Long Covid: i nutraceutici che possono aiutare a migliorare i sintomi

Con il prof. Giovanni Scapagnini parliamo di omega 3 e polifenoli e del loro ruolo per aiutare l’organismo a combattere i sintomi del long COVID

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Luana Trumino

Editor specializzata in Salute & Benessere

Laureata in Scienze dell’Alimentazione e Nutrizione Umana, da oltre 15 anni scrive di benessere, occupandosi prevalentemente del rapporto tra nutrizione e salute.

Una cura per il long Covid

Stanchezza, tosse, mancanza di concentrazione: sono alcuni dei sintomi del long Covid, quella condizione di persistenza di segni e sintomi che continuano o si sviluppano dopo un’infezione acuta da SARS-CoV-2, l’agente patogeno responsabile della malattia da coronavirus 2019 che ha causato una pandemia a livello globale caratterizzata da morbilità e mortalità in una scala senza precedenti. 

Oggi, alcune sostanze nutraceutiche potrebbero avere un effetto positivo sul sistema immunitario e migliorare la sintomatologia. A rivelarlo è il prof. Giovanni Scapagnini, uno dei massimi esperti di anti-aging, medico e neuroscienziato, Professore Ordinario di Nutrizione Clinica (MED 49) presso il Dipartimento di Medicina e Scienze della Salute, all’Università degli Studi del Molise. Nel suo intervento “Long Covid. Il ruolo della nutrizione funzionale” che si è svolto recentemente a Milano e organizzato da Inflammation Research Foundation, Equipe Enervit con il patrocinio SINSEB, l’esperto ha spiegato che numerose sostanze nutraceutiche, sotto forma di integratori alimentari, sono state proposte e spesso sperimentate clinicamente, per il loro potenziale di miglioramento della sintomatologia del long Covid: “Tra loro – ha dichiarato lo scienziato – oltre a specifici amminoacidi, vitamine e minerali, gli acidi grassi polinsaturi essenziali omega 3 sono oggetto di sperimentazioni cliniche e rappresentano un promettente strumento funzionale a supporto delle numerose manifestazioni cliniche del long Covid”.

Il ruolo degli omega 3 nel trattamento del long Covid

Gli omega 3, infatti, oltre a supportare la fisiologia del sistema cardiovascolare e del cervello, risultano fondamentali anche per un corretto funzionamento dei meccanismi di difesa immunitaria, giocando un ruolo chiave nella modulazione dei processi infiammatori.

“I mediatori specializzati pro-risoluzione (resolvine, protettine e maresine) – ha spiegato il prof. Scapagnini – sono sintetizzati proprio a partire dagli acidi grassi essenziali omega 3. Attraverso azioni specifiche le resolvine sono potenti molecole fondamentali a risolvere le infiammazioni e modulare il sistema immunitario”.

Ma non solo. Oltre ai nutrienti esistono una innumerevole varietà di sostanze non nutrienti, presenti nei vegetali, e di composti nutraceutici che hanno dimostrato un potenziale effetto positivo sul sistema immunitario, e che sono state sperimentate nel contesto del long COVID. 

“In particolare – ha sottolineato il medico – molecole appartenenti alla famiglia dei polifenoli, come le antocianine, la luteolina, la quercetina e la curcumina. Tutte queste sostanze non sono essenziali per mantenere le funzioni e il metabolismo cellulare, e quindi non hanno dei livelli raccomandati in linea guida nutrizionale, ma sappiamo da numerosi studi di osservazione e di intervento che possono apportare un beneficio su alcuni aspetti delle funzioni immunitarie, soprattutto sul controllo dell’infiammazione”.

Quando si parla di long Covid

“Il Covid-19 – commenta il prof. Scapagnini – è oggi riconosciuto come una malattia multiorgano con un ampio spettro di manifestazioni, e con sequele cliniche che perdurano settimane o mesi dopo l’esordio dei sintomi. Questa condizione associata a svariati sintomi di lunga durata è nota come sindrome post-acuta al Covid-19, o più generalmente come long Covid syndrome”.

Come si legge sul sito dell’Istituto superiore di sanità, infatti, se i sintomi continuano a manifestarsi oltre quattro settimane dall’infezione fino a 12 settimane, si parla di malattia Covid-19 sintomatica persistente; se i sintomi si prolungano per più di 12 settimane e non possono essere spiegati da nessun’altra condizione, si parla di Sindrome post Covid. Il long Covid include entrambe queste condizioni.

Sintomi

La stanchezza (58%) – racconta l’esperto – è il sintomo più comune collegato al long Covid, ed è spesso persistente dopo 100 giorni del primo sintomo di Covid-19 acuto. Sono stati segnalati molti altri sintomi come tosse, dispnea, difficoltà di memoria e concentrazione (la cosiddetta “brain fog”), disturbi del sonno, disturbi gastrointestinali e problemi muscoloscheletrici. I meccanismi all’origine delle manifestazioni croniche di Covid-19 non sono stati ancora completamente svelati, ma sono state sviluppate svariate ipotesi. Queste includono la persistenza virale associata a flogosi cronica, processi autoimmuni, alterazioni delle vie di segnale immunometaboliche, disbiosi, danno endoteliale e danno d’organo irrisolto”.

“È interessante notare – continua – che alcune delle caratteristiche immunologiche e sistemiche di long Covid ricordano quelle collegate a invecchiamento patologico e che durante la condizione di long Covidpossono aggravarsi condizioni degenerative preesistenti tipicamente collegate associate all’età, come la sarcopenia e il declino cognitivo”. 

Chi è più colpito

Le donne, chi ha un’età avanzata, chi è obeso o sovrappeso e chi è stato ospedalizzato per Covid-19. In quest’ultimo caso, vi è un’apparente correlazione con il numero delle patologie croniche preesistenti e con la gravità degli interventi richiesti (es. ricovero in terapia intensiva). La suscettibilità sembra, inoltre, aumentare con il numero di sintomi nella fase acuta (in particolare con la dispnea) ma l’associazione con la loro gravità non è ancora chiaramente definita.

Al momento mancano trattamenti specifici per il long Covid e la gestione del paziente si basa principalmente su trattamenti sintomatici e raccomandazioni per condurre uno stile di vita sano e attivo. L’utilizzo di nutraceutici come gli omega 3 e i polifenoli per migliorare i disturbi persistenti dopo l’infezione, dunque, potrebbe rivelarsi un’arma utile per ristabilire la qualità di vita del paziente colpito.