Abbronzatura sana: le regole fondamentali

È possibile abbronzarsi tenendo conto della salute della pelle? La risposta è sì! Segui i consigli dell’esperto per proteggere al meglio la cute

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Antonella Lobraico

Editor specializzata in Salute & Benessere

Specializzata nella comunicazione online, ha collaborato con testate giornalistiche, uffici stampa, redazioni tv, case editrici e agenzie web in progetti su Salute e Benessere.

Il sole è vita: fornisce calore e da sempre lo associamo all’estate, al bel tempo e alla tintarella. Possiamo ottenere numerosi vantaggi dall’esposizione solare, tuttavia, non dobbiamo mai dimenticare che farlo senza un’adeguata protezione può invece portare, ad esempio, a:

  • un invecchiamento precoce della pelle;
  • un possibile sviluppo di tumori della cute.

Dunque, cosa possiamo fare per abbronzarci in modo sano? Per conto dell’ADOI (Associazione Dermatologi-Venereologi Ospedalieri Italiani e della Sanità Pubblica), abbiamo approfondito l’argomento con il Dottor Michele Pellegrino, Medico Chirurgo, Specializzato in Dermatologia e Venereologia, Consigliere del consiglio direttivo ADOI.

Quali sono le radiazioni solari che arrivano sulla terra

 «Il sole può essere immaginato come una gigantesca sfera di gas nella cui parte centrale, denominata nucleo o core, avviene la produzione di un’immensa quantità di energia. Potremmo paragonare il suo meccanismo a quello di un gigantesco reattore nucleare che emette enormi quantità di radiazioni con diverse lunghezze d’onda. Queste radiazioni attraversano l’atmosfera e raggiungono la superficie terrestre dopo aver percorso circa 150 milioni di chilometri. Per nostra fortuna una gran parte di esse, durante il viaggio, è assorbita dall’ossigeno e dall’ozono.

Grazie a questa importante azione di filtro, le radiazioni solari che arrivano al suolo sono costituite:

  • per il 56% da radiazioni infrarosse;
  • per il 39% da radiazioni visibili o semplicemente luce;
  • solo per il 5% da raggi ultravioletti», spiega il dottore.

Raggi ultravioletti: tipi

«I raggi ultravioletti, in base alla lunghezza d’onda, sono suddivisi in tre bande contigue con proprietà fisiche e biologiche diverse:

  • C (100÷280 nm, con capacità essenzialmente germicida);
  • B (280÷320 nm, con capacità eritemigene, cioè in grado di provocare una reazione cutanea che può variare da un modesto e asintomatico arrossamento fino all’eritema intenso);
  • A (320÷400 nm, con capacità pigmentogene, cioè in grado di stimolare un aumento di melanina).

Entrando nel dettaglio, per quanto concerne i raggi UV che dal sole arrivano sulla terra, il 98% è costituito da radiazioni UVA, il 2 % da UVB, mentre gli UVC sono completamente assorbiti».

Perché è importante abbronzarsi in modo sano?

Il sole è fonte di vita e l’esposizione ad esso ha molteplici effetti benefici sulla nostra salute. Come infatti sottolinea il Dottor Pellegrino, «i suoi raggi non solo forniscono calore e luce, ma inoltre:

  • stimolano la produzione della vitamina D, che oltre a fissare il calcio nelle ossa esercita un’azione di controllo sull’infiammazione e sul sistema immunitario;
  • promuovono la produzione di serotonina che riduce lo stress, l’ansia e migliora l’umore;
  • svolgono un’azione antidepressiva;
  • hanno un’azione antisettica e antibatterica;
  • producono un effetto benefico nei confronti di alcune dermatosi, come ad esempio la psoriasi e gli eczemi;
  • permettono la fotosintesi della melanina e la liberazione di sostanze antiossidanti».

Abbronzatura: quali rischi?

Diversi studi hanno dimostrato che agli effetti benefici si associa anche l’azione dannosa dei raggi ultravioletti.

Patologie legate all’esposizione solare

«L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha identificato diverse malattie della cute e dell’occhio strettamente legate all’esposizione acuta e soprattutto cronica delle radiazioni ultraviolette. Inoltre, ha inserito i raggi UV nel gruppo 1 dei principali cancerogeni, raccomandando di evitare le esposizioni alle emissioni delle lampade solari e l’eccessiva esposizione al sole. Infatti, vi sono evidenze epidemiologiche e biologiche che fanno ipotizzare che l’esposizione ai raggi ultravioletti intermittente dall’inizio della vita, sia associato alla potenziale insorgenza del carcinoma cutaneo a cellule basali. Il carcinoma cutaneo a cellule squamose sembra invece fortemente legato all’esposizione cumulativa agli UV. Infine, la sovraesposizione saltuaria agli UV, soprattutto in chi vive in latitudini più basse, sembra essere un fattore di rischio per il melanoma».

