Cos’è l’aichmofobia, chi rischia di più la paura degli aghi

Si chiama aichmofobia ed è la paura degli aghi. Le tecniche che permettono di vincere questo tipo di fobie

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Viene da chiederselo, vedendo uomini dal grande fisico cercare di fuggire di fronte al piccolo ago che il dentista utilizza per fare l’anestesia. Come è possibile che si possa avere paura? E come mai si soffre all’idea di un’iniezione che potrebbe aiutare il nostro benessere, al punto di trovare vie alternative per assumere un farmaco?

Per chi si trova a fare i conti con questi timori, che possono diventare vere e proprie fobie, è meglio ricordare che la paura degli aghi ha un nome ed è molto diffusa. Si chiama aichmofobia: il terrore spesso si associa alla paura del sangue ed è caratterizzato da una sensibilità vasovagale, che può portare anche a svenimenti durante un’iniezione o un prelievo.

Perché si sviene di fronte a una siringa? Semplice: la vista dell’ago induce una risposta dell’organismo che dopo un’accelerazione iniziale della frequenza cardiaca e un aumento della pressione alla vista dell’ago, porta a una brusca decelerazione del battito e a un crollo pressorio, con successivo svenimento. Se per tutti occorre cercare di vincere questi timori, ci sono persone che davvero debbono sfidare questa reazione incontrollabile. È il caso dei soggetti con malattie croniche ed in particolare con il diabete, che debbono fare spesso utilizzo di aghi.

Fa paura l’ago e non il dolore

Uno studio reso noto recentemente mostra quanto il paziente oltre a dover accettare la malattia cronica e le ripercussioni sullo stile di vita, debba anche convivere con la paura e il disagio conseguente alla terapia di cui non può fare a meno.

“La paura che i miei pazienti riportano – spiega Laura Nollino, Diabetologa c/o Unità Operativa Complessa di Malattie Endocrine del Ricambio della Nutrizione, Ospedale Cà Foncello di Treviso – non è associata al dolore provocato dall’ago, ma piuttosto alla paura stessa di sentire dolore e all’azione che rievoca il fatto di avere il diabete. Oltre a un supporto educazionale multidisciplinare, mi incoraggia molto poter offrire loro le numerose soluzioni tecnologiche che riducono l’utilizzo giornaliero degli aghi garantendo una migliore gestione del diabete”.

Lo studio segnala che anche per altre patologie croniche come l’insufficienza renale cronica che richiede la dialisi l’aichmofobia vada controllata e come quanto sia indispensabile identificare i fattori che vi sono all’origine per lo sviluppo di trattamenti e soluzioni efficaci.

“Come per tutte le fobie, è utile rivolgersi ad un esperto psicoterapeuta soprattutto quando la paura è invalidante per il successo delle terapie farmacologiche. Parlare del problema serve a circoscriverlo, definirlo e razionalizzarlo. Spesso il paziente sa che la sua paura è immotivata, sproporzionata all’evento – spiega l’esperta – ma non sa come gestirla. La terapia cognitivo comportamentale rappresenta un valido rimedio per le fobie perché attraverso alcune tecniche permette di vincere la paura”.

Cosa fare con chi soffre di diabete

Il timore con tutti i sintomi e i segni che lo seguono possono manifestarsi per un prelievo di sangue, una vaccinazione o la somministrazione ripetuta di un farmaco, come avviene nel caso di una malattia cronica come il diabete.  L’eserta sagnale che “è come se il gesto quotidiano dell’iniezione o del pungidito, risvegliasse nel paziente problematiche più sommerse e mai indagate, soprattutto per via della frequenza dell’uso degli aghi che si ripete almeno 8-10 volte al giorno e fino a 3mila volte all’ anno per una persona con diabete tipo 1. Una resistenza psicologica che può rappresentare uno dei fattori che concorrono alla riduzione dell’aderenza alla terapia e quindi alla buona riuscita del trattamento del diabete”.

Contromisure? Possibili. “Ci sono piccoli accorgimenti – continua Nollino – che aiutano a distrarre il paziente che si dimostra spaventato. Un esempio è quello di procedere alle rilevazioni della glicemia in modo rapido, scegliendo la profondità di puntura più confortevole in base al proprio spessore della pelle. In alcuni casi può essere utile pungere il polpastrello lateralmente o applicare lozioni emollienti che possono aiutare le zone fragili limitrofe.

Per le iniezioni di insulina, invece, è altrettanto importante andare a colpo sicuro con aghi sottocutanei di lunghezza minima, cambiandoli a ogni iniezione per evitare microlesioni e cambiando sempre la zona del corpo dove inserire l’ago”. Infine, va ricordato che la tecnologia sta cercando di limitare il ricorso agli aghi attraverso sistemi sempre più “intelligenti” che sostituiscono quello manuale degli aghi sia per la misurazione della glicemia sia per l’infusione di insulina.