Mentalizzazione: cos’è e come si sviluppa

La mentalizzazione si sviluppa già nella prima infanzia e condiziona il rapporto con sé e con gli altri durante tutta la vita

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Tatiana Maselli

Erborista ed Editor specializzata in Salute & Benessere

Laureata in Scienze e Tecnologie Erboristiche, ambientalista e appassionata di alimentazione sana, cosmesi naturale e oli essenziali, scrive per il web dal 2013.

Cos’è

La mentalizzazione è un concetto che ha visto la luce all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso per poi essere successivamente approfondito. Sebbene inizialmente possa sembrare un pensiero assai complicato, in realtà si tratta di qualcosa di semplice, sovrapponibile al concetto di intelligenza emotiva e connesso alla psicoanalisi, alla filosofia, alla neurobiologia e altre materie che si occupano di studiare il comportamento e le emozioni dell’essere umano.

Per capire cos’è la mentalizzazione bisogna però fare un piccolo passo indietro e partire dall’empatia. L’empatia è la capacità di immedesimarci nell’altro e comprendere ciò che prova una persona esterna a noi, immaginandolo. La capacità di mentalizzare è, per dirlo con parole semplici, la capacità di immaginare ciò che l’altra persona sta provando, mettersi nei suoi panni e vedere le cose dalla prospettiva dell’altro.

Secondo Peter Fonagy, psicologo, psicoanalista e autore di diversi testi sulla mentalizzazione, il termine sta a indicare l’attività immaginativa della mente che consente di percepire, comprendere e interpretare i comportamenti degli altri come conseguenze di uno stato mentale, dove per stato mentale si intende l’insieme di bisogni, desideri, aspettative, convinzioni, sentimenti. Grazie a questo processo, insito nella natura umana, non ci si limita a osservare le azioni altrui ma anche a dare loro un significato. Ad esempio, noi esseri umani siamo in grado di comprendere se un comportamento è intenzionale, casuale e da quali emozioni o sentimenti possa derivare. La mentalizzazione però non riguarda solo le azioni e i comportamenti degli altri ma anche i propri: siamo dunque in grado di osservarci da fuori e comprendere le ragioni che ci muovono e questo è importante per essere coerenti con se stessi anche quando le condizioni esterne subiscono un cambiamento.

L’atto di mentalizzare è sia conscio che inconscio e, se non fossimo in grado di farlo, la nostra storia personale sarebbe frammentata e incoerente e non saremmo in grado di avere relazioni stabili a causa di fraintendimenti del comportamento degli altri: gli errori di interpretazione relative alle motivazioni che muovono chi ci si sta vicino potrebbero portare a rabbia, tristezza o ad altri sentimenti negativi che intaccherebbero il rapporto.

Come si sviluppa

La mentalizzazione si sviluppa durante l’infanzia grazie alla relazione con le persone che ci accudiscono. Già dai primi anni di vita e nel corso dello sviluppo, gli esseri umani acquisiscono la capacità di comprendere le emozioni degli altri apprendendola da coloro che se ne prendono cura, che si tratti dei genitori naturali o altre figure. La mentalizzazione è dunque una competenza legata alle esperienze di attaccamento con il caregiver, cioè la persona (o le persone) con cui si creano le prime relazioni importanti e dal quale impariamo di essere dotati di stati mentali.

Come impariamo? Innanzitutto per sviluppare questa competenza è indispensabile che gli adulti che si prendono cura del bambino siano in grado d mentalizzare e che dunque risponda alle azioni del bambino in modo coerente. Questo è un punto importante poiché le reazioni dei bambini sono legate a quelle dell’adulto perché la sua emotività si rispecchia in un certo senso in quella della persona o delle persone che ha come riferimento e, con il tempo, tali reazioni diventano istintive e naturali. Inizialmente, infatti, un bambino non sa come dovrebbe reagire di fronte al proprio stato mentale e cerca risposte in chi si prende cura di lui, che deve essere in grado di definire in modo adeguato gli stati mentali o emotivi del neonato o bambino, incapace di definirli in modo autonomo. Ecco perché, ad esempio, quando un bambino molto piccolo cade, prima guarda i propri genitori e solo successivamente decide quale sia la reazione appropriata. Se i genitori sono visibilmente preoccupati e in ansia, probabilmente il bambino piangerà, mentre se invece i genitori si mostrano sereni, il bambino potrebbe avere una reazione completamente diversa. Una volta apprese le modalità con cui reagire, queste diventeranno automatiche, dunque la mentalizzazione viene in un certo senso ereditata. In base alla qualità delle relazioni con i propri caregiver, infatti, il bambino ottiene un’educazione relazionale e affettiva.

Perché la mentalizzazione si sviluppi è indispensabile l’interazione con gli altri, almeno nelle prime fasi di vita, rappresentati inizialmente dai membri della famiglia e successivamente insegnanti, compagni di scuola, amici. Proseguendo nella crescita e relazionandosi con sempre più persone, il bambino impara a comprendere, ad esempio, se un suo compagno o amico si comporta in un certo modo casualmente o volutamente e a capire lo stato mentale che porta a determinate azioni. Il percorso che porta a comprendere lo stato mentale che porta ad agire e reagire in determinati modi, avviene anche all’interno di sé, non solo all’esterno: mentre si acquisisce questa capacità verso le esperienze altrui, contemporaneamente, tale capacità viene acquisita anche su se stessi ed è così che si sviluppa, o si dovrebbe sviluppare, una profonda conoscenza di se stessi fondamentale e indispensabile per mentalizzare l’esperienza degli altri. Più l’essere umano cresce più è in grado di conoscersi e comprendere se stesso e le altre persone con cui entra in relazione.

Come migliorarla

Sebbene si tratti di una capacità comune a tutti gli esseri umani, l’atto di mentalizzare varia da persona a persona in base alle esperienze a all’ambiente circostante, soprattutto quello familiare. Una buona capacità di mentalizzazione consente di sviluppare una maggiore abilità a intuire e comprendere i propri stati mentali e quelli degli altri, a gestire al meglio le proprie emozioni e ad avere relazioni interpersonali più sane e soddisfacenti. Cosa fare se invece non si è sviluppata questa capacità in modo appropriato e le proprie relazioni ne risentono? Si può intraprendere un percorso psicologico per aumentare la conoscenza di sé, dei propri stati mentali e dell’abilità di mettersi nei panni degli altri.