Oggi, in Italia, circa 37.000 donne debbono fare i conti con il tumore al seno metastatico. In qualche caso le localizzazioni secondarie sono già presenti in fase iniziale, in altri si sviluppano con l’avanzare della malattia.
Sostanzialmente per la ricerca si pone una doppia sfida: incidere sulla malattia controllandola al meglio e assicurare una valida qualità di vita per le donne. In questo senso un aiuto può venire dagli ADC, acronimo di Antibody-Drug Coniugates o farmaci anticorpo-coniugati.
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Come funzionano questi farmaci
In pratica questi medicinali sfruttano un invisibile sotterfugio per offrire la massima efficacia esclusivamente all’interno delle cellule patologiche. Sono composti di due parti. Un componente ha il compito di riconoscere le cellule tumorali, che ovviamente presentano differenze rispetto a quelle sane, grazie all’identificazione dei recettori presenti sulla loro superficie. L’altro invece viene introdotto all’interno, come nella storia del Cavallo di Troia, e rilascia un principio attivo in grado di distruggere da dentro le cellule patologiche.
In pratica l’anticorpo O meglio: le componenti da considerare sono tre. La prima è un anticorpo, che riconosce e si lega ai recettori presenti sulla cellula tumorale, la seconda un farmaco chemioterapico, utilizzato per distruggere la cellula malata ed infine una sorta di “legante” ovvero un linker, che collega e stabilizza l’anticorpo e il farmaco chemioterapico.
Quando l’ADC si lega al recettore specifico sulla superficie di una cellula tumorale, entra in una bolla all’interno della cellula stessa. Poi l’ADC viene scomposto, rilasciando il farmaco chemioterapico nella cellula. Quindi quest’ultimo agisce per uccidere la cellula tumorale. Attualmente sono in corso diversi studi clinici volti a indagare il potenziale di ADC mirati a vari recettori per diversi tipi di cellule tumorali.
Un’azione selettiva per il tumore al seno
Il trattamento può essere estremamente selettivo tanto che questi medicinali sono uno dei presidi, tra i farmaci di ultima generazione, particolarmente adeguati per contrastare con la terapia medica (oltre che con altre strategie da utilizzare caso per caso) le metastasi.
Il tumore del seno, in questo senso, può determinare localizzazioni secondarie in altri organi ed apparati come fegato, cervello, ossa, polmoni. Tra le novità in questo senso va ricordata la disponibilità di sacituzumab govitecan, non solo già in seconda linea per il tumore al seno triplo negativo metastatico, la forma biologicamente più aggressiva di tutte, ma anche per le donne i con carcinoma mammario metastatico HR+/HER2.
Cosa significa? Questa definizione indica che il trattamento può essere impiegato anche quando l’analisi cellulare mostra che le cellule risultano positive per l’espressione dei recettori ormonali HR (estrogeno o progesterone), mentre esprimono poche o nessuna proteina HER2 (recettore 2 del fattore di crescita umano). Il tumore al seno HR+/HER2- (HR-positivo, HER2-negativo) costituisce circa il 70% di tutte le diagnosi di carcinoma mammario ed è caratterizzato da una maggiore probabilità di sviluppare metastasi ossee.
“In Italia si contano ogni anno circa 6-8.000 nuovi casi di tumore metastatico HR+/HER2-, che riguardano pazienti generalmente in buone se non ottime condizioni cliniche, quindi pienamente candidate – salvo eccezioni – a un trattamento con ulteriori linee terapeutiche – spiega Michelino De Laurentiis, Direttore Dipartimento Corp-S assistenziale e di ricerca dei percorsi oncologici del Distretto Toracico Istituto Nazionale Tumori IRCCS “Fondazione G. Pascale” di Napoli.
Recentemente l’opzione preferibile consiste nell’impiego dei coniugati farmaco-anticorpo (ADC), che in vari lavori di ricerca hanno dimostrato di essere più efficaci e spesso meglio tollerati rispetto alla chemioterapia”.