Sindrome del nido vuoto: affrontarla e prevenirla secondo la psicologia

Quando i figli crescono e lasciano casa, il senso di vuoto può farsi sentire. Scopri come affrontare questa fase e ritrovare nuove passioni

Foto di Donatella Ruggeri

Donatella Ruggeri

Psicologa

Psicologa, fondatrice di “Settimana del Cervello”. È una nomade digitale: lavora da remoto e lo fa viaggiando.

Pubblicato: 20 Gennaio 2025 16:45

Immaginate di entrare in una casa improvvisamente silenziosa, dove le routine familiari di anni si sono andate via via dissolvendo, fino a sembrare un lontano ricordo. Questa è più o meno la sensazione che si prova quando si sperimenta la cosiddetta “sindrome del nido vuoto”.

Sebbene spesso la si consideri un’esperienza tipicamente femminile, legata alle madri, questa condizione riguarda anche i padri, seppur in modo diverso.

Quando i figli lasciano casa, i genitori o i caregiver che se ne sono presi cura, che organizzavano le loro giornate in base alla presenza e alle necessità dei più piccoli, si ritrovano a dover fare i conti con una riorganizzazione non solo pratica, ma anche identitaria.

Vediamo quindi in cosa consiste questa esperienza, come affrontarla e quali strategie adottare per prevenirla.

La Sindrome del nido vuoto: che cos’è?

L’espressione “sindrome del nido vuoto” è stata introdotta negli anni ’70 per descrivere quello stato emotivo che i genitori attraversano quando i figli lasciano casa.

Anche se si usa la parola “sindrome”, non si tratta di una patologia. La sindrome del nido vuoto è infatti un’esperienza di malinconia, ansia e tristezza e non un disturbo mentale.

I segnali più frequenti sono facilmente riconoscibili: un senso di tristezza che può emergere in momenti inaspettati, come passando davanti alla camera vuota del figlio, o un’ansia diffusa per il suo benessere lontano da casa.

Molti genitori provano anche un senso di colpa quando si sorprendono a godere dei nuovi spazi di libertà, come se questo li rendesse “cattivi genitori”. La solitudine, infine, può diventare opprimente, soprattutto nelle occasioni che prima erano animate dalle routine familiari.

Due modi di vivere il distacco: madri e padri

Non c’è un modo “giusto” o “sbagliato” di vivere la partenza dei figli, ma diversi percorsi personali che riflettono la complessità dei ruoli genitoriali.

Le madri spesso vivono questo passaggio con un’intensità emotiva più evidente. Frasi come “Mi sento inutile”, “Non so più chi sono”, possono fare capolino tra i pensieri o essere condivise col partner e persone vicine.

Ci si può sentire private di una parte di sé e una reazione così intensa non è casuale: la nostra società ha storicamente costruito l’identità femminile attorno alla maternità. Questo non ha necessariamente a che fare con l’essere donne, ma più con il ruolo culturale e sociale e con le aspettative legate all’essere madri.

Infatti, le donne che hanno mantenuto una vita personale attiva e autonoma, anche professionalmente, possono sentire meno il distacco, senza che questo le renda meno affezionate ai propri figli!

Per quanto riguarda i padri, invece: tendono a processare questo cambiamento in modo meno esplicito ma ugualmente profondo. Alcuni cercano di colmare il vuoto aumentando le ore di lavoro, per evitare di passare troppo tempo in una casa divenuta silenziosa. Il loro disagio si manifesta più attraverso comportamenti che parole: maggiore dedizione al lavoro, nuovi hobby praticati intensamente, talvolta persino sintomi fisici di cui non riconoscono l’origine emotiva.

Le ricerche più recenti mostrano però che queste differenze stanno gradualmente sfumando, soprattutto nelle generazioni più giovani, dove i ruoli genitoriali sono più fluidi e condivisi.

Oggi sempre più padri parlano apertamente della loro vulnerabilità, ora più compresa e accolta; mentre le madri trovano modi diversi di elaborare il distacco senza sensi di colpa.

Ciò che resta comune è la profondità di questo passaggio, che non rappresenta una rottura del legame con i figli, ma una sua evoluzione.

Quando i figli vanno via, si deve imparare ad essere genitori in un modo nuovo: vedere il distacco non come una perdita, ma come una trasformazione del rapporto verso una forma più matura.

Qualunque sia il modo in cui si vive e si manifesta – attraverso lacrime o silenzi, nuove attività frenetiche o momenti di apparente apatia – questo passaggio è un segno di salute del legame genitori-figli. È proprio perché il legame è forte e importante che la separazione richiede tempo e pazienza per essere elaborata.

Prevenire la Sindrome del nido vuoto puntando su di sé

Come dicevamo, la sindrome del nido vuoto è un’esperienza molto personale e si manifesta in maniera diversa in ogni persona. Secondo gli studi, esistono però alcune situazioni che possono rendere questo passaggio particolarmente difficile.

È importante sottolineare che questi fattori non determinano necessariamente l’insorgere di un disagio profondo, ma possono in effetti rendere più vulnerabili. Riconoscerli, quindi, può aiutare a prepararsi meglio e a sviluppare strategie preventive efficaci.

La buona notizia è infatti che essere consapevoli di questi aspetti permette di affrontarli in modo proattivo e, potenzialmente, di rendere questa fase in un’opportunità di crescita personale.

