giudice Paolo Borsellino.
In questi trent’anni le sorelle Pilliu si sono interfacciate con vari rappresentanti dello Stato, ma non tutti hanno avuto la pazienza di ascoltarle e di capirle. Tra coloro che invece hanno colto da subito la gravità della storia, c’è stato Paolo Borsellino. Le ha incontrate ben quattro volte e se non lo avessero ucciso, le avrebbe incontrate anche la quinta. Tra l’altro stiamo parlando di un periodo molto particolare della sua vita, ovvero i giorni che intercorrono tra la strage di Capaci e quella di via D’Amelio, in cui rimarrà ucciso. Chissà in quei giorni quanti pensieri e preoccupazioni poteva avere, eppure riesce a trovare il tempo e la pazienza di ascoltare le sorelle Pilliu. Questo conferma l’enorme umanità che descrivono tutti i colleghi di Paolo Borsellino. E non lo dico per retorica, ma è un’ulteriore conferma della sua figura.

Ti hanno raccontato di lui nei vostri incontri?
Quando ho chiesto a Savina di dirmi qualche ricordo in più di Borsellino, mi ha ripetuto in maniera ossessiva che erano colpite dal semplice fatto che le ascoltasse.

Anche perché quella di Savina e Maria Rosa è una storia apparentemente comune.
Sì, chissà quante di queste storie esistono a Palermo e nel Sud Italia, a maggior ragione durante quegli anni. L’elemento che ha permesso a questa storia di emergere è la loro determinazione di queste due sorrelle. Il sangue sardo delle Pilliu credo abbia fatto profondamente la differenza. Lo dico un po’ per scherzo, anche se ne sono realmente convinto.

Quando è stata la prima che sei venuto a contatto con questa storia?

Nel 2007 ho fatto la prima puntata de “Il Testimone” su MTV parlando di Addiopizzo, un’associazione antiracket fondata da giovani. E tra gli iscritti c’erano anche le sorelle Pilliu, che non si erano direttamente opposte al pizzo ma contrastavano ugualmente un sistema mafioso. La prima volta le ho conosciute lì. Era una fase in cui fra l’altro questa storia sembrava mettersi per il verso giusto. In quegli stessi anni ho conosciuto meglio anche Marco Lillo (il giornalista con il quale ha scritto il libro, nda) e dopo altri 15 anni che non si riusciva a venire a capo di questa storia, abbiamo pensato di fare qualcosa. In tutto questo tempo se ne è parlato, anche a “Le Iene”. Si alzava un po’ il polverone, ma dopo un mese tornava tutto come prima. Con il libro invece vorremmo riuscire, rinunciando al diritto d’autore, a raccogliere la cifra necessaria per pagare l’Agenzia delle Entrate. Ma anche a far ottenere alle sorelle Pilliu lo status di vittime di mafia e a ristrutturare le palazzine che ormai sono semidistrutte.

E concederne magari l’uso a un’associazione.
L’ideale sarebbe ricostruire le palazzine e farle diventare un museo a cielo aperto, nel quale portare anche le scolaresche. Quelle che invece appartengono allo Stato, darle in uso a delle associazioni antiracket e antimafia.

Torniamo alle sorelle Pilliu: cosa ti ha colpito maggiormente di loro?
Non hanno mai avuto una minima esitazione, non sono mai scese a compromessi. Maria Rosa è purtroppo da cinque anni colpita da Alzheimer, per cui l’ultima a combattere è Savina. E mi dispiace profondamente, dato che Maria Rosa non sta pienamente realizzando quest’ultima fase. Sono entrambe persone rigide nelle loro posizioni e questo, in una terra dove l’approssimazione è il pane quotidiano, le ha portate a inimicarsi la mafia. Questa loro integrità diventa difficile da gestire in una città come Palermo. Savina tuttora continua a denunciare e mi racconta quotidianamente storie di ingiustizie. Oltretutto, un elemento che ho sottolineato spesso mentre scrivevo è che sono due donne. Due donne da sole. Senza la loro mentalità, non reggi trent’anni di intimidazioni e minacce più o meno velate.

Il fatto che dall’altra parte ci fossero due donne ha infastidito ancor di più i mafiosi?
La mafia per anni ha sottovalutato le rivoluzioni che stavano avvenendo nella società, compreso il fatto che le donne oggi non stanno più dietro agli uomini. I ragazzi di “Addiopizzo” mi raccontavano che quando l’estorsore va in un ristorante gestito da moglie e marito, si rivolge sempre al marito. Questo è ovviamente sintomo di una mentalità profondamente maschilista. Oltretutto, la vicenda delle sorelle Pilliu si svolge in un periodo in cui non era per nulla scontato che due femmine potessero mettersi di traverso.

Parlando di sorelle, anche tu ne hai una: si chiama Manuela e fa l’archeologa a Parigi. Che rapporto hai con lei?
Purtroppo la lontananza non ci aiuta e il periodo Covid men che meno. Però io e Manuela siamo molto attaccati. Può capitare che litighiamo molto, ma è proprio perché siamo così legati. Del resto, più si è intimi e più mancano i freni inibitori. Mi sono domandato molto cosa avremmo fatto io e mia sorella nella stessa circostanza delle sorelle Pilliu. Premesso che è facile parlare senza trovarsi nelle situazioni, devo dire che conoscendoci, anche noi non avremmo ceduto così facilmente.