Anche il cuore è un organo che produce ormoni

Quando gli ormoni prodotti dal cuore diventano campanelli d'allarme per condizioni patologiche e cosa fare

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Ezio Ghigo

Professore ordinario di Endocrinologia

Professore Ordinario di Endocrinologia dell’Università di Torino, è anche Direttore della Divisione Universitaria di Endocrinologia, Diabetologia e Malattie del Metabolismo nell’Ospedale Universitario Città della Salute e della Scienza di Torino.

L’apparato cardiovascolare, composto da cuore, vasi arteriosi e vasi venosi, garantisce la circolazione del sangue in tutto l’organismo. Il cuore, in particolare, svolge in questo sistema la funzione di pompa, con il compito di ripartire pressioni e volumi tra la circolazione sistemica venosa e quella arteriosa, garantendo così che il sangue proveniente dalla prima proceda correttamente nella seconda.

Apparato cardiovascolare e sistema dei peptidi natriuretici

Esso assolve alla sua funzione soprattutto attraverso la contrazione ritmica e incessante delle fibre muscolari che lo compongono, producendo un costante flusso ematico attraverso le sue quattro cavità separate da valvole. Le pareti di tali cavità, o camere, sono quindi costituite da muscolo cardiaco (miocardio), ricoperto all’interno da un sottile strato di rivestimento a contatto con il circolo, chiamato endocardio.

Se le fibre miocardiche subiscono uno stiramento, a causa di un aumento inatteso della pressione o del volume all’interno delle cavità cardiache, esse rilasciano nel torrente circolatorio alcuni peptidi ad azione ormonale detti natriuretici.

Gli ormoni sono piccole molecole, prodotte ed immesse in circolo da parte di alcuni organi e tessuti del nostro organismo, con il compito di recapitare messaggi chimici a breve o lunga distanza. Nel nostro corpo, le principali sedi di produzione degli ormoni sono rappresentate dalle ghiandole endocrine, tra le quali gonadi, tiroide, surreni; queste hanno l’importante compito di regolare le funzioni degli altri apparati dell’organismo (cardiovascolare, respiratorio, gastrointestinale, etc.), il nostro metabolismo e finanche il nostro aspetto.

Il sistema endocrino, tuttavia, non si limitata a tali ghiandole. I peptidi natriuretici prodotti dal cuore e dai vasi, ad esempio, svolgono anch’essi un’azione ormonale: agiscono localmente per aumentare la capacità di contrarsi del miocardio e a grande distanza per aumentare il diametro dei vasi ed eliminare i liquidi in eccesso con la diuresi.

Il cuore, pertanto, mentre da un lato assolve alla sua funzione di pompa meccanica del sistema cardiovascolare, dall’altro ne regola il contenuto, mantenendo le condizioni ideali per il suo corretto funzionamento e, di fatto, prendendo parte attiva alla regolazione dell’equilibrio dei liquidi e dei sali dell’organismo. In particolare, i peptidi natriuretici da lui prodotti, quando rilasciati in circolo, svolgono a livello del rene un’azione analoga a quella dei farmaci diuretici, spesso prescritti ai pazienti ipertesi o cardiopatici nel caso si sospetti un eccesso di liquidi nel corpo.

Condizioni patologiche

La stima della quantità circolanti dei peptidi natriuretici viene sfruttata in medicina per riconoscere condizioni patologiche che comportino un affaticamento del cuore, come lo scompenso cardiaco acuto o cronico. In queste situazioni, infatti, il miocardio risulta acutamente o cronicamente costretto a svolgere un lavoro superiore al previsto e si prodiga per favorire una migliore distribuzione del sangue nell’albero vascolare eliminando un eventuale eccesso di volume circolante.

D’altro canto, anche la lesione acuta dei muscoli cardiaci può comportare l’improvviso rilascio in circolo di grandi quantità di peptidi natriuretici. Nel caso, infatti, avvenga una severa riduzione della quantità di ossigeno e nutrienti distribuiti ai miocardiociti, questi muoiono e i peptidi che erano stati in precedenza accumulati al loro interno ne fuoriescono.

Biomarcatori

Misurare direttamente la quantità di molecole molto piccole, presenti nel sangue per pochi minuti come i peptidi natriuretici, può risultare molto difficile e poco affidabile. Per questo motivo, si preferisce misurare alcuni marcatori del loro rilascio, ovvero molecole più grandi e stabili, liberate in circolo insieme a loro.

Stimare quindi il livello dei peptidi natriuretici può essere molto utile per riconoscere l’insorgenza acuta di condizioni di affaticamento del cuore e monitorarne l’evoluzione; a tal fine il marcatore da sempre maggiormente utilizzato nella pratica clinica è l’NT-proBNP (N-Terminal pro-Brain Natriuretic Peptide). Esso rappresenta per l’appunto un frammento del precursore del peptide natriuretico di tipo B (BNP), anche detto di origine cerebrale, in quanto inizialmente identificato a livello del sistema nervoso centrale. Ciò nonostante, la principale fonte di BNP nell’organismo è rappresentata dalle cellule muscolari del ventricolo sinistro, la camera del cuore soggetta ai maggiori livelli di pressione.

Bisogna però anche tenere a mente che i livelli di NT-proBNP nel sangue possono aumentare cronicamente nei soggetti anziani ed in pazienti con ridotta funzionalità renale. Il monitoraggio periodico dell’NT-proBNP può quindi venire prescritto in pazienti affetti da scompenso cardiaco cronico a distanza di qualche settimana o anche di molti mesi, a seconda della stabilità delle condizioni cliniche del paziente.

Sebbene oggi siano noti anche altri peptidi natriuretici oltre a quello di tipo B (di tipo A di derivazione atriale, di tipo C di derivazione endoteliale, etc.), la stima dei loro livelli circolanti è unicamente effettuata per scopi di ricerca.

Quadro clinico e terapia

Segni e sintomi ben noti di un possibile affaticamento del cuore sono la scarsa sopportazione dell’esercizio fisico, la mancanza di fiato, un rapido e progressivo aumento del peso corporeo, la comparsa di gonfiore alle gambe, soprattutto se persistente in posizione sdraiata. Qualora compaiano questi campanelli di allarme, sicuramente l’azione dei peptidi natriuretici prodotti dal cuore non risulta più sufficiente a garantire il ritorno alla condizione fisiologica di partenza e un intervento farmacologico si rende necessario.

Oggi sono disponibili molteplici classi di farmaci utili a sostenere la funzione del sistema cardiovascolare e a ripristinare l’equilibrio idro-elettrolitico dell’organismo, tra questi i diuretici, gli inibitori del sistema renina-angiotensina-aldosterone o della neprilisina, le gliflozine ed in alcuni Paesi i vaptani.

In ogni caso, indipendentemente dal trattamento medico prescritto, la gestione domiciliare di una paziente cardiopatico deve prevedere alcune attenzioni particolari. Il monitoraggio quotidiano del peso corporeo e del bilancio idrico (il rapporto tra i liquidi assunti con la dieta e quelli persi con le urine) risulta infatti fondamentale per verificare l’efficacia della terapia e identificare un eventuale accumulo di acqua nell’organismo.

La riduzione dell’apporto di sale con la dieta è altrettanto importante per limitare la ritenzione di liquidi e per favorire il controllo dei valori di pressione arteriosa. Infine, l’attività fisica aerobica quotidiana, per quanto consentito dalle condizioni generali del paziente, è un caposaldo per il progressivo recupero della performance fisica ed in particolare della funzione cardiaca.

In collaborazione con il Dott. Alessandro Maria Berton