Microbiota, cos’è e come funziona

Questa puntata di "Pillole di Salute quotidiana" ci spiega a cosa serve il microbiota e come lavorano i batteri buoni nel nostro organismo

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Nel corpo umano vivono milioni di batteri, virus e altri miceti. Pensate che le cellule microbiche che sono al nostro interno superano di circa dieci volte le cellule del nostro organismo.

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Microbiota, apparato digerente e intestino

Veniamo più specificamente al microbiota e quindi all’apparato digerente e all’intestino dove si trova il massimo numero di cellule batteriche. Si tratta di un ecosistema che è molto diverso da una persona all’altra, ma è molto importante come regolatore di salute. Va ricordato dunque che la nostra vita dipende fortemente dalla presenza di batteri “buoni” che abitano diverse aree del corpo umano e dalla loro varietà. Parlando di miliardi di batteri, va detto, che questi non sono uguali per tutti. La loro varietà può dipendere dall’età, dal sesso, dagli stimoli che giungono dall’esterno, primo fra tutti l’alimentazione.

Come funzionano i batteri per il nostro benessere

La scienza ci dice che questi batteri delle vie digerenti potrebbero avere un ruolo nei mutamenti del nostro benessere e non solo per l’asse intestino-cervello, ma più in generale su tanti aspetti. Esistono evidenze di possibili implicazioni del microbiota intestinale nella regolazione dello stress e dell’umore. Quindi se sta bene la pancia, anche il cervello ne può trarre beneficio.

In sintesi, in qualche modo siamo ciò che mangiano i nostri batteri. Anche sul fronte delle difese immunitarie, perché questi batteri col corpo creano una rete che ha effetti sul sistema endocrino e sul sistema nervoso centrale e addirittura sull’immunità. Questo si rende evidente anche in certa letteratura scientifica che mirano a correggere la situazione eventualmente alterata del microbiota in patologie, come la rettocolite ulcerosa, artrite reumatoide. Si cominciano anche a fare studi sulle malattie neurologiche e in quelle cardiovascolari.

In conclusione, i batteri non sono solo quelli che provocano patologie infettive. Il microbiota favorisce e regola la digestione degli alimenti, perché consente di avere a disposizione enzimi che permettono di trasformare molte delle sostanze che arrivano nel tubo digerente con i cibi. Le cellule batteriche sono lavoratori entro i quali si svolgono attività enzimatiche fondamentali.

Il microbiota consente anche la produzione delle vitamine del gruppo B e in particolare della B12, oltre a favorire la sintesi di energia disponibile per l’organismo.

Come si trasmettono i batteri che aiutano il nostro benessere

Come per i genitori. I batteri che andranno a popolare le vie digestive, ed in particolare l’intestino, non si scelgono e spesso tendono a rimanere quelli trasmessi per via verticale, ovvero da madre a figlio. Questo avviene per l’intestino. Per il microbioma salivare, ovvero le caratteristiche dei geni che caratterizzano i batteri presenti nella bocca, la situazione è diversa. La trasmissione è soprattutto orizzontale, ovvero dipende dalle persone che incontriamo, dai contatti stretti, dai baci. Questo, almeno in termini generali.

Poi, con le sane abitudini e con l’alimentazione possiamo ovviamente intervenire in chiave positiva sulla popolazione di microrganismi che abita nelle vie digestive. Ad offrire questa chiave di lettura è una ricerca coordinata dall’equipe di Nicola Segata, docente del Dipartimento di Biologia cellulare, computazionale e integrata Cibio dell’Università di Trento e dell’Istituto Europeo di Oncologia, sulle vie di accesso al corpo umano dei batteri della salute. Diciotto le istituzioni e i centri di ricerca coinvolti a livello mondiale. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Nature. La prima firmataria è Mireia Valles-Colomer, ricercatrice post-doc del SegataLab di UniTrento.

Microbiota  e salute femminile, il rapporto è strettissimo

Il microbiota si plasma in funzione dell’età. E si modella in base alle abitudini di  vita. È composto da batteri con quattro principali comunità che lo compongono. Le principali comunità batteriche che lo compongono sono quattro: Firmicutes, Bacteroidetes, Proteobacteria e Actinobacteria, con le prime due che rappresentano circa il 90% della totalità e il variare di rapporto tra le stesse può facilitare uno stato di disbiosi.

Questo l’identikit del microbiota umano, che se in stato di benessere definito eubiosi intestinale – favorisce lo stato di salute e di benessere dell’intero organismo, ma sei è alterato si parla di disbiosi intestinale. Si tratta di uno stato di disequilibrio del microbiota che può verificarsi per diverse ragioni, come cattive abitudini alimentari, stile di vita irregolare, malattie, stress, fumo, abuso di farmaci o assunzione di antibiotici. Ma non basta.

Disfunzioni del microbiota sono state associate – oltre che alle malattie infiammatorie croniche dell’intestino – a infezioni dell’apparato uro-genitali, obesità, diabete, patologie cardiovascolari, malattie autoimmuni e peggioramenti delle capacità cognitive e dell’umore, a dimostrazione della relazione bidirezionale tra il microbiota intestinale e il cervello. Conoscere lo stato di salute del microbiota è quindi fondamentale per porre in essere l’intervento più appropriato laddove si manifesti una situazione di disbiosi.

Microbiota vaginale e intestinale

Il microbiota intestinale dialoga in modo stretto e continuo con tutte le altre popolazioni batteriche femminili, vaginale in primis, ma anche mucosale, orale respiratorio, cutaneo, con influenze reciproche, mantenendo tuttavia una sostanziale leadership rispetto a tutti gli altri. “Merita di essere studiato e valorizzato nelle strategie di prevenzione e cura in tutte le specialità mediche – spiega Alessandra Graziottin, Professoressa a contratto. Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia, Università di Verona, Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica dell’H. San Raffaele Resnati di Milano, Presidente Fondazione Graziottin per la cura del dolore nella donna, Onlus –  in ambito uroginecologico e ostetrico è in prima linea nella fisiopatologia delle infezioni uroginecologiche ricorrenti, nella regia della fertilità, nella modulazione della salute di mamma e bambino in gravidanza, nel dolore pelvico cronico e persino in ambito oncologico.

Una recente indagine italiana su 1183 casi di dolore vulvare (la casistica più numerosa pubblicata al mondo) ha dimostrato che queste pazienti hanno una comorbilità del 94,7% con patologie intestinali. Il microbiota intestinale è quindi un potente regista di salute e di malattia e un sottovalutato modulatore del dolore addominale, viscerale, pelvico e sistemico”.

Come sottolinea Graziottin, il dolore pelvico cronico risente di modificazioni indotte dal microbiota nell’intestino, con aumento dell’ipersensibilità viscerale, dell’iperalgesia indotta dallo stress e disordini funzionali. “Proprio per questo dialogo strettissimo fra microbiota e cervello viscerale, e tra microbiota e fibre sensoriali del dolore, l’insieme di microrganismi che abitano l’intestino è anche un modulatore potente del dolore e del suo viraggio da dolore inizialmente amico (“nocicettivo”), perché segnala un danno in corso da cui difendersi, a malattia in sé, quando diventa neuropatico e poi nociplastico – ribadisce l’esperta”.

Il ripartire dagli stili di vita più appropriati, incluso il rispetto dei bioritmi modulati in primis dall’alternanza luce naturale-buio naturale, e da un’alimentazione sana, diventa allora la base sicura per recuperare salute e prevenire il dolore, lenirlo quando c’è, e costruire progetti di salute lungimiranti.

“Questi verranno poi valorizzati da una diagnostica raffinata sul fronte microbiologico, su cui basare interventi specifici e competenti integrati con la fisiopatologia delle infiammazioni degli organi e degli apparati coinvolti (anche, e non solo) nel dolore pelvico – conclude l’esperta”.

Da madre a figlio passa il microbiota

Si tratta dello studio più imponente compiuto finora sulla trasmissione del microbioma. Autrici e autori, infatti, hanno analizzato più di 9mila campioni di feci e di saliva da persone in 20 paesi di tutti i continenti che sono state incluse nel progetto che aveva lo scopo di individuare come i batteri nei microbiomi si trasmettono tra generazioni (trasmissione verticale) e tra persone che vivono a stretto contatto, come partner, figli, o amici (trasmissione orizzontale).

La ricerca ha confermato e definito in modo più accurato che la prima trasmissione del microbioma intestinale avviene alla nascita ed è duratura, tanto che il bagaglio di batteri del microbioma sano ereditati dalla mamma è riconoscibile anche fino agli 80 anni di età. Dall’analisi emerge, poi, che nella popolazione adulta un altro canale di trasmissione dei microbi sono le persone con cui si hanno relazioni strette, come in casa tra partner, figli e figlie o nei rapporti di amicizia.

