Pierfrancesco Villaggio ha trovato la forza di parlare della sua storia nello studio de La Volta Buona. Celebre figlio d’arte, ha affrontato un percorso complesso nel corso degli anni. Ha però avuto sempre al suo fianco il padre, il grande Paolo Villaggio, che ha ringraziato pubblicamente.
Il figlio di Fantozzi
Essere figli d’arte ha il suo indubbio peso. Nel caso di Pierfrancesco Villaggio, però, non c’è mai stato un conflitto professionale, per così dire. Si sa che il pubblico è spesso spietato e, come accaduto con Christian De Sica, i paragoni sono atroci.
A Caterina Balivo ha invece spiegato d’aver patito il fatto d’essere indicato come “il figlio di Fantozzi”. Una definizione che riduceva la carriera di suo padre a un personaggio, ignorando tutto il resto, in scena e non. Al tempo stesso, però, se stesso veniva ridotto al ruolo di “figlio di”. Un elemento in aggiunta alle varie fragilità che hanno probabilmente avuto un peso nel suo passato di tossicodipendenza.
Piero Villaggio, la malattia
Parla non a caso di malattia, Pierfrancesco Villaggio. Tiene molto a utilizzare questo termine, fondamentale nel sottolineare uno status di impedimento fisico e mentale del soggetto. Ci si esprime spesso con estrema durezza nei confronti di chi patisce tale condizione. Si grida a gran voce che si tratta di una scelta. In alcuni casi, però, può bastare anche una sola azione errata per finire in un tunnel che divora la propria esistenza.
Occorre aiutare e non condannare. È quello che pensava Paolo Villaggio, che non ha mai abbandonato suo figlio. Ha ammesso le proprie colpe, anche in televisione, in un periodo che viveva una piaga a causa della tossicodipendenza e, al tempo stesso, in una società che era ancora molto ignorante in materia.
“La tossicodipendenza oggi è più conosciuta ma allora nessuno sapeva in realtà che cosa fosse. Mio padre non avrebbe mai potuto risolvere un problema del quale neanche io conoscevo le ragioni. Non credo lui abbia sbagliato o qualcuno abbia fatto qualcosa di giusto. È una malattia, come l’alcolismo”.
Il viaggio in comunità
Caterina Balivo racconta poi un episodio che ha fatto da spartiacque nella vita di Pierfrancesco Villaggio. Suo padre era disperato e, durante un viaggio, affittò un’auto e con l’inganno portò suo figlio nella comunità di San Patrignano.
Un’ennesima prova d’amore, da padre di un genitore che oggi, conscio dei grandi sacrifici, suo figlio dice che non avrebbe mai cambiato. Ha ancora una grande ammirazione per lui ed è in grado di comprendere che grande sacrificio ci sia stato dietