È difficile. È complicato. Esprimersi su quanto accaduto a Valentina Giunta è qualcosa di così doloroso che al solo pensiero la gola si chiude e il cuore sembra frantumarsi sotto il peso di un dolore che non può essere davvero spiegato a parole, che non può essere raccontato facilmente.
Eppure, questo è l’ennesimo femminicidio in Italia e farlo passare sotto silenzio sarebbe, probabilmente, la più grande colpa che si possa avere. La dinamica dell’omicidio di Valentina è drammatica, orribile. Infatti il suo omicida è proprio la persona che lei voleva proteggere, nonostante le tensioni: uno dei suoi due figli, minorenne. Che non avrebbe esitato ad accoltellarla.
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Cos’è successo a Valentina Giunta?
Ma procediamo un passo alla volta e analizziamo la storia di Valentina. 32 anni, una relazione alle spalle con un uomo che ha sempre perpetrato violenza sulle donne e che non si è fatto remore neanche con lei, madre dei suoi due figli, uno di 10 e uno di 14 anni. Un uomo che non ha certo dato il buon esempio, ma che per i figli era, in qualche modo, un punto di riferimento. Un uomo che, infine, si è fatto arrestare per furti d’auto e, sì, anche per tentato omicidio.
Finito in carcere, l’uomo ha continuato a terrorizzare Valentina, che già da diverso tempo cullava l’idea di lasciare la sua città, Catania. Un’idea che è maturata e che si è concretizzata quando ha preso casa a Librino per cominciare una nuova vita. Purtroppo, però, non c’è stato nessun nuovo inizio: il 25 luglio, infatti, Valentina è tornata nella vecchia casa di Catania per prendere alcune cose da portare nella sua nuova dimora. E lì, la sua vita si è spezzata: qualcuno l’ha uccisa con quattro coltellate alla gola e alle spalle.
La telefonata ai soccorsi e il colpevole
Valentina non è morta subito. Ha avuto tutto il tempo di capire cosa le stava accadendo. Ferita letalmente, è riuscita persino a chiamare i soccorsi, con la voce spezzata, ma chi doveva salvarla è arrivato troppo tardi. E così, si è spenta, sul pavimento della camera da letto di quella vecchia casa che conteneva già dei ricordi per lei insostenibili. Nel giro di poco, la macchina investigativa si è messa in moto: con l’ex compagno violento in cella chi poteva aver fatto questo?
La risposta è più tragica di quanto si possa pensare: a colpire questa giovane donna è stato il figlio di 14 anni. Gli investigatori hanno ricostruito la dinamica in pochissimo tempo: con il fratellino di 10 anni dai nonni materni, il ragazzino avrebbe capito che la mamma era da sola e la avrebbe aspettata in casa. Lui viveva da solo da diverso tempo in un altro appartamento e le ha teso un agguato, all’inizio non per ucciderla, probabilmente, ma di certo per litigare con lei e minacciarla.
Perché per il quattordicenne, Valentina aveva una colpa imperdonabile: quella di allontanare lui e suo fratello dal padre, che lui amava e ama al punto da non distinguere più cosa è giusto e cosa è sbagliato. Eppure, la donna lo stava facendo per loro, anche per lui, perché voleva proteggerli. Voleva prendere la loro mano e portarli via, lontani da un contesto di degrado, violenza e dolore. Ma non è stato possibile.
La confessione del figlio e il rapporto con il padre
Così, le forze dell’ordine hanno rintracciato questo quattordicenne confuso, arrabbiato, pericoloso. Un ragazzino che venera letteralmente il padre e che, portato in caserma, ha confessato il delitto. Singhiozzando, urlando e inveendo, il ragazzino ha spiegato di aver litigato con la madre e di averla accoltellata perché non poteva tollerare di allontanarsi dal padre, il suo mito, la sua leggenda, l’unico vero esempio di “forza” che conosce (sì, anche per via degli abusi sia fisici che psicologici sulla madre).
Adesso, le indagini si stanno spostando sulla famiglia dell’ex convivente di Valentina, padre del ragazzino. Perché a quanto pare anche i suoceri della donna uccisa avrebbero avuto un ruolo, fomentando la rabbia del quattordicenne, così come lo avrebbe avuto l’uomo, che sentiva regolarmente il figlio in videochiamata e che era perfettamente consapevole della venerazione del figlio, che continuava a dedicargli foto, canzoni e collage sui suoi social.
Una storia tragica, amara e dolorosa. Un dolore che non è possibile spiegare e che deve ancora farci riflettere su quanto sia difficile controllare la mascolinità tossica, gli abusi sulle donne e il loro impatto anche sui più giovani, che, senza neanche saperlo, vengono corrotti. E possono fare qualcosa di indicibile.