Quando è possibile dire di soffrire di obesità

L’obesità è una patologia cronica che colpisce sempre più persone in Italia e nel mondo. Impariamo a conoscerla meglio

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Roberta Martinoli

Medico Nutrizionista

Dopo una Laurea in Scienze Agrarie e un Dottorato di Ricerca in Fisiologia dei Distretti Corporei, consegue una Laurea in Scienze della Nutrizione Umana e in Medicina e Chirurgia.

Che cos’è l’obesità

Il 4 marzo 2021, in occasione dell’Obesity Day, la Commissione Europea ha emanato una direttiva in cui definisce l’obesità come una malattia cronica recidivante che a sua volta apre le porte ad altre malattie non trasmissibili come il diabete, le malattie cardiovascolari e il cancro. Proprio per il suo carattere di patologia cronica e recidivante, l’obesità richiede una strategia di lungo termine finalizzata al calo ponderale e al mantenimento nel tempo del peso raggiunto.

Come per tutte le patologie anche per l’obesità è necessario stabilire dei criteri diagnostici. Partiamo allora dalla definizione: si tratta di un eccesso di peso rispetto alla statura che è dovuto all’aumento della massa grassa la quale arriva a rappresentare oltre il 30% della massa corporea. Ai fini della diagnosi è, quindi, necessario misurare la statura e il peso e adottare allo stesso tempo delle metodiche che consentano di stimare la quantità di grasso corporeo. Volendo avere dei parametri di riferimento si considera normale una massa grassa pari al 10-15% del peso corporeo nei maschi adulti e al 15 20% del peso corporeo nelle femmine adulte.

Le tecnologie in grado di stimare la quantità di grasso corporeo sono diverse. Tra queste elenchiamo:

  • la densitometria;
  • l’impedenziometria;
  • la diluizione isotopica;
  • la densitometria a doppio raggio fotonico o DEXA;
  • la TAC;
  • la risonanza magnetica nucleare;
  • la plicometria.

Dunque, potremmo definire l’obesità come la condizione in cui la massa grassa è superiore al 30% del peso corporeo oppure ancora come la condizione in cui il peso corporeo è superiore al 30% rispetto al peso ideale o, in ultimo, come la condizione in cui l’indice di massa corporea o BMI (Body Mass Index) è superiore a 30 chilogrammi per metro quadrato.

L’indice di massa corporea si calcola facendo il rapporto tra il peso espresso in chilogrammi e la statura espressa in metri ed elevata al quadrato. I soggetti normopeso hanno un BMI compreso tra 18 e 25. Per valori da 25 a 30 si parla di sovrappeso e per valori superiori a 30 si comincia a parlare di obesità.

Una delle definizioni di obesità che abbiamo dato si basa sul concetto del peso ideale. Come è possibile stabilire il peso ideale? Si applica una formula nota come formula di Broca. Per i maschi il peso ideale è uguale all’altezza espressa in centimetri -100. Per le femmine il peso ideale è pari all’altezza espresse in centimetri -104. Volendo fare degli esempi un uomo alto 170 centimetri dovrebbe pesare 70 chilogrammi. Una donna della stessa statura dovrebbe pesare 66 chilogrammi.

Differenza tra sovrappeso e obesità

Il sovrappeso è una situazione di allontanamento dal peso corporeo ideale che gradualmente potrebbe portare all’instaurarsi di una condizione di obesità. Si comincia a parlare di sovrappeso per valori di BMI superiori a 25. Si rimane nella fascia del sovrappeso fin quando l’indice di massa corporea non supera il valore di 30.

Se si segue un’alimentazione che fornisce calorie in eccesso rispetto al proprio fabbisogno calorico giornaliero è inevitabile aumentare di peso. Basta un surplus calorico di cento chilocalorie al giorno per avere al termine del mese un aumento ponderale pari a mezzo chilo riconducibile ad un aumento della massa grassa. È facile comprendere, allora, come una dieta non bilanciata dal punto di vista calorico possa essere la principale causa dell’instaurarsi di un fenomeno di sovrappeso e di obesità. Quel mezzo chilo al mese porta ad un aumento ponderale di 5 kg al termine dell’anno.

Forme di obesità

L’obesità, dunque, si definisce sulla base del rapporto tra il peso e la statura e sulla base della quantità di grasso corporeo. È possibile però distinguere tra varie forme di obesità, non solo sulla base dell’eccesso ponderale (obesità di primo, secondo e terzo grado) ma anche sulla base della distribuzione del grasso corporeo.

