L’ipertensione arteriosa, definita da valori di pressione sanguigna superiori a 140/90 mmHg, è uno dei principali fattori di rischio cardiovascolare, essendo associata ad un’aumentata probabilità di sviluppare infarto miocardico, ictus cerebrale, scompenso cardiaco ed insufficienza renale.
Nella maggior parte dei casi, l’ipertensione arteriosa è definita primaria/essenziale: questo significa che non è identificabile una causa specifica, ma l’aumento dei valori pressori è il risultato di un’interazione tra multipli fattori (ad esempio: genetici e legati allo stile di vita).
Nel 5-15% dei casi, invece, l’ipertensione arteriosa si definisce secondaria, poiché risulta riconducibile ad una specifica condizione patologica sottostante. Tale condizione può essere identificata e curata, ottenendo così il miglioramento o la normalizzazione dei valori pressori.
Ipertensione secondaria: cosa si rischia
Di frequente, l’ipertensione secondaria è provocata da un’eccessiva produzione di ormoni da parte dei surreni, piccole ghiandole endocrine localizzate al di sopra dei reni. I surreni producono ormoni che hanno un ruolo chiave nella regolazione della pressione arteriosa: l’aldosterone, il cortisolo e le catecolamine (adrenalina e noradrenalina).
La forma più frequente di ipertensione arteriosa secondaria è l’iperaldosteronismo primario, patologia caratterizzata da una produzione incontrollata di aldosterone da parte di uno o entrambi i surreni a causa di un tumore benigno (adenoma) o di un ingrandimento diffuso di tali ghiandole (iperplasia bilaterale). L’aldosterone favorisce il riassorbimento di acqua e sodio a livello renale, determinando quindi un aumento della pressione arteriosa. Nei pazienti con iperaldosteronismo primario, ad alti livelli di pressione arteriosa si associano spesso bassi livelli di potassio nel sangue che, a loro volta, possono essere responsabili di alterazioni cardiache.
L’identificazione ed il trattamento dell’iperaldosteronismo primario sono importanti, poiché i soggetti con tale patologia presentano un rischio cardiovascolare maggiore rispetto ai soggetti con ipertensione arteriosa essenziale.
La diagnosi di iperaldosteronismo è un argomento complesso che richiede una valutazione medica specialistica. Il trattamento dell’iperaldosteronismo primario prevede l’intervento chirurgico di rimozione del surrene malato in caso di ipersecrezione ormonale sostenuta da una sola ghiandola oppure una terapia farmacologica specifica con antagonisti dell’aldosterone, nel caso entrambi i surreni si dimostrassero iperfunzionanti.
La chirurgia consente la sospensione o la riduzione del numero dei farmaci antipertensivi e la normalizzazione del potassio in oltre l’80% dei casi; nei pazienti non candidabili alla chirurgia, la terapia medica specifica riesce in genere a garantire un buon controllo della pressione arteriosa e del potassio.
Altre cause dell’ipertensione secondaria
Un’altra causa, molto più rara, di ipertensione arteriosa secondaria, è l’iperproduzione di adrenalina e noradrenalina da parte di un tumore del surrene che prende il nome di feocromocitoma. In questo caso, i pazienti manifestano in genere sintomi caratteristici (valori pressori molto elevati associati a cefalea, tachicardia e sudorazione). Il feocromocitoma è benigno nella grande maggioranza dei casi e in oltre un terzo dei pazienti si riscontra una predisposizione genetica. Quando il feocromocitoma è localizzato fuori dal surrene, viene chiamato paraganglioma.
La diagnosi si basa sul dosaggio delle metanefrine plasmatiche e urinarie (prodotti del metabolismo delle catecolamine) e su indagini radiologiche. Anche in questo caso, la terapia è chirurgica e, nelle forme benigne, solitamente curativa. In attesa dell’intervento chirurgico, è opportuno avviare una terapia con α-bloccanti, farmaci antipertensivi che inibiscono in modo specifico gli effetti dell’eccessiva produzione di catecolamine.