Questi tumori sono un gruppo di neoplasie con un’incidenza in continuo e significativo aumento e nel loro insieme sono tra i più frequenti tumori in assoluto in entrambi i sessi.

Invecchiamento cutaneo

«Un’inadeguata esposizione al sole, a lungo andare, favorisce anche il cosiddetto photoaging (fotoinvecchiamento). Infatti, una reiterata e incontrollata esposizione ai raggi solari, soprattutto nei soggetti con carnagione più chiara, danneggia il collagene e favorisce la formazione di rughe profonde e diffuse, insieme alla perdita di elasticità e a una pelle secca e ruvida, fino alla presenza di capillari dilatati, macchie solari e desquamazione.

L’effetto dannoso è legato al fatto che, dal punto di vista molecolare, le radiazioni UV possono indurre dei danni a livello genomico agendo, direttamente sul DNA e sulle proteine (+++ UVB) ed indirettamente tramite la produzione di radicali liberi e specie reattive dell’ossigeno (+++ UVA), responsabili quest’ultimi anche del fotoinvecchiamento».

Come la pelle si difende dal sole

La pelle è in grado di attivare diversi sistemi di protezione nei confronti delle radiazioni solari.

«Semplificando – precisa il dottor Pellegrino – la cute si difende grazie ai melanociti, cellule capaci di sintetizzare la melanina e che regala l’agognata abbronzatura dopo l’esposizione al sole.

In base alla qualità e alla quantità di melanina presente in condizioni basali nella pelle, alle reazioni della pelle dopo l’esposizione al sole e al tipo di abbronzatura, la popolazione mondiale è stata suddivisa in sei “fototipidiversi. Tra questi sono presenti:

  • i cosiddetti fototipi chiari che si ‘scottano’ rapidamente e si abbronzano lentamente e poco;
  • i fototipi scuri che si ‘scottano’ solo dopo prolungate esposizioni al sole.

Conoscere il proprio fototipo è quindi fondamentale in quanto punto di partenza per preservare la salute della propria pelle e per adottare comportamenti corretti durante l’esposizione alla radiazione ultravioletta della luce solare.

Le abitudini di vita si modificano nel tempo e, ultimamente, il mito dell’abbronzatura a fini estetici e l’aumento dei viaggi in paesi esotici, hanno portato ad un importante incremento del carico totale di UV, tanto che il cosiddetto “capitale sole”, ossia la dose massima di raggi UV che una persona può tollerare nel corso della propria vita senza conseguenze nocive per la propria salute, viene solitamente consumato per un 50-80% entro i primi 20 anni di vita.

Ultimamente, però, sono aumentate anche le conoscenze scientifiche sul clima, sui rischi di una cattiva fotoesposizione naturale e/o artificiale. Le campagne di sensibilizzazione e d’informazione hanno dato il via ad una nuova cultura volta a proteggere la pelle, evitando gli eccessi, senza rinunciare all’estetica di una dorata abbronzatura. Un modo consapevole di aver cura di sé, favorisce un corretto modo di prendere il sole, una prudente fotoesposizione, l’utilizzo di indumenti adatti, il costante uso di filtri solari a cui, volendo, si può aggiungere una corretta alimentazione e/o una supplementazione di nutraceutici».

Cosa influenza la qualità dell’irraggiamento che dal sole arriva sulla terra

«La qualità dell’irraggiamento che giunge dal sole sulla superficie terrestre non è costante, ma subisce l’influenza di diversi fattori e varia al variare di molteplici elementi:

  • l’intensità dei raggi solari è 5 volte maggiore ai tropici rispetto al nord Europa e 3 volte superiore a quella che si riscontra in Italia in piena estate;
  • a seconda del momento della giornata, l’insieme di radiazioni totali va diminuendo fino ad azzerarsi al crepuscolo;
  • il 50% della dose giornaliera di UV solare arriva a terra nell’intervallo orario compreso tra le 11 e le 16;
  • l’intensità dei raggi UV solari aumenta di circa il 12-15% ogni 1.000 metri di altitudine. A 1.500 metri vi è una quantità di raggi ultravioletti superiore del 20% rispetto a quella presente a livello del mare;
  • la radiazione UV raggiunge i massimi livelli quando il cielo è sereno, ma detti livelli possono essere alti anche con cielo coperto;
  • le radiazioni UV sono riflesse o diffuse in misura variabile dalle diverse superfici. Per esempio, la neve fresca può riflettere l’80-85% della radiazione UV, la sabbia asciutta circa il 17%, l’erba dal 3 al 5% e la schiuma del mare circa il 25%;
  • i raggi UVB sono schermati dal vetro delle finestre, delle macchine, delle vetrine dei negozi, ecc., contrariamente a quello che accade ai raggi UVA. Il vetro di una finestra può schermare fino al 97% delle radiazioni UVB e solo il 15% di quelle UVA», spiega l’esperto.

