Perdonaci Cloe se non ti abbiamo compresa come meritavi. Se non ti abbiamo protetta

Quello che è successo alla professoressa transgender Cloe Bianco è un dramma che si traduce in una colpa di cui ci siamo macchiati tutti

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Sabina Petrazzuolo

Lifestyle editor e storyteller

Scrittrice e storyteller. Scovo emozioni e le trasformo in storie. Lifestyle blogger e autrice di 365 giorni, tutti i giorni, per essere felice

Conosco persone che non hanno paura di navigare a vele spiegate verso l’oceano, anche se sanno che si imbatteranno in una tormenta, anche se le probabilità di perdersi sono una certezza. Ne conosco altre, invece, che vedono la sconfitta ancora prima di gettarsi al mare. Altre ancora, invece, si arrendono.

E non lo fanno per vigliaccheria o mancato coraggio, ma solo perché sono stanche. Perché quelle ammaccature si sono trasformate in voragini così profonde e dolorose che il cuore e l’anima non possono più sopportare. E tu Cloe, ne sono certa, eri una di queste.

La tua morte, così innaturale e così ingiusta, è qualcosa che tutti noi non potremmo dimenticare. Un suicidio che racconta ancora di un Paese che non fa fatica a pronunciare parole come inclusività e accettazione, salvo poi tirarsi indietro quando si deve passare ai fatti. E tu, Cloe eri un fatto, reale, bellissimo e sensibile.

Non eri una storia da mandare in pasto ai giornali, non eri la reazione “schifata” dei genitori, e neanche una propaganda politica nascosta dietro a quei valori da trasmettere agli studenti. Perché il vero valore era quello che trasmettevi tu, con il tuo insegnamento che ti è stato negato, con la tua passione, con il tuo desiderio di essere una donna libera.

E quanto è meschino parlare di valori sui quali si fonda il nostro Paese, quando l’unico valore da riconoscere era quello che avevi tu, nell’anima.

Qualcuno, parlando di te, ha detto che ti facevi chiamare Cloe. Non ha capito niente. Il tuo non era certo un’alias o un soprannome d’arte. Era il tuo nome, quello che rappresentava chi eri davvero. E sottolinearlo, purtroppo, mi fa comprendere che anche davanti a questo dramma non abbiamo capito niente.

Perché quello che ti è successo si traduce in una colpa di cui ci siamo macchiati tutti. Che poi la tua storia non era poi così diversa dalle nostre sai? Perché nella vita di tutti c’è sempre un prima e un dopo, un punto preciso che segna il cambiamento. Tu avevi avuto il tuo quando ti eri spogliata degli abiti di Luca Bianco e avevi indossato quelli di Cloe, e allora sì che eri diventata libera.

Ma non potevi saperlo che quella libertà di sarebbe trasformata in una gabbia eretta sull’ignoranza, il bigottismo e l’incomprensione. E chissà quanta fatica avrai fatto a combattere quei pregiudizi, quegli sguardi inquisitori e quella tremenda condanna di allontanarti dalla scuola dove insegnavi, dalla tua professione, dalla tua vocazione.

Continuo a leggere le ultime parole che hai scritto sul tuo blog, quello che forse avevi aperto con la speranza di poter cambiare le cose per te stessa e per tutti gli altri. Mi immagino di poterti parlare, di dirti che non sei sbagliata e mai lo sei stata, anche se ti hanno fatto sentire così. Ti direi di comprendere quell’ignoranza che nasce solo dalla scarsa conoscenza di qualcosa, e so che tu lo faresti perché il tuo cuore era grande e puro. Sensibile proprio come te.

Ed è forse stata questa la tua condanna. La generosità e il coraggio con i quali avevi scelto di raccontarti ai tuoi ragazzi, al mondo intero, perché sai, è più facile nascondersi dietro quei finti standard di perfezione che caratterizzano la nostra società, quelli che restano in piedi solo grazie alle menzogne. Avresti potuto farlo e non l’hai fatto, perché eri speciale. Eri coraggiosa.

Ma anche gli eroi ogni tanto depongono le armi, lo fanno perché sono troppo stanchi di continuare a combattere una battaglia che non aveva ragione di esistere. Così ti sei riparata nel tuo rifugio tra Auronzo e Misurina, in quel camper che era diventata la tua casa, e tra le fiamme hai detto addio a chi, prima di te, ti aveva fatto morire dentro.

Porrò in essere la mia autochiria, ancor più definibile come la mia libera morte – hai scritto prima di morire – In quest’ultimo giorno ho festeggiato con un pasto sfizioso e ottimi nettari di Bacco, gustando per l’ultima volta vini e cibi che mi piacciono. Questa semplice festa della fine della mia vita è stata accompagnata dall’ascolto di buona musica nella mia piccola casa con le ruote, dove ora rimarrò. Ciò è il modo più aulico per vivere al meglio la mia vita e concluderla con lo stesso stile. Qui finisce tutto”

Ed è finita davvero Cloe, è finita per colpa nostra. E ti chiedo di scusarci, di perdonarci se puoi, in qualsiasi luogo tu adesso di trovi. Con la speranza che ora lì tu sia per davvero libera come sognavi di esserlo.