La forma di obesità più grave, perché maggiormente associata al rischio di insorgenza di patologie cronico degenerative, è l’obesità viscerale. Quando andiamo incontro ad un aumento del peso corporeo notiamo che si ha un ispessimento delle pliche cutanee per un aumento della quantità di grasso che si localizza a livello sottocutaneo. Allo stesso tempo però ci accorgiamo che aumenta la nostra circonferenza vita e la nostra circonferenza addominale. L’aumento di queste circonferenze non è legato esclusivamente all’aumento del grasso sottocutaneo ma anche all’aumento del grasso viscerale. Sappiamo, infatti, che intorno agli organi interni e nello specifico per quanto riguarda l’addome intorno all’intestino e al fegato si raccoglie una certa quantità di grasso. Con l’aumento del peso corporeo la quantità di grasso peri-viscerale e viscerale aumenta considerevolmente. Gli esperti lo definiscono grasso ectopico perché si raccoglie in sedi dove normalmente non dovrebbe essere presente o dove dovrebbe essere presente in minore quantità.

Come abbiamo detto, è il grasso maggiormente associato all’insorgenza delle patologie cronico degenerative perché responsabile della produzione di fattori infiammatori. L’infiammazione viene considerata oggi come il meccanismo più importante alla base di insulino-resistenza, diabete, malattie cardiovascolari, malattie neurodegenerative e tumori.

Per definire la distribuzione del grasso corporeo e dunque la presenza di un’obesità viscerale devono essere presenti queste due condizioni:

  • un indice di massa corporea superiore a 30;
  • una circonferenza vita superiore a 102 centimetri nel maschio e a 88 centimetri nella donna.

A fronte di queste condizioni è ancora più urgente ricercare una perdita del peso corporeo pari almeno al 10% rispetto al peso iniziale. L’evidenza scientifica ha dimostrato, infatti, che se una persona del peso di 100 kg perde 10 chilogrammi, rimanendo pur sempre in condizioni di obesità, riduce enormemente il rischio di andare incontro alle patologie grasso correlate.

Sulla base della distribuzione del grasso corporeo è possibile distinguere tra:

  • un’obesità androide o centrale con eccesso di grasso sottocutaneo a livello del tronco;
  • un’obesità ginoide o periferica con eccesso di grasso sottocutaneo a livello gluteo-femorale;
  • un’obesità viscerale con eccesso di grasso intraddominale;
  • un’obesità mista con eccesso ubiquitario di grasso.

Principali cause di obesità

Le cause di obesità possono essere distinte in intrinseche ed estrinseche. Tra le cause intrinseche di obesità dobbiamo citare:

Tra le cause estrinseche vanno annoverati:

Tutti questi fattori contribuiscono non solo all’aumento del peso corporeo ma condizionano anche la distribuzione regionale del tessuto adiposo. Tra i fattori citati quelli che hanno più impatto sul fenomeno dell’obesità sono l’introito calorico che eccede il consumo, la scarsa attività fisica (sedentarietà) ed il ridotto metabolismo basale, che può avere in parte cause genetiche.

Genetica ed epigenetica

Già da tempo si sente parlare di leptina (ormone prodotto dal tessuto adiposo e in grado di regolare il senso di sazietà) o di ghrelina (l’ormone dell’appetito). Negli ultimi anni la mappatura del DNA ha consentito di scoprire almeno un’altra dozzina di geni coinvolti nell’insorgenza dell’obesità. Ma avere o no quel dato gene portatore di obesità ereditato dai nostri genitori non è il solo fattore da considerare. Bisogna anche vedere quanto quel gene è espresso.

Entriamo così in un nuovo capitolo della genetica noto come epigenetica. Con questo termine ci si riferisce ai cambiamenti che influenzano il fenotipo (l’individuo come appare nella sua complessità) senza alterare il genotipo (cioè l’insieme dei geni). Si tratta di fenomeni che possono verificarsi già nella vita intrauterina, tant’è che alcuni esperti parlano di origine fetale della malattia adulta (Fetal Origins of Adult Disease, FOAD).

Prendiamo l’esempio di una donna che affronta una gravidanza durante una carestia. Il feto imparerà che il cibo scarseggia e che la strategia migliore è quella di immagazzinarne ogni briciola. Indipendentemente da come si siano assortiti i geni del nuovo essere in formazione, questo subirà una programmazione metabolica e per tutto il resto della vita sarà in grado di conservare una buona quota di energia che gli deriva dagli alimenti che ingerisce. In altri termini sarà soggetto ad ingrassare.

Tra i fenomeni che rendono possibile accendere e spengere i nostri geni vi è quello della metilazione, ovvero il legame di un gruppo metile ad una base azotata. Mentre il patrimonio genetico di ciascun individuo rimane per lo più invariato durante tutta la vita, l’epigenetica è un fenomeno piuttosto dinamico. Il cibo che ingeriamo potrebbe prendere parte a questo fenomeno contribuendo ad accendere e spengere i nostri geni!

Possibili trattamenti

Per correggere una condizione di sovrappeso, può essere sufficiente adottare uno stile di vita attivo e fare attenzione alla dieta. L’obesità, al contrario, rappresenta una vera e propria sfida per medici e pazienti. Tra gli approcci terapeutici in uso nel trattamento dell’obesità vanno citati:

  • trattamento dietoterapico e miglioramento dello stile di vita (bisogna virare dalla sedentarietà ad uno stile di vita attivo);
  • psicoterapia di supporto (ottimi gli approcci basati sull’EMDR, Eye Movement Desensitization and Reprocessing o desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari);
  • trattamenti farmacologici (vedi liraglutide);
  • chirurgia dell’obesità (chirurgia bariatrica).

Chirurgia bariatrica

Con il termine di chirurgia bariatrica ci si riferisce a quella branca della chirurgia che si occupa del trattamento dell’obesità. Si giunge a queste soluzioni come ultima ratio dopo tentativi ripetuti di dimagrire mediante dieta ed esercizio fisico. Gli interventi praticati si dividono in gastrorestrittivi e malassorbitivi. Con i primi si forma una “tasca gastrica” di dimensioni ridotte in modo che il senso di sazietà possa sopraggiungere rapidamente. Fanno parte della chirurgia bariatrica restrittiva:

  • il bendaggio gastrico;
  • il palloncino intragastrico;
  • la gastroplastica verticale;
  • la gastroplastica verticale parziale o sleeve gastrectomy.

Che sia per effetto di un anello gonfiabile che preme sullo stomaco (come del bendaggio gastrico), di un palloncino che si gonfia all’interno della cavità gastrica, o ancora di un vero e proprio intervento chirurgico che riduce il volume dello stomaco (come nella gastroplastica verticale e nella sleeve gastrectomy) l’effetto è sempre lo stesso: minore capacità di assumere cibo (un grande obeso può arrivare ad ingerire più di 6 litri di alimenti nell’arco di un solo pasto) e un più precoce senso di sazietà (è sufficiente un frammento di carne o una crosta di pane per arrivare a dire “Basta!”).

Gli interventi di chirurgia mista (bypass gastrico) abbinano la componente gastrorestrittiva (formazione di una tasca gastrica di più piccole dimensioni) ad un ridotto assorbimento del cibo. Tra gli interventi gastrorestrittivi vanno citati il bypass gastrico e le sue varianti. Quello che il chirurgo fa in questo caso non è solo ridurre il volume dello stomaco ma anche “abboccare” la piccola tasca gastrica così formata ad un tratto più o meno terminale dell’intestino tenue. In questo modo non solo si mangia di meno ma si assorbe anche meno di quello che si mangia.

Sono contemplati anche gli interventi di tipo malassorbitivo che riducono drasticamente l’assorbimento del cibo e dell’energia. In questo tipo di approccio lo stomaco viene collegato alla parte più terminale dell’intestino tenue. Il cibo percorre soltanto una piccola parte del tratto gastrointestinale deputato all’assorbimento. Si tratta dunque di un intervento più invasivo rispetto alle altre metodiche ma la probabilità di riuscire a mantenere la riduzione del peso corporeo nel lungo periodo è senza dubbio maggiore. Un esempio di intervento di tipo malassorbitivo è la diversione biliopancreatica.

Farmaci per l’obesità

Se uno dei meriti della chirurgia bariatrica è quello di indurre un precoce senso di sazietà esiste un farmaco in grado di fare altrettanto (medical gastric-by pass). Fino a qualche anno fa era ammesso l’uso di farmaci anoressizzanti. Tra le molecole più ampiamente usate vi era la sibutramina. Il farmaco è stato ritirato dal commercio per via dei suoi pesanti effetti collaterali. L’alternativa odierna alla sibutramina è la liraglutide venduta con il nome commerciale di Saxenda. La liraglutide fa parte di una nuova generazione di farmaci analoghi del GLP-1. La sigla sta per Glucagon Like Peptide 1. Si tratta di un’incretina che a livello fisiologico ha il compito di:

  • aumentare la secrezione di insulina da parte delle beta-cellule pancreatiche;
  • diminuire la secrezione di glucagone (ormone antagonista dell’insulina) da parte delle cellule alfa del pancreas;
  • rallentare la motilità e lo svuotamento gastrico con conseguente riduzione dell’appetito ( e in questo sta l’effetto gastric-by pass like).

Il farmaco trova il suo bacino di impiego nel trattamento del diabete mellito di tipo 2 (diabete alimentare) ma poiché la sua assunzione si associa ad un calo medio di 5,6 kg all’anno è stato proposto anche come farmaco per il trattamento dell’obesità.