Il gruppo ha poi scoperto che il microbioma orale si trasmette in modo nettamente diverso dal microbioma intestinale. I batteri presenti nella saliva si trasmettono infatti ancora più frequentemente, soprattutto in modo orizzontale: lì la trasmissione da parte della madre è minima. Al contrario, quanto più tempo le persone passano insieme, più batteri esse condividono.

Parto naturale o cesareo, così cambia il microbiota

Il modo in cui il bimbo viene al mondo e l’alimentazione nei primissimi mesi di vita contribuiscono a formare, a grandi linee, le popolazioni batteriche che poi “abiteranno” prevalentemente l’intestino del piccolo. E probabilmente, su questo la scienza è particolarmente impegnata, proprio l’equilibrio in questa popolazione potrebbe essere una delle chiavi che inizia a determinare il benessere futuro. Su due punti, in questo senso, gli scienziati si trovano d’accordo.

Se possibile, meglio partorire per via naturale e procedere con l’allattamento al seno. Ma non bisogna dimenticare che anche l’attenzione alla bilancia durante la dolce attesa è importante sotto questo aspetto. Pensate solo che quando le gestanti sono in chiaro sovrappeso i batteri presenti nelle feci del neonato che verrà sono qualitativamente diversi rispetto a quelli della madre che ha controllato il peso durante la gravidanza, con il piccolo che in queste secondo caso avrà una popolazione batterica “migliore”, costituita soprattutto da bifidobatteri. Venendo alla modalità del parto sicuramente è da preferire il parto per via vaginale, pur considerando che il microbiota, fortunatamente, potrà comunque modificarsi anche in senso positivo con il passare degli anni.

Perché è importante conoscere l’origine del microbiota

Secondo Segata “nell’età adulta, le fonti dei nostri microbiomi sono soprattutto le persone con le quali viviamo a stretto contatto. La durata di interazioni come per esempio la convivenza di studenti o partners, sono, a grandi linee, proporzionali con la quantità di batteri scambiati.

In molti casi, però, i batteri possono trasmettersi tra individui che hanno interazioni superficiali e occasionali. La trasmissione del microbioma ha implicazioni importanti per la nostra salute poiché alcune patologie non trasmissibili (come le malattie cardiovascolari, il diabete o il cancro) sono riconducibili in parte a una composizione alterata del microbioma. Avere dimostrato che il microbioma umano è altamente trasmissibile potrebbe portare a considerare alcune di queste malattie (normalmente considerate non trasmissibili) come – almeno in una piccola parte – malattie trasmissibili.

Approfondire le conoscenze sulla trasmissione del microbioma può quindi far progredire la comprensione dei fattori di rischio di queste malattie e aprire, in prospettiva, la possibilità di ridurne tale rischio con terapie che agiscano sul microbioma o sulle sue componenti trasmissibili.

Ad ognuno il suo microbiota

Il microbiota si concentra nell’ultima parte dell’intestino, il crasso, ed è formato da una serie infinita di invisibili “laboratori”. Il loro numero può essere anche dieci volte superiore rispetto a quello delle cellule che formano l’intero corpo umano.  Pur essendo maggiormente rappresentato nel tratto intestinale, il delicato ma fondamentale ecosistema batterico si ritrova lungo tutto l’apparato digerente, dalla bocca, fino all’ano. Cambiano però gli “abitanti” di questa impressionante città, sia in base alla zona in cui si trovano, sia in base all’età dell’individuo.

In termini generali nel cavo orale si individuano soprattutto fusobatteri, batteroidi e moltissimi cocchi gram positivi e negativi. Scendendo più in basso, tra stomaco e duodeno, questi lasciano progressivamente il posto a streptococchi, funghi e lattobacilli. Questi ultimi si avviano a diventare i principali interpreti della flora batterica, tanto che già nel digiuno e nell’ileo insieme ai coliformi, ai fusobatteri e ai bifidobatteri sono rappresentati in gran numero. Infine nel colon si ritrova la stragrande maggioranza della flora batterica del tubo digerente. A questo punto le razze si mescolano. Ma soprattutto i germi aumentano significativamente di numero.

