Acne, così in futuro affronteremo i “punti neri”

Una nuova cura per l'acne punta ad agire sulle cellule che circondano il follicolo pilifero: come funziona

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Non è sempre uguale. Comedoni, pustole ed altre lesioni vanno affrontate caso per caso, in base alle caratteristiche della pelle, all’età della persona e alla loro distribuzione. Ma non ci sono dubbi che l’acne è una delle grandi sfide della dermatologia, anche per il gran numero di persone che ne soffre. Una ricerca condotta all’Università di San Diego apre ora uno spiraglio per approcci futuri a questa condizione, con modalità diverse.

Ci sarebbe infatti un nuovo obiettivo su cui agire: le cellule che circondano il follicolo pilifero. Proprio loro potrebbero essere il target di future cure mirate, visto che influirebbero su composti che in qualche modo agiscono sui batteri cutanei e sul possibile sviluppo futuro della malattia. A testimoniare l’importanza possibile di questa nuova opportunità è appunto lo studio dell’ateneo californiano, pubblicato su Science Translational Medicine.

Attenzione ai fibroblasti

L’innovativa chiave di ricerca parte dai fibroblasti, ovvero cellule che compongono il collagene. Lo studio ha dimostrato che proprio queste cellule possono trasformarsi in unità “produttive” di una particolare sostanza, chiamata catelicidina, che gioca un ruolo nello sviluppo delle infezioni cutanee grazie alla trasformazione di questi fibroblasti in cellule grasse capaci di produrre appunto il composto antinfettivo. La catelicidina avrebbe quindi importanza nella risposta a specifici batteri, che entrano in gioco nella genesi dell’acne.

Ad ulteriore dimostrazione di questa situazione si è visto che lavorando su tessuti della pelle di persone con acne e somministrando derivati dalla vitamina A (impiegati in casi specifici) si è visto che la catelicidina migliora le risposte in chiave di trattamento della patologia cutanea. Proprio da questa osservazione potrebbe quindi partire una nuova opportunità di sviluppo delle cure che abbia come possibile obiettivo proprio questa sostanza. Solo il futuro, in ogni caso, potrà svelare se questa via di ricerca potrà rivelarsi utile per chi soffre di acne.

Di certo, al momento, c’è che contro comedoni e simili, occorre affrontare la situazione nel mondo giusto. Se non debbono preoccupare più di tanto i semplici punti neri, la situazione cambia quando si formano vere e proprie pustole infiammate. Esistono infatti diverse forme della malattia.

La più semplice è quella comedonica, senza infiammazione, caratterizzata dalla presenza dei cosiddetti “punti neri” e “punti bianchi”, molto tipica nelle fasi iniziali. Si può poi arrivare alla forma papulo-pustolosa, con infiammazione, in cui sono presenti piccoli rilievi cutanei arrossati, talvolta, accompagnata da pus. La più grave, quella che può lasciare anche cicatrici sulla pelle, è invece quella nodulare. Per questo il trattamento dell’acne deve essere personalizzato e modulato nel tempo sia per mettere la malattia sotto controllo che, soprattutto, per mantenere i risultati ottenuti.

Cosa succede in caso di acne

L’acne va studiata. E le cure del dermatologo vanno seguite con costante, anche se tra i giovanissimi può essere più difficile mentre negli adulti l’aderenza al trattamento è più semplice. E non bisogna dimenticare che anche le cause del problema, in partenza, possono essere diverse.

Quando l’acne compare nell’adulto, in genere, è più facile che entrino in gioco cause ormonali, in particolare nelle donne. In termini generali, comunque, diversi fattori influiscono sulla genesi della patologia. Importante è ad esempio la composizione qualitativa e quantitativa del sebo, che ha il compito di mantenere idratata e proteggere la pelle, insieme all’azione di un batterio, chiamato propionibacterium acne, che non ha direttamente un’azione infettiva ma tende piuttosto a favorire l’infiammazione. Il punto nero nasce per una specie di “tappo” che si crea sul follicolo della pelle, impedendo l’eliminazione del sebo, che quindi “irrita” dall’interno.

Poi entrano in gioco gli ormoni: l’ipercheratinizzazione, cioè l’occlusione del condotto, sarebbe legata ad una maggior sensibilità delle cellule agli ormoni androgeni.  Sia chiaro: la stragrande maggioranza delle persone che soffrono di acne non presenta alterazioni dei valori ormonali nel sangue, ma piuttosto una diversa sensibilità ad essi dei follicoli pilo-sebacei, i tubicini che dovrebbero portare il sebo all’esterno. Il sebo stesso, peraltro, è sotto la lente di ingrandimento della scienza.

Questa sostanza grassa viene prodotto da cellule specializzate che alla fine del loro percorso si rompono e rilasciano nel follicolo del pelo diversi tipi di lipidi, in gran parte trigliceridi e acidi grassi. Questi normalmente sono estremamente utili per difendere la pelle: idratano lo strato superficiale, aiutano a proteggersi dai raggi solari, soprattutto dagli ultravioletti B, portano in superficie sostanze antiossidanti che preservano le cellule.

Purtroppo chi soffre di acne tende a produrre una quantità di sebo maggiore, senza dimenticare che anche la composizione del sebo stesso ha significato. Per questo siamo di fronte ad un mosaico di elementi che sta al medico mettere in ordine per capire bene la situazione. Ed affrontarla di conseguenza.