Quel secondo figlio che non è più arrivato

Ho desiderato ampliare la famiglia, avere un secondo figlio. Così ci ho provato, ma i mesi si sono trasformati in anni e io sono stata divorata dai sensi di colpa

C’è stato un tempo in cui ho creduto che la maternità non facesse per me, che non mi appartenesse per natura. Ero giovane e piena di sogni di realizzare, obiettivi da raggiungere, gli stessi che mi sembravano inarrivabili se avessi interposto eventuali figli tra me e loro.

Ma poi le cose sono cambiate, io sono cambiata. I sogni si sono realizzati, anche se in maniera imperfetta, e la presenza di tutto quello che mi circondava, seppur bellissima, non mi bastava più. Volevo diventare mamma e non perché subissi in qualche modo le pressioni sociali o mi sentissi incompleta come donna, ma perché lo desideravo, da dentro.

Il cuore, i muscoli del mio corpo, persino la mia anima mi mandava chiari segnali in questo senso. Così ho iniziato a interrogarmi sulla maternità, mi sono guardata intorno e ho smesso di credere che avere una famiglia volesse dire rinunciare al lavoro, alla carriera o alle altre passioni, anche se consapevole che tante cose sarebbero cambiate nella mia quotidianità.

Ma non sarei stata sola, al mio fianco in questo splendido cammino c’era il mio partner, e insieme e alla pari, avremmo condiviso tutto. Saremmo stati genitori.

Così sono diventata mamma di uno splendido bambino che ha riempito i miei giorni, che mi ha fatto dimenticare cosa volesse dire dormire 8 ore di fila o bere un bicchiere di vino in più dopo il lavoro e fare tardi con le amiche. Ma non mi è pesato perché tutto è stato straordinariamente ripagato dalla sua sola presenza. Certo l’equilibrio è stato labile, ma ho lavorato giorno dopo giorno affinché questo potesse essere un po’ più stabile.

La sua presenza mi ha trasformata, non solo nel corpo. In me è cresciuto il desiderio di ampliare la famiglia, di dare un fratellino o una sorellina al mio bambino, di aggiungere un posto a tavola. Del resto sono nata il 4 marzo, e questo mi pare sia il numero perfetto e fortunato della mia vita.

E ci ho provato ad avere un secondo figlio. Ma lui non è arrivato, mentre i giorni diventavano settimane, e le settimane mesi e poi anni. La speranza di provarci, e poi di farlo ancora, ha lasciato spazio ai sensi di colpa, perché quelli sì che trovano la via d’accesso in ogni momento della mia vita.

Le informazioni raccolte parlando con gli esperti, purtroppo, non hanno fatto altro che confermare i miei timori. La fase di decrescita della fertilità era cominciata e a una certa età diventa complicato avere bambini.

Ho pensato e ho creduto che fosse stata solo colpa mia. Che ho aspettato troppo per diventare mamma, che le mie paure di un tempo e le mie insicurezze, le mie credenze mi abbiano punita in qualche modo. Che la vita mi ha dato un dono, uno soltanto, di cui godere per tutta l’eternità, per farmi capire anche quello che ho perso aspettando così tanto.

Parlarne con gli altri non è consolatorio: “Avete già un figlio” – mi dicono – “Accontentati”. Insistono senza capire che non stiamo parlando di un capriccio, ma della mia vita, della mia famiglia.

I sensi di colpa, però, ora l’ho capito non aiutano nessuno. Se c’è una cosa che ho imparato, da mamma, è che non posso più essere egoista, neanche nelle emozioni e nel dolore che, inevitabilmente, si riflettono sul mio compagno e sul mio bambino. Così ho guardato loro e da loro ho tratto la forza per andare avanti. Magari troveremo insieme, tutti e tre, una strada per risolvere il problema, o magari quella strada resterà per sempre sbarrata. Ma io ho loro.