Basti pensare che nello stomaco e nell’intestino tenue di va da 100 a 100.000 batteri per  millilitro di contenuto intestinale, mentre nel colon si arriva a 100-1000 miliardi di germi per grammo di feci. In genere, il rapporto tra anaerobi, cioè i germi che vivono in assenza di ossigeno, e aerobi è di 1000 a 1 a favore dei primi. Questo ovviamente è solo un quadro generale. Come detto nelle diverse età della vita e in base alle abitudini alimentari e alle terapie che si assumono il microbiota può variare.

Il microbiota influisce sui risultati dell’immunoterapia per i tumori

Il corpo che si difende da solo, grazie agli “insegnamenti” che riceve da farmaci che fanno lavorare al meglio il sistema difensivo dell’organismo aiutandolo a scatenarsi contro le cellule tumorali. Questo è l’obiettivo, in termini estremamente semplici, dell’immunoterapia, la quarta “gamba” delle cure per il cancro insieme a chirurgia, chemio e radioterapia.

Tra le componenti che potrebbero influire positivamente sui risultati di questo trattamento c’è anche il microbiota intestinale, quell’insieme di microrganismi che entrano in gioco in diverse reazioni del corpo umano. Una ricerca internazionale, pubblicata addirittura su Science, aggiunge un tassello alle conoscenze su questo tema. Una dieta ricca di fibre può migliorare la risposta terapeutica del tumore all’immunoterapia grazie ai suoi effetti benefici sul microbiota intestinale. Lo studio ha visto tra i partecipanti anche gli specialisti dell’Istituto Europeo di Oncologia.

Perché le fibre sono importanti

Il team di ricercatori, guidato dal MD Anderson Cancer Center di Houston, ha esaminato retrospettivamente i dati di un gruppo di 438 pazienti che hanno ricevuto immunoterapia per melanoma metastatico, studiando la composizione del loro microbiota e le caratteristiche clinico-patologiche. A chi è entrato nello studio all’inizio della terapia è stato chiesto di compilare un questionario sugli stili di vita e le abitudini alimentari.

In 293 pazienti è stato possibile valutare radiologicamente la risposta terapeutica all’immunoterapia e in 193 la riposta è stata positiva. Nell’ambito di questo sottogruppo di “responders”, è emerso che i 128 che assumevano una quantità maggiore di fibre con la dieta sono quelli che hanno risposto meglio alla cura.

“Sappiamo che il microbiota intestinale, vale a dire l’insieme dei microorganismi che popolano il tratto gastrointestinale, influisce sull’ attività del sistema immunitario ed è in parte dimostrato che, proprio per questa sua funzione “immunomodulante”, gioca un ruolo nella risposta dell’organismo alle cure oncologiche, in particolare all’immunoterapia.

Tuttavia, ancora non conosciamo tutti i dettagli di come questo avvenga – spiega Luigi Nezi, che dirige l’Unità di “Microbiome and antitumor immunity” dell’Istituto Europeo di Oncologia ed è tra gli autori dello studio. Il nostro studio ha offerto delle prime risposte. Sappiamo che la composizione del microbiota, oltre che a fattori genetici, è legata allo stile di vita dell’individuo ed è influenzata da molteplici fattori esterni come stress, attività fisica e dieta. Noi ci siamo concentrati su quest’ultima, focalizzandoci sull’assunzione di fibre, che sappiamo essere regolatori essenziali della flora intestinale.

Dall’analisi dei dati clinici è emerso un forte legame tra risposta terapeutica e contenuto di fibre nella dieta, a suggerire che i pazienti che assumono un quantitativo più alto di fibre traggano maggiore beneficio dall’immunoterapia. Per stabilire se ci fosse una relazione di causa-effetto, è stata modulata sperimentalmente l’assunzione di fibre in modelli preclinici e, analogamente a quanto osservato nei pazienti, si è avuta conferma che il gruppo al quale veniva fornita una dieta ad alto contenuto di fibre rispondeva significativamente meglio all’immunoterapia rispetto al gruppo di controllo.  È importante sottolineare come la migliore risposta clinica sia stata accompagnata da un cambiamento della composizione e struttura del microbiota intestinale, che acquisisce tratti simili a quelli osservati nei pazienti abituati ad una dieta ricche di fibre.”

