Amici, Michele Merlo avrebbe potuto salvarsi: lo sfogo del padre

Dalla perizia emergono nuovi dettagli sulle ultime settimane di vita del cantante: i primi sintomi, le mail ignorate e le corse al pronto soccorso

A distanza di oltre cinque mesi dalla morte, emergono nuovi dettagli sulla tragica storia di Michele Merlo. O meglio, sulle ultime settimane di vita del giovane, quelle durante le quali, se fosse arrivata la giusta diagnosi, avrebbe potuto salvarsi.

Questo è quanto emerge dalla perizia dei due medici che stanno collaborando all’inchiesta per omicidio colposo aperta dalla procura di Bologna e di recente trasferita per competenza ai magistrati di Vicenza. Da quelle pagine emerge un’ipotesi che fa male: se la diagnosi fosse arrivata in tempo, quando lui mostrava i primi sintomi, e la terapia fosse stata somministrata subito, Michele “avrebbe avuto una probabilità di sopravvivenza compresa tra il 79 e l’87 per cento”.

Michele Merlo: le email, gli strani lividi e la diagnosi sbagliata

Dalla perizia si apprende che Michele Merlo ha iniziato a mostrare i primi sintomi esattamente un mese prima della morte: sono degli strani lividi sulla spalla e sul braccio. Ecchimosi che aumenteranno nei giorni successivi sia per dimensioni, sia per la comparsa in altri punti del corpo. A spaventarlo è in particolare un livido enorme sulla coscia che compare giorni dopo, al punto che l’ex concorrente di Amici e X Factor scrive al proprio medico un’email allegando una foto. Un assistente gli risponde però che “l’utilizzo della mail è unicamente per la richiesta di terapia cronica. Per qualsiasi altro motivo, chiamare in segreteria. Inoltre chiediamo di non inviare foto”. È il 26 maggio.

Così Michele si reca in pronto soccorso, dove gli viene assegnato un codice bianco e dopo tre ore di attesa decide di andare via e riprovare con il medico di base, questa volta di persona: “Per la diagnosi mi basai su quel che disse lui stesso: raccontò di aver preso alcune botte facendo un trasloco. Si stava curando con antinfiammatori e una pomata e gli raccomandai di tornare da me entro 3-5 giorni, ma non l’ho più rivisto. Mi sono fidato delle sue parole, francamente credo di aver fatto bene il mio lavoro ma non passa giorno che non pensi a lui…”, racconta il suo dottore.

La diagnosi arriva quando ormai è troppo tardi e quando i sintomi sono già aumentati da giorni. Non prima, però, che venga fatta un’altra diagnosi sbagliata (una tonsillite) e siano comparsi mal di gola, febbre, mal di testa ed “emorragie mucose al cavo orale”.

La sera del 3 giugno, mentre è con la fidanzata Luna, “inizia a vomitare, perde coscienza e sviluppa convulsioni”. L’ambulanza lo porta all’Ospedale Maggiore di Bologna che è già privo di conoscenza e all’alba del 4 giugno vengono fatti gli esami del sangue che porteranno alla diagnosi definitiva: leucemia fulminante. Ma ormai è troppo tardi.

Michele Merlo avrebbe potuto salvarsi? Lo sfogo del padre

“Non cerco vendetta, ma risposte. È evidente che nessuno ha capito i sintomi, ora vorrei sapere se ci sono dei responsabili…”. È questo il primo commento del padre di Michele Merlo dopo la pubblicazione della perizia.

Sulle pagine del Corriere del Veneto Domenico Merlo rivive quelle ultime settimane di vita del figlio, giorni preziosi, tempo che si è perso inutilmente e che avrebbe potuto cambiare la fine di questa triste storia.

“Il dramma di mio figlio dimostra che l’intero settore della Sanità può mostrare delle falle“, dice, facendo riferimento ai rimbalzi tra medico di base e pronto soccorso. “Un ematoma di quelle dimensioni non te lo fai urtando un mobile durante un trasloco, come minimo dovresti essere stato investito da un’auto… Sia chiaro: quello è uno dei migliori medici di base che abbiamo. Ma anche i migliori, se sono oberati di lavoro, rischiano di non avere il tempo e la lucidità per individuare il percorso migliore”.

Poi lo sfogo finale: “Michele era un po’ ipocondriaco e appena avvertiva un malessere correva a farsi visitare. Per questo non escludo possa essersi rivolto a uno specialista privato già intorno alla metà di maggio. Purtroppo, a meno che non esca spontaneamente allo scoperto, temo non lo sapremo mai. Ad ogni modo, non credo che mio figlio abbia sottovalutato i sintomi, piuttosto non ha trovato qualcuno disposto ad ascoltarlo e a dedicargli del tempo. Queste cose non dovrebbero capitare“.