Cosa fare per abbronzarsi in modo sano

«Tenuto conto di quanto appena detto, si possono fornire dei consigli che possono aiutare ad evitare lo sviluppo di spiacevoli conseguenze:

  1. limitare l’esposizione nelle prime giornate di vacanza;
  2. evitare l’esposizione nelle ore centrali della giornata (11-16);
  3. fare attenzione alle superfici riflettenti (neve, acqua, ecc.);
  4. utilizzare attrezzature schermanti il sole (ombrelloni, teli, ecc.);
  5. indossare indumenti (camicie, magliette, pantaloni, cappellini, occhiali da sole);
  6. identificare il proprio fototipo per adottare misure protettive adeguate;
  7. utilizzare fotoprotettori in dosi adeguate e applicarli frequentemente (la sudorazione e il movimento favoriscono l’allontanamento del prodotto solare) e dopo il bagno. Nello specifico, è consigliabile effettuare 2 applicazioni successive (una 15-30 minuti prima di esporsi al sole e l’altra 15-30 minuti dopo l’inizio dell’esposizione), con un prodotto che abbia un SPF non inferiore a 30, verificando che protegga anche nei confronti degli UVA;
  8. utilizzare prodotti dopo-sole».

4 miti da sfatare

«È opportuno sfatare alcuni falsi miti:

  1. il tempo nuvoloso NON ripara dalle radiazioni solari;
  2. stare in acqua NON protegge dal sole;
  3. le creme fotoprotettive NON devono indurre a stare più a lungo al sole;
  4. evitare i prodotti stimolatori di abbronzatura, prodotti fotosensibilizzanti (cosmetici, farmaci), l’abbronzatura artificiale.

Inoltre, particolare attenzione deve essere riservata ai bambini nei primi anni di vita. Sarebbe opportuno che i genitori NON esponessero i bambini al sole nei primi 6 mesi. È altresì sconsigliata anche l’esposizione indiretta soprattutto quando il riverbero solare è elevato», sottolinea il dottore.

 Come scegliere un prodotto solare davvero protettivo

«Nell’utilizzo dei prodotti solari è fondamentale determinare l’entità della loro capacità protettiva. Per questo scopo ci soccorre il concetto di fattore di protezione solare, riscontrabile sull’etichetta del prodotto con la dicitura SPF (Sun Protection Factor). Si tratta di un numero che definisce e misura la capacità filtrante di un prodotto nei confronti delle radiazioni eritemigene (UVB), che però non fornisce alcuna indicazione sull’azione fotoprotettiva verso le radiazioni UVA.

La Commissione europea, sull’efficacia dei prodotti solari, raccomanda che il fattore di protezione UVA di un prodotto costituisca almeno un terzo dell’intero fattore di protezione. Per un uso consapevole è necessario sapere che i prodotti in commercio che soddisfano questo standard di qualità recano il marchio UVA.

Alcuni filtri, particolarmente sensibili all’esposizione alle radiazioni solari, perdono la capacità di assorbire i raggi ultravioletti e, di conseguenza, di proteggere la cute da essi. Per risolvere tale problema in molti prodotti solari vengono impiegate sostanze che migliorano la resistenza e la stabilità delle formulazioni ottenute. Oltre alla fotostabilità, un altro problema da tener presente è la resistenza del presidio solare alla dilavabilità con l’acqua dopo il bagno o con il sudore. Anche se sono disponibili prodotti solari con elevata capacità di resistere all’acqua, è consigliabile riapplicarlo dopo aver sudato molto o dopo il bagno, per ottimizzare l’effetto protettivo iniziale. Ovviamente la protezione reale fornita da uno schermo è condizionata dalla quantità di prodotto applicata», precisa il dottor Pellegrino.

La fotoprotezione meccanica: gli indumenti

«I prodotti tessili si comportano un po’ come una crema solare perché sono schermanti. Essi infatti proteggono dal sole e hanno soprattutto la capacità di proteggere dai raggi ultravioletti. Per questa ragione il fattore di protezione dei prodotti tessili riferito ai raggi UV si chiama UPF (UV Protection Factor). Anche se il nome è diverso, il numero ha la stessa funzione dell’SPF delle cremeIl fattore di protezione UPF indica quindi, quante ore possiamo restare al sole assorbendo la quantità di radiazioni ultraviolette che, senza alcun indumento, assorbiremmo in un’ora. In Italia, per essere considerato anti-UV, un capo di abbigliamento deve riportare in etichetta il simbolo di un sole giallo con ombreggiatura, il numero della norma (EN 13758-2) ed il numero del fattore protettivo misurato», conclude l’esperto.

Come abbiamo visto, il sole è innanzitutto un grande alleato della nostra salute. L’esposizione ad esso dunque, è un toccasana per l’organismo, a patto di farlo seguendo le raccomandazioni di cui sopra. Prendiamoci cura della pelle e abbronziamoci in modo sano!