Ce lo dicono da tempo, gli esperti. Il controllo del peso corporeo è fondamentale non solo nella prevenzione del tumore della mammella, ma diventa un fattore strategico anche per le cure su misura. Anche per questo, si ricorda sempre che per chi è in cura non servono supplementi vitaminici né particolari limitazioni alimentati. È fondamentale seguire i consigli dell’equipe curante.
E soprattutto, bisogna puntare sulla regolare attività fisica intensa (non la sola passeggiata ma corsa, cyclette o altro) almeno tre volte la settimana. L’effetto è simile a quanto si ottiene con alcuni farmaci ormonali e in più il movimento regolare aiuta la donna a controllare meglio il peso.
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I tumori non sono tutti uguali
La cellula neoplastica da cui origina il tumore mammario presenta caratteristiche specifiche, che aiutano a comprendere la sua origine, il possibile decorso della patologia e soprattutto a guidare le terapie.
La forma più comunque è il tumore della mammella positivo ai recettori ormonali: se questi sono presenti, l’unità maligna ha stimoli che le consentono di replicarsi e riprodursi meglio. La presenza di questi recettori viene solitamente considerata in base alla loro quantità: se il loro numero è più elevato, infatti, l’azione sullo sviluppo cellulare è maggiore. In genere in circa due casi su tre di tumore la patologia si presenta con queste caratteristiche, sia pure se con “quantità” diverse.
Diversa è la situazione in caso di positività ad HER-2. Il tumore in questo caso è caratterizzato dalla produzione in eccesso di un gene che viene “espresso” in quantità eccessive: questo si comporta come un recettore ed è presente sulla membrana esterna delle cellule patologiche.
In questo senso la positività all’ HER-2 (HER2+) diventa una caratteristica del tumore: in media circa un caso su quattro dei tumori ha queste caratteristiche. Ovviamente la presenza dei recettori non è sempre così specifica per cui è possibile avere anche una doppia sensibilità.
Esiste infine una terza possibilità, ovvero l’assenza totale di recettori. Questa situazione si verifica nel tumore triplo-negativo: in questo caso le cellule tumorali sono negative sia ai recettori ormonali che all’HER-2. Mediamente circa il 15 per cento delle lesioni presenta queste caratteristiche: il quadro è più comune nelle donne giovani.
L’impatto dell’obesità nelle cure
L’obesità o il sovrappeso possono influire sulle probabilità di guarigione delle pazienti con tumore al seno. Tuttavia, nel lungo periodo, quando indicata, una chemioterapia “intensiva”, somministrata a intervalli di tempo più ristretti rispetto a quella tradizionale, si conferma efficace nella prevenzione delle recidive indipendentemente dal peso corporeo.
Questi sono i risultati principali di due studi internazionali, uno condotto nell’ambito del trial APHINITY, recentemente pubblicato sull’European Journal of Cancer, e l’altro condotto nell’ambito del trial GIM2, pubblicato sulla rivista ESMO Open.
Il tema dell’obesità ha un impatto sempre maggiore in oncologia, sarà affrontato una sessione speciale il prossimo 20 ottobre al congresso della Società Europea di Oncologia Medica (ESMO) in programma a Berlino. e che inizierà a Berlino giovedì.
“I due studi ci danno indicazioni fondamentali su come l’eccesso di peso e la chemioterapia si combinano nel trattamento del tumore al seno con un impatto sulle strategie di cura per le pazienti – commenta Lucia Del Mastro, professore ordinario e direttore della Clinica di Oncologia Medica dell’Irccs Ospedale Policlinico San Martino, Università di Genova.
L’analisi condotta nell’ambito dello studio APHINITY si è concentrata sulle pazienti con tumore al seno HER2-positivo in fase iniziale, un tipo di tumore che tende a crescere velocemente. Su quasi 5.000 pazienti analizzate, il 47% era in sovrappeso o obesa, cioè con un indice di massa corporea (BMI) superiore a 25.
“Abbiamo scoperto un’associazione preoccupante: il sovrappeso e l’obesità peggiorano la prognosi del tumore HER2-positivo – spiega Del Mastro. In particolare, le pazienti con un BMI superiore a 25 sembrano avere un aumentato rischio di recidiva o morte del 27% rispetto alle pazienti normopeso o sottopeso. Inoltre, lo studio ha rilevato che le pazienti sovrappeso e obese hanno un rischio maggiore del 38% di morire per qualsiasi causa rispetto alle pazienti normopeso/sottopeso”.
Un altro dato interessante è che le pazienti con il BMI più alto sono anche quelle che interrompevano più spesso la chemioterapia post-intervento rispetto alle donne normopeso (14% vs. 9%). “Questo suggerisce che l’eccesso di peso può rendere la terapia più difficile da tollerare – sottolinea l’esperta
La chemio su misura
Notizie migliori arrivano invece dall’analisi condotta nell’ambito dello studio GIM2, la quale offre un messaggio di grande utilità pratica, focalizzandosi sulle donne con tumore al seno ad alto rischio di recidiva con linfonodi positivi, cioè in fase iniziale ma che ha iniziato a diffondersi ai linfonodi vicini.
“Questo studio mette a confronto la chemioterapia tradizionale a ‘intervallo standard’ con la più intensa ‘dose-dense’, somministrata in un arco di tempo più breve – spiega Del Mastro. In questa analisi su 1.925 pazienti, abbiamo scoperto che l’eccesso di peso non peggiora di per sé la prognosi a lungo termine (15 anni). Il regime dose-dense è risultato il più efficace, indipendentemente dal fatto che la paziente fosse normopeso, sovrappesa o obesa”.
I numeri sono chiari: nelle pazienti normopeso la chemioterapia “dose dense” riduce il rischio di recidiva del 13% rispetto a quella standard, nelle pazienti in sovrappeso del 28% e in quelle obese addirittura del 30%. Un altro aspetto cruciale è che, in questo studio, alle pazienti obese non è stata somministrata una dose di chemioterapia inferiore per via del loro peso, un problema noto in altri contesti clinici.
Tuttavia, le pazienti obese hanno mostrato una maggiore incidenza di alcuni effetti collaterali gravi, come la neuropatia (5,4%) e il dolore osseo (4,7%), rispetto alle normopeso (2,2% e 2% rispettivamente). “La paura di sottodosare la chemioterapia per evitare la tossicità nelle pazienti più pesanti non ha fondamento – conclude Del Mastro. Il regime più efficace, quello’ dose dense’, deve essere il trattamento di prima scelta per tutte le pazienti ad alto rischio di recidiva, indipendentemente dal loro BMI”.