Anche l’iperproduzione di cortisolo può essere una causa, seppur rara, di ipertensione arteriosa secondaria. In questo caso, l’aumento della pressione arteriosa può associarsi ad iperglicemia, osteoporosi, perdita di muscolatura agli arti, accumulo di tessuto adiposo a livello del volto, in sede addominale ed interscapolare, striature rossastre della cute (strie rubrae), aumento dei peli corporei (irsutismo) ed irregolarità del ciclo mestruale, un quadro che prende il nome di sindrome di Cushing.
La causa può essere un tumore benigno o maligno del surrene oppure da un tumore dell’ipofisi, la ghiandola che, attraverso la produzione dell’ormone adrenocorticotropo (ACTH), stimola la secrezione di cortisolo da parte del surrene. La diagnosi rappresenta una vera e propria sfida per l’endocrinologia moderna e si basa sul dosaggio dei livelli di cortisolo nella saliva, nel sangue e nelle urine, in aggiunta ad una serie di test specifici. Anche in questa patologia, la terapia di scelta è quella chirurgica, che consente in genere una normalizzazione dei livelli di cortisolo con regressione dei segni e sintomi.
Il malfunzionamento della tiroide può influire sui valori di pressione arteriosa. Una riduzione della produzione di ormoni tiroidei (ipotiroidismo), che si manifesta con aumento di peso, debolezza, intolleranza al freddo, secchezza della cute, perdita di capelli, voce roca e stitichezza, si associa spesso a un aumento della pressione diastolica (minima).
Al contrario, un’eccessiva produzione di ormoni tiroidei, che si presenta con sintomi quali perdita di peso, irritabilità, ansia, palpitazioni, intolleranza al caldo, alterazioni del transito intestinale e del ciclo mestruale, si associa in genere ad un aumento della pressione differenziale (differenza tra massima e minima) per un aumento della pressione sistolica (massima) associato a una diminuzione della diastolica (minima).
Le indagini di primo livello nel sospetto di disfunzione tiroidea sono il dosaggio degli ormoni tiroidei, degli anticorpi anti-tiroide nel sangue e dell’ecografia tiroidea. Sulla base della patologia sottostante, si effettueranno poi eventuali ulteriori accertamenti e si sceglierà la terapia più opportuna (medica, chirurgica o con iodio radioattivo).
Infine, anche l’eccessiva produzione di ormone della crescita (GH) da parte di un tumore benigno, più frequentemente localizzato nell’ipofisi, può causare ipertensione arteriosa. Tale quadro, noto come acromegalia, caratterizza una patologia complessa che determina un profondo sovvertimento della fisionomia, un aumento volumetrico delle parti distali del corpo e degli organi interni (fegato, cuore, reni, milza e intestino), cefalea, alterazioni visive, sindrome del tunnel carpale, artrosi, dolore e ridotta mobilità articolare, dolori muscolari, alterazioni del ciclo mestruale, disfunzione erettile, cute ispessita ed oleosa, aumento dei peli corporei, sudorazione eccessiva, ingrandimento della tiroide, malattie strutturali del cuore, raucedine, poliposi intestinale e diabete. La diagnostica di laboratorio, da effettuare nei centri specializzati, prevede il dosaggio della somatomedina (IGF-1), un ormone prodotto dal fegato, mediante cui si espletano le funzioni del GH.
In conclusione, esistono situazioni cliniche che devono portare il medico a sospettare l’esistenza di una forma di ipertensione secondaria:
- ipertensione arteriosa severa (valori >180/110 mmHg);
- insorgenza acuta di ipertensione;
- ipertensione arteriosa in paziente con età < 40 anni;
- ipertensione resistente alla terapia farmacologica;
- segni e sintomi suggestivi di alterazioni ormonali.
In queste situazioni è opportuno eseguire una valutazione specialistica per escludere la presenza di un quadro di ipersecrezione ormonale sottostante. L’identificazione e il trattamento di una causa endocrina di ipertensione, infatti, possono essere curativi o comunque consentire una riduzione del numero di farmaci assunti e, in particolare, del rischio cardiovascolare.
In collaborazione con la Dott.ssa Martina Bollati e il Dott. Mirko Parasiliti Caprino