Alludendo esplicitamente all’esistenza di magiche e misteriose corrispondenze tra fenomeni fisici e comportamenti sociali Goethe ha insinuato in tutti noi quel dubbio sulla veridicità di quella che spesso chiamiamo attrazione fatale. Lui, quelle percezioni, le definisce affinità elettive, in quel suo omonimo romanzo che, ancora oggi, è oggetto di discussione tra persone.
Perché è semplice nascondersi dietro le affinità elettive per giustificare la pulsione erotica che proviamo nei confronti di uno sconosciuto o quell’alchimia che ci porta all’infedeltà. Eppure, ammettiamolo, a tutti noi è capitato, almeno una volta nella vita, di sentirci connessi a una persona appena conosciuta.
Una sorta di percezione dell’Io dell’altro che, immediatamente, crea un’affinità con quella persona mai vista prima. Senza alcuna spiegazione logica, senza alcun preciso criterio. È questa l’affinità l’elettiva? E cosa accade quando questa sensazione si insinua tra l’affetto e i sentimenti che già nutriamo per qualcun altro?
Secondo Goethe, quando viviamo una situazione simile, in noi si replica quel fenomeno scientifico conosciuto come affinità chimica: alcuni elementi si legano con delle sostanze a discapito delle altre. E questo avviene perché il composto di partenza trova un’affinità maggiore con la nuova specie chimica rispetto all’affinità che aveva con il precedente componente.
Secondo lo scrittore tedesco, ancora, esiste una forza più grande di noi alla quale, nonostante gli sforzi, opporsi è impossibile. La ragione viene meno perché pare che questa forza abbia più potere di ogni scelta consapevole.
Ed è qui che entrano in dubbio le domande, senza risposta, delle persone: esiste davvero l’affinità elettiva o è solo un paracadute per giustificare i desideri e i capricci da soddisfare? Che dire però di chi ha abbracciato lo sguardo di quello sconosciuto, e in quello si è perso, fino a innamorarsi?
I più romantici potrebbero trovare nelle affinità elettive la spiegazione al colpo di fulmine. Che è vero, spesso si rivela in fuoco di paglia ma, a volte, diventa un grande amore. In effetti non siamo proprio come gli elementi che si incontrano in natura? Ci leghiamo, ci lasciamo per poi riunirci ad altri e poi, di nuovo allontanarci.
Alcuni si incontrano come amici e vecchi conoscenti che subito si uniscono e si accordano senza mutarsi reciprocamente in nulla, così come si mischiano l’acqua e il vino. Altri invece restano estranei uno accanto all’altro e non si congiungono neppure quando siano mescolati e strofinati meccanicamente; così come l’olio e l’acqua che, agitati assieme, tornano immediatamente a separarsi.[…] Chiamiamo affini quelle nature che incontrandosi subito si compenetrano e si determinano reciprocamente. Questa affinità è piuttosto evidente negli alcali e negli acidi, che sebbene siano opposti gli uni agli altri, o forse proprio per questo, si cercano e si compenetrano nel modo più netto, si modificano e, insieme, formano un nuovo corpo.
E forse Goethe aveva ragione: siamo attratti, inevitabilmente, da alcune persone e poi, di nuovo da altre. E questo giustificherebbe la fine di quelle relazioni apparentemente perfette che però giungono al capolinea lentamente, senza neanche rendersene conto. Così come spiegherebbe la nascita di nuovi amori, quelli sui quali non avremmo scommesso mai, quelli che arrivano “come per fortuna” e che ci sembrano siano sempre stati lì, ad attenderci.
E lo stesso principio è applicabile all’amicizia: conosciamo persone da una vita e per circostanze diverse le frequentiamo, salvo poi considerare amico qualcuno che magari è entrato nella nostra vita all’improvviso. E non è chimica questa? O fortuna come preferiscono chiamarla gli scaramantici o, ancora, destino per i più romantici. Alla fine, però, quello che conta è scontrarsi con chi sceglie di restare.