Rapper, cantautore e produttore, Dargen D’Amico è stato definito in più occasioni tra i rappresentanti più eclettici e poetici della scena cantautorale italiana contemporanea. Ha spostato i confini di genere fondendo, per la prima volta in Italia, il rap con la musica cantautorale . Uno stile unico caratterizzato dalla destrutturazione del linguaggio e da giochi di equilibrio tra i sensi delle parole, che ha utilizzato anche nelle sue numerose collaborazioni con Fedez, Fabri Fibra, Marracash, Rkomi, Enrico Ruggeri, gli 883 e molti altri.
Il brano che Dargen presenta in gara a Sanremo si intitola “Dove si balla” unisce in un unico tormentone tutti i mondi che ha esplorato nel corso della sua carriera: la cassa dritta dell’elettronica da ballare, il pop anni ’90 che prende le mosse dall’eurodance, il rap d’autore. La definisce una canzone che parla “della necessità di movimento dell’essere umano, in tutti i sensi”, e riesce con leggerezza e ironia a toccare diversi temi a lui cari, dalle migrazioni ai rapporti umani. Soprattutto, descrive un mondo post-pandemico che ci vede passare le nostre serate sul divano, e si pone dubbi esistenziali che hanno attraversato la mente di ciascuno di noi, negli ultimi due anni.
A poche ore dalla serata delle cover, abbiamo raggiunto al telefono Dargen D’Amico per farci raccontare la scelta di portare un brano di Patty Pravo e chiedergli se teme l’endorsment di Fedez e Chiara Ferragni, dopo le polemiche dello scorso anno.
Stasera hai deciso di portare un brano di Patty Pravo – “La bambola” – e di presentarti da solo sul palco dell’Ariston. Perché?
Sono da solo perché non volevo riversare la vergogna su nessun altro. Questo brano l’ho scelto perché ovviamente mi piace molto, anche se la versione che farò io sarà molto differente dall’originale. Non sembreranno quasi lo stesso brano, sia per l’interpretazione che per il sound. Mi interessa questa canzone perché – pur trattando il punto di vista degli anni ’60 – mi dava la possibilità di costruire un intervento in cui poter aggiungere delle sfumature attuali, del 2022, mantenendo comunque la medesima narrazione.
Parlando invece del tuo brano, “Dove si balla”: come è nato e quando hai deciso di portarlo a Sanremo, che è un palco abbastanza distante al tuo mondo?
In realtà non ho mai avuto pregiudizi rispetto a Sanremo, anche in passato avevo inviato dei brani ma si trattava di un Festival decisamente diverso rispetto a quello di oggi. Ora si prova a fotografare la musica italiana, inserendo istanze che provengono da luoghi diversi della canzone italiana. Inizialmente non era nelle mie intenzioni di portare a Sanremo questo brano, il cui testo nasce durante un momento in cui si stava tornando a raccontare la crisi. La mia volontà era di liberarmi di sensazioni che già conoscevo, di aprimi dopo essere stato chiuso per molto tempo rispetto alla mia scrittura. L’idea di mandarlo a Sanremo non è stata mia, bensì dei compositori che ci hanno lavorato con me. Mi sono fidato perché sono ragazzi che hanno un sacco di esperienza. Poi comunque sono amici, e fidarsi degli amici è una delle cose più dolci che si possa fare.
Anche una delle più pericolose, a volte.
Infatti questa è sia dolce che pericolosa. Però mi è servito perché avevo bisogno di una scossa per tornare a guardarmi da fuori e uscire dal torpore degli ultimi due anni. E devo dire che come terapia ha funzionato benissimo.
Parliamo ora dei tuoi look, tanto stravaganti quanto protagonisti dei vari meme su Internet: come e con chi li hai scelti?
Li ho scelti insieme al mio stylist Giulio Casagrande e il ragionamento che abbiamo fatto è quello di evitare i brand più blasonati, cercando invece artisti e creativi italiani a cui dare spazio. Poi io di moda capisco poco: mi piace una cosa e la metto.
Come i tuoi occhiali da sole, non te li togli mai?
No. Durante la vita promozionale e artistica non me li levo mai.
Sei molto impegnato anche sul piano sociale assieme a La Pina e Fedez con l’associazione TOG. Come ti sei avvicinato a questa realtà?
Basta andare a visitare il loro centro per essere travolti dall’energia, dalla gioia e dalla voglia di conoscere dei ragazzi e del personale che lavora lì. Quando ho lavorato all’ultimo disco di Fedez, ho avuto la possibilità presentare anche a lui questo progetto, perché l’idea era di trasformare il disco – che ormai è poco più di un feticcio – in qualcosa di più solido, vero e che non fosse solo la rappresentazione fisica di un percorso discografico. In quei giorni La Pina mi ha raccontato proprio di questo centro con cui lei collaborava da tempo: lo abbiamo mostrato a Federico, anche lui se ne è innamorato e da lì abbiamo sposato la causa.
Lo scorso anno c’è stata una polemica sul fatto che Chiara Ferragni avesse sostenuto Fedez al televoto attraverso delle Instagram Stories. Temi una polemica simile su di te quest’anno?
È vero, Fedez ha fatto una storia su Instagram perché ci tiene, ma l’ha fatta anche per altri e non credo abbia falsato così tanto il meccanismo di voto. E poi ci sono molti influencer che sostengono gli altri artisti in gara, ma evidentemente l’opinione popolare si concentra solo su Fedez e Chiara. Se le persone ritengono che debba essere vietato, andrebbe fatta una legge. Se così fosse sarei d’accordo, ma a quel punto andrebbe vietato anche agli altri.