Tumore polmonare, perché (anche) le donne sono a rischio

I rischi sono elevati anche per le donne, ma grazie alla ricerca i trattamenti possono essere mirati e specifici

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Si fa presto a dire tumore. Più la scienza va avanti, più ci si accorge che ogni malattia ha sue precise caratteristiche e può essere diversa, nel delicato mondo dell’invisibile, da una persona all’altra. Ed allora, viene da pensare alla massima del generale cinese Sun Tzu: “Conoscere bene il nemico per meglio combatterlo e avere il maggior numero di possibilità nell’affrontarlo”.

Oggi il grande sforzo dell’oncologia sta nell’individuare le caratteristiche intrinseche nascoste nel Dna e nei risvolti molecolari delle cellule neoplastiche, per poter arrivare davvero alla cura su misura. E non solo per gli uomini: considerate che questa malattia è in crescita nella popolazione femminile tanto da essere oggi la seconda causa di morte oncologica nelle donne. L’abitudine al fumo in aumento nella popolazione femminile rispetto a quella maschile ha innalzato negli ultimi anni il rischio delle donne di contrarre il tumore al polmone. Insomma. Ci vuole attenzione. E, per quanto possibile, occorre arrivare presto, sapendo che grazie agli sviluppi della scienza si può andare verso trattamenti sempre più mirati e specifici.

Un “camaleonte” da studiare

I tumori al polmone non sono tutti uguali: per la diagnosi, che in due casi su tre avviene quando la neoplasia è già in stadio avanzato, il primo passo è scoprire la specifica mutazione che origina il tumore, mediante i più innovativi test di profilazione genomica: nel 60% delle forme non a piccole cellule (NSCLC), le più diffuse in assoluto, avere la carta d’identità genetica del tumore consente infatti in quattro casi su dieci di accedere a cure di precisione, più efficaci e meglio tollerate.

Questo è un obiettivo fondamentale per la diagnosi e per il trattamento mirato. La sua capacità di mimetizzarsi causa ritardo nella diagnosi: spesso è asintomatico o innesca una sintomatologia che viene confusa con quella di altre patologie e si presenta con diverse “identità”. In particolare, nell’85% dei casi, ci si trova di fronte ad un tumore del polmone non a piccole cellule (NSCLC, “non-small-cell lung cancer”), forma che, a sua volta, nel 60% dei casi presenta specifiche alterazioni genetiche. Volete un esempio? Pensate alla mutazione KRASG12C, una delle più frequenti, che colpisce circa 1 paziente su 83.

La ricerca scientifica ha portato allo sviluppo di test molecolari che si basano su metodiche avanzate, come la tecnologia NGS (Next Generation Sequencing), in grado di individuare le alterazioni genetiche a oggi rilevabili, eseguendo più analisi contemporaneamente su un unico campione di tessuto e quindi in tempi più brevi rispetto alle analisi sequenziali dei test standard. Questo rappresenta un importante vantaggio specie quando la neoplasia viene scoperta in stadio avanzato e si ha a disposizione una ridotta quantità di tessuto da poter analizzare.
Ed è solo un esempio che va considerato per capire quanto e come è importante ottenere la carta d’identità del carcinoma con il minore disagio possibile per il malato. Avere queste informazioni è basilare, come ricorda la campagna digital “L’esame più importante della tua vita”, che vuole contribuire a informare i pazienti sul ruolo giocato dalle possibili alterazioni genetiche del tumore al polmone, stimolando un approfondimento con lo specialista sulle opzioni oggi disponibili per individuarle con precisione.

Così si usano i farmaci giusti

Individuare l’identikit del tumore al polmone non a piccole cellule o appunto NSCLC, è un fattore strategico perché consente in diversi casi di impostare terapie mirate, capaci di rallentare l’evoluzione della neoplasia. “Oltre alla tempestività, è sicuramente la precisione della diagnosi che può fare la differenza in quel 30% di pazienti affetti da NSCLC che possono essere trattati con i farmaci a bersaglio molecolare. E la percentuale è (fortunatamente) destinata a crescere in fretta grazie ai risultati ottenuti dalla ricerca – segnala Silvia Novello, Ordinario Oncologia Medica, Università di Torino, Responsabile SSD Oncologia Polmonare, AOU “San Luigi Gonzaga” di Orbassano e Presidente di WALCE Onlus (Women Against Lung Cancer in Europe).

Un caso emblematico riguarda la mutazione KRASG12C, che in Italia conta ogni anno 4.500 casi e che finora era possibile affrontare solo con un approccio standard, basato su chemioterapia e immunoterapia, e con risultati spesso meno soddisfacenti rispetto alla media generale. Di recente la Commissione Europea ha autorizzato la prima terapia specifica per pazienti con NSCLC in stadio avanzato con mutazione KRASG12C che siano già stati sottoposti ad un precedente trattamento sistemico. La possibilità di ricorrere a un farmaco a bersaglio molecolare, nell’ambito di quella che viene chiamata “medicina di precisione”, è destinata a cambiare la pratica clinica, offrendo nuove speranze a chi è stato colpito da questa forma di tumore polmonare”.