Vittoria Nenni, Auschwitz e il coraggio di non guardare indietro mai

La teca che ad Auschwitz la ricorda riporta le sue ultime parole: "Dite a mio padre che non ho perso coraggio mai e che non rimpiango nulla"

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Sabina Petrazzuolo

Lifestyle editor e storyteller

Scrittrice e storyteller. Scovo emozioni e le trasformo in storie. Lifestyle blogger e autrice di 365 giorni, tutti i giorni, per essere felice

Anni fa, mentre seguivo un corso di formazione universitaria, mi sono ritrovata coinvolta in un progetto storico e culturale dai risvolti inaspettati. Il mio gruppo di lavoro si incontrava in Via Alberto Caroncini, a Roma, tra le sale della fondazione Pietro Nenni. In quell’occasione ho conosciuto Antonio Tedesco, Segretario generale della Fondazione Nenni che, proprio in quel periodo, stava lavorando al suo libro: Vivà. Tra passione e coraggio, la storia di Vittoria Nenni.

Devo ammetterlo, a quei tempi sapevo molto poco di Vittoria Nenni, figlia del politico e giornalista italiano, nonché leader del Partito Socialista Italiano, complici le poche e frammentate notizie arrivate fino ai giorni nostri. Ma, incredibilmente, più parlavano di lei, della sua storia, del coraggio sopra ogni cosa, più sentivo vivo quel rimpianto di un padre che temeva di non aver fatto abbastanza e quella sofferenza per il tragico epilogo che vive ancora oggi nei ricordi custoditi dalla famiglia alla stregua di un tesoro prezioso.

Vittoria Nenni, detta Vivà

Conoscere la storia di Vittoria Nenni restituisce la sensazione di entrare a far parte di qualcosa di grandissimo che non si è mai esaurito. E quel senso di familiarizzazione si esprime proprio con la spontaneità di chiamarla Vivà, come facevano affettuosamente suo padre e la sua famiglia.

La sua storia è indissolubilmente legata alla figura paterna, non solo per quel legame di sangue che intercorre tra un padre e una figlia, ma per l’influenza reciproca che uno ha avuto sull’altra e viceversa.

Quando Pietro Nenni, leader storico del Partito Socialista Italiano, si trasferisce nelle Marche tra il 1912 e il 1915 vive in prima persona lo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Ed è proprio nella speranza e nel buon auspicio per la fine del conflitto, che sceglie di chiamare sua figlia Vittoria alla nascita, il 31 ottobre del 1915.

Sin da bambina, Vittoria con sua madre e le sue sorelle, si trova spesso a cambiare città per seguire gli impegni lavorativi di Pietro, giornalista ed esponente politico.

Gli anni del Fascismo

Gli anni del fascismo cambiano tutto per la famiglia Nenni. Come molti degli esponenti attivi del movimento socialista, condivide lo stesso destino fatto di minacce e provocazioni, molte delle quali coinvolsero inevitabilmente anche i membri della famiglia, tra cui Vivà.

Il 1926 segna un punto di non ritorno per l’Italia. Con la promulgazione delle leggi eccezionali del fascismo, che coincisero con la trasformazione del Regno d’Italia nel regime fascista, furono soppressi tutti i partiti di opposizione e i sindacati, e insieme a loro finì la libertà. Per sfuggire alla repressione, Pietro Nenni fu costretto ad abbandonare il Paese, trasferendosi prima a Zurigo e poi a Parigi.

Parigi, l’amore e il coraggio

Parigi doveva segnare l’inizio di una nuova vita, lontano dalla violenza e dalla repressione italiana. E per un periodo fu davvero così, soprattutto per Vittoria. Vivà in quegli anni conobbe l’amore e fece suo quello stile di vita parigino che si sposava perfettamente con la vitalità che l’aveva sempre contraddistinta.

Si sposa giovanissima con Henry Daubeuf, un tipografo francese con il quale condivide la vita e le passioni. Scelgono di trascorrere le loro giornate in maniera spensierata, lontano dagli impegni politici portati avanti da Pietro Nenni. Ma quando anche Parigi viene avvelenata dal nazismo, la coppia capisce che non è più possibile far finta di niente.

Vivà e Henry entrano a far parte della Resistenza francese utilizzando la sede della tipografia per contribuire attivamente alla causa. Purtroppo, però, nel 1942, Daubeuf viene scoperto dalla Gestapo l’11 agosto a Mont Valérien viene fucilato.

Disperata per la sua scomparsa, e ignara di quanto fosse successo al suo grande amore, Vittoria Nenni si reca ogni giorno dalle forze dell’ordine per chiedere notizie sul marito, fino a quando la Gestapo l’arresta. Il suo destino non è ancora segnato, però, a lei viene offerta una vita di fuga: dichiarare la cittadinanza italiana per avere la libertà.

Ma Vivà non lo accetta, non lo fa perché sa che quella mossa potrebbe compromettere il lavoro di suo padre, intanto rifugiatosi a Palalda con il resto della famiglia, e che Mussolini potrebbe utilizzare questo favore per ricattare Pietro Nenni. Ma Vittoria non accetta anche perché spera che finendo in prigione può rincontrare il suo amato Henry.

Viene così portata nel carcere di Romainville. Le condizioni di vita durante i giorni di prigionia sono dure, ma Vivà stringe preziose amicizie che gli danno la forza di andare avanti. Sono le comuniste Yvonne Blech, Yvonne Picard e Charlotte Delbo, quest’ultima fornirà la più importante testimonianza delle atrocità della prigionia e del coraggio di Vivà anni dopo con il suo libro Le convoi du 24 Janvier.

Auschwitz, il viaggio senza ritorno

Romainville, però, si rivela ben presto solo una parentesi. Il 24 gennaio del 1943, oltre duecento donne vengono caricate sul treno 31000, tra quelle anche Vittoria Nenni. È questo l’inizio del viaggio senza ritorno verso Auschwitz. Dopo pochi giorni di viaggio, Vivà e le sue compagne vengono portate nel blocco 26 di Birkenau. Si ritrova a vivere e a condividere l’esperienza più faticosa della sua vita insieme ad altre donne ebree polacche. A loro sono destinati i lavori forzati tra i campi.

Nonostante la fatica, le scarse condizioni di igiene e la mancanza di cibo, Vivà e quelle che ormai sono le sue amiche, le sue sorelle, si infondono coraggio a vicenda. Immaginano il giorno in cui potranno uscire da lì e riabbracciare la famiglia, i loro amori. Ma questo non basta a risparmiare la vita di quelle donne. In pochissimo tempo, infatti, il numero di persone del convoglio 31000 si dimezza drasticamente.

Il tempo passa e la speranza di poter tornare a casa, di abbracciare la famiglia e di ritrovare il suo Henry tiene in vita Vivà, fino al 15 luglio del 1943. Sarà il tifo a farle esalare l’ultimo respiro.

“Non rimpiango nulla”

Così Vittoria Nenni muore ad Auschwitz. Lo fa perché ha il coraggio di non guardare mai indietro, lo fa perché sceglie consapevolmente di non piegarsi al ricatto e perché sa che non può abbandonare le sue sorelle. Ci è voluto del tempo affinché la famiglia, alla disperata ricerca di sue notizie, venisse a conoscenza del tragico epilogo della piccola e coraggiosa Vivà.

Il 10 agosto del 1945, Pietro Nenni incontrerà all’ambasciata italiana di Parigi Charlotte Delbo che le racconterà di quei giorni di prigionia e del coraggio di Vittoria manifestato giorno dopo giorno. Una teca ad Auschwitz ricorda oggi Vivà e le sue ultime parole: “Dite a mio padre che non ho perso coraggio mai e che non rimpiango nulla”.

Vittoria Nenni
Fonte: Wikimedia/Fondazione Nenni
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