Era meglio prima. O forse no

Persino noi, così come ci conoscevamo, apparteniamo al passato. Quindi forse non è vero che era meglio prima, perché quel prima non esiste più

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Sabina Petrazzuolo

Lifestyle editor e storyteller

Scrittrice e storyteller. Scovo emozioni e le trasformo in storie. Lifestyle blogger e autrice di 365 giorni, tutti i giorni, per essere felice

Spesso mi ritrovo a pensare al passato, a tutto ciò che è stato che poteva essere. Ai successi mancati, agli errori reiterati, ai fallimenti. E vi confesso che in realtà, questa immersione nei vecchi ricordi, è qualcosa che mi appartiene da sempre. Sono particolarmente affascinata dalla dolcezza malinconica della nostalgia, ma non vi nego che a volte mi spaventa ammettere quanto potere questa abbia su di me.

Perché poi, in un modo o nell’altro, finisco sempre col fare paragoni, concludendo i miei pensieri del giorno con quella frase che in realtà mette in dubbio tutte le cose che appartengono al mio presente. Ma davvero era meglio prima? E se lo era, in che misura?

Certo il confronto è piuttosto debole se guardo a tutto ciò che era la mia vita prima dell’emergenza sanitaria. Perché il Coronavirus mi ha tolto tanto, e probabilmente ha tolto qualcosa a tutti noi. Ed è inevitabile non smettere di pensare a come era la vita prima che parole come virus, lockdown e tamponi entrassero a far parte del mio lessico.

C’è chi diceva che ne saremmo usciti migliori. Io lo sostenevo a gran voce. Eppure più i giorni passano, più mi convinco del contrario. Mi basta dare uno sguardo ai social network, ai continui litigi e alle offese che vengono mosse da una parte o dall’altra solo per far prevale le proprie ragioni.

C’è stato un momento, però, in cui ho davvero creduto che tutto potesse cambiare in meglio. È stato quando mi sono sentita per la prima volta in vita mia parte di qualcosa di grandioso e straordinario. Avete presente i canti in balcone e gli abbracci con gli sguardi durante il lockdown?

Ma tutto è finito in fretta. Perché il disincanto si sa, è necessario alla nostra sopravvivenza. E ora che lentamente stiamo tornando alla normalità, io non posso fare a meno di chiedermi cosa vuol dire davvero tornare alla normalità. Perché ormai l’ho capito che indietro non si può più tornare. E questa è una verità che non si applica solo alla pandemia, ma a tutta la nostra vita.

Perché quelle situazioni che vivevamo, quelle abitudini che ci tenevamo strette, e quella quotidianità che vivevamo ogni giorno, ormai, appartengono al passato. Persino noi, così come ci conoscevamo, apparteniamo al passato. Quindi forse non è vero che era meglio prima, perché quel prima non esiste più.

Esiste un punto di rottura nella vita, ne esistono tanti in realtà, che può coincidere con un accadimento drammatico, con una delusione, con un nuovo lavoro o un trasferimento. Ecco, quello segna un nuovo inizio di cui dobbiamo prenderne onestamente e razionalmente atto, perché è in quel momento che tutto cambia.

Nel suo romanzo L’ignoranza, Milan Kundera scrive che “La nostalgia è la sofferenza provocata dal desiderio inappagato di ritornare”. E questo mi fa pensare. Non tanto ai luoghi fisici custoditi nella mia memoria, quanto alle sensazioni, alle emozioni e ai sentimenti che mi appartenevano. A quegli attimi fugaci che non sono più tornati.

Certo è bello pensarci, perché questa dolce e amara nostalgia ci dà un potere grandissimo, quello di viaggiare nel tempo conservare i ricordi più belli nel cuore, alla stregua di un tesoro prezioso. Ma quello che è un viaggio quasi mitico e leggendario non può trasformarsi in un fuga dal presente, ora lo so.

È per questo che ho deciso che non trasformerò la mia vita di oggi nel fantasma di quella precedente. Al contrario farò tesoro di quel passato per aprirmi al nuovo, per promuovere il cambiamento e accogliere un nuovo inizio. Perché del resto, ricominciare, è sempre bellissimo.