L’importante è avere un microbiota vario

Un altro punto da sottolineare riguarda l’utilizzo di probiotici come supporto all’immunoterapia dei tumori. I risultati pubblicati su Science mostrano che la caratteristica del microbiota intestinale forse più strettamente legata ad una migliore risposta all’immunoterapia è la diversità, che influenza sia la sua capacità di istruire il nostro sistema immunitario che di complementare le attività metaboliche di cui il nostro organismo necessita per mantenere uno stato di salute ottimale.

Insomma: il microbiota intestinale contribuisce all’unicità di ciascuno di noi e che questa unicità deve essere presa in considerazione anche durante la terapia anticancro. “Dobbiamo considerare il microbiota intestinale come un’estensione del nostro corredo genetico e del nostro stato metabolico – conclude Nezi. – Così come abbiamo lavorato per anni per trovare gli agenti terapeutici più appropriati per specifiche mutazioni associate ai tumori, anche la modulazione del microbiota a scopo terapeutico deve essere preceduta da un’analisi molto accurata delle sue caratteristiche.” Il futuro, grazie ad ulteriori ricerche, dirà ancora di più su questa affascinante tematica.

I nostri gusti dipendono (anche) dal microbiota

Quando si arriva davanti al piatto, o nel momento in cui si fa la spesa, sembra quasi esserci un qualcosa che ci guida verso determinati cibi piuttosto che su altri. C’è chi ama il salato, c’è chi non riesce a rinunciare al dolce, chi proprio non riesce a sopportare grandi dosi di vegetali e magari preferisce le patatine fritte. A guidare le scelte sono sicuramente i nostri sensi, ma probabilmente molte abitudini alimentari dipendono anche dalla popolazione di batteri ed altri invisibili componenti che vivono nel nostro apparato digerente e compongono il microbiota. Addirittura, stando ad uno studio condotto su animali da esperimento degli esperti dell’Università di Pittsburgh pubblicato su PNAS, la rivista dell’Accademia Americana delle Scienze, sarebbero proprio gli invisibili ospiti delle vie digestive a definire sui gusti a tavola, grazie al continuo scambio di informazioni tra intestino e cervello.

Il ruolo del triptofano

Lo studio è molto originale, anche se ovviamente non consente di trarre conclusioni definitive su quanto potrebbe accadere nell’essere umano. Sono state valutate diverse decine di topi senza batteri intestinali, a cui sono stati somministrati ceppi batterici derivanti da animali selvatici con alimentazioni naturali diverse tra loro. Dopo questo “trattamento”, gli studiosi hanno visto che gli animali tendevano a modificare le loro abitudini alimentari, scegliendo cibi diversi anche in base alla composizione del microbiota che si è venuto a creare dopo l’originale “intromissione” degli scienziati nel lor patrimonio batterico.

Lo studio aggiunge un’ulteriore prova sul ruolo del microbiota come cofattore che in qualche modo interferisce e coordina le relazioni tra intestino e cervello, anche grazie a molecole frutto della digestione che possono funzionare da intermediari. L’attenzione degli esperti, in questo senso, si è concentrata su un particolare aminoacido essenziale (ovvero tra quelli che l’organismo umano non è in grado di “costruire da solo ma deve cogliere proprio dagli alimenti), il triptofano. Anche alcuni ceppi batterici intestinali sono in grado di sintetizzarlo. Tanto per capire quanto può essere utile, il triptofano entra in gioco nella produzione di serotonina e quindi può indirettamente interferire sul tono dell’umore. Non solo: la serotonina è anche una sorta di “segnalatore” che ci indica che ci sentiamo soddisfatti dopo un pasto.

Ancora: il triptofano entra  nel processo che favorisce la produzione di melatonina, con un impatto sul sonno. Studiando i topi, si è visto che proprio in quelli che avevano più molecole di triptofano nel sangue circolante avevano anche più batteri capaci di produrlo, e quindi la dieta rappresenta un elemento chiave per questo meccanismo.

Sia chiaro. Si tratta solo di un’osservazione: le nostre scelte alimentari derivano da molteplici segnali che in qualche modo influenzano il modo in cui ci nutriamo. Ma è un elemento in più che spiega quanto e come il microbiota rappresenti un fattore chiave per il nostro benessere, anche in termini di alimentazione e di selezione dei cibi che assumiamo.

“Pillole di Salute quotidiana” è la serie in podcast di DiLei TakeCare, a cura di Federico Mereta. In ogni puntata si parla di prevenzione, cure e buone abitudini.