Il pensiero che Donna = madre

Per alcune donne, essere madre può avere rappresentato il fulcro attorno a cui hanno costruito la propria vita. Non vuol dire solo che hanno dedicato molto tempo ed energie ai figli, ma che hanno proprio definito sé stesse principalmente attraverso il ruolo materno. Quando i figli partono, quindi, queste madri si trovano a dover rispondere alla domanda: “Chi sono io, oltre ad essere madre?“. Devono cioè reimparare a vedersi con altri occhi, riscoprirsi come persone.

La vita messa in pausa

Un altro fattore che può rendere particolarmente difficile il distacco emerge quando la dedizione alla famiglia ha portato a mettere da parte i propri interessi personali, le amicizie o le ambizioni professionali. L’assenza di una rete sociale o di passioni personali può rendere il vuoto ancora più grande. In questi casi non è raro sentire frasi come: “Ho passato vent’anni a organizzare la vita dei miei figli e ora non so cosa fare della mia”. È un vuoto concreto, che ha a che fare con il modo in cui si passa il proprio tempo.

Altri cambiamenti nello stesso periodo di vita

Spesso la partenza dei figli coincide con altri cambiamenti significativi della propria vita: la menopausa, il pensionamento, talvolta anche nuovi modi di vivere la relazione di coppia. Questi eventi, di fatto, si accumulano e possono creare un terreno particolarmente sensibile. È come se più capitoli della vita si chiudessero contemporaneamente: c’è bisogno di un maggiore sforzo di adattamento.

Ritrovare sé stesse

Probabilmente non è possibile evitare ogni tristezza e preoccupazione legate alla partenza dei figli, ma costruire gradualmente la propria autonomia emotiva mentre i figli sono ancora in casa è un fattore protettivo che aiuta ad essere più equipaggiate per quando quel momento arriverà.

Prima della partenza, costruire le basi

  • mantenere o sviluppare interessi personali mentre i figli sono ancora adolescenti;
  • mantenere attiva la propria vita professionale o considerare di riprenderla;
  • coltivare amicizie e relazioni al di fuori del nucleo familiare;
  • dedicare tempo alla cura di sé e del proprio benessere;
  • iniziare a delegare responsabilità ai figli, per promuovere la loro autonomia.

Quando il momento si avvicina

  • parlare apertamente in famiglia del cambiamento imminente;
  • pianificare attività e progetti per il “dopo”, quando i figli saranno andati via;
  • esplorare nuovi hobby o riprendere passioni accantonate;
  • creare una rete di supporto con altre persone che vivono la stessa esperienza;
  • se la situazione è vissuta con particolare intensità, al punto che ne risente la qualità della vita, considerare un percorso di psicoterapia.

Strategie utili per una nuova fase di vita

Per affrontare la transizione esistono diverse strategie che possono aiutare a ritrovare un nuovo equilibrio. Iniziamo dagli spazi e dal tempo: è importante riorganizzare la casa secondo i nostri nuovi bisogni, creando routine quotidiane che rispecchino il presente.

Allo stesso tempo, può essere utile stabilire modalità di comunicazione equilibrate con i figli, trovando il giusto spazio per dedicarci – finalmente! – ai progetti personali che abbiamo rimandato.

Se si è in una relazione è, poi, il momento di riscoprire la dimensione di coppia attraverso attività condivise, di rafforzare le amicizie esistenti e crearne di nuove. Partecipare a gruppi o associazioni basati sui nostri interessi può essere un’idea, così come dedicarsi al volontariato o all’impegno sociale per avere un rinnovato senso di scopo.

Questa fase infatti può essere anche un’ottima opportunità per la crescita personale e professionale. Possiamo valutare corsi di formazione o aggiornamento, esplorare nuove possibilità lavorative o di volontariato, dedicarci a hobby creativi o intellettuali.

L’importanza della gradualità

Prepararsi al “nido vuoto” non significa amare meno i propri figli o essere “cattive madri”. Al contrario, è un atto d’amore verso sé stesse e verso la famiglia: una mamma serena e realizzata è il regalo più prezioso che possiamo fare ai nostri figli che si preparano a spiccare il volo.

L’aspetto più importante è intraprendere questo percorso gradualmente, senza colpevolizzarci per i momenti di malinconia o incertezza. Non si tratta di cancellare il nostro ruolo di madre, ma di arricchirlo con nuove dimensioni della nostra identità. L’importante è procedere con i propri tempi, ascoltando i propri bisogni e desideri, costruendo passo dopo passo una nuova quotidianità ricca di significato.

Non esistono infatti tempi “giusti” per attraversare questa fase. Ogni donna ha il suo percorso unico e ognuna merita di viverlo senza fretta e senza giudizio.

Quando chiedere aiuto

Come psicologa, spesso sento dire: “Sarei dovuta venire prima”. Ma non è sempre facile distinguere tra una naturale malinconia e un disagio più profondo che richiede un supporto professionale.

Se per diverse settimane vi ritrovate a sperimentare

  • difficoltà nel trovare gioia nelle attività quotidiane;
  • disturbi del sonno;
  • cambiamenti significativi nell’appetito;
  • pensieri ricorrenti di inadeguatezza;
  • difficoltà a immaginare il futuro;
  • isolamento sociale.

sappiate che non siete sole in questo percorso.

Che decidiate di affrontarlo con il supporto di un professionista o con l’aiuto della vostra rete di affetti, l’importante è essere gentili con voi stesse e dare al cambiamento il tempo necessario per manifestarsi pienamente.

Come amo dire alle donne che incontro, non stiamo parlando di un nido che si svuota, ma di ali che si aprono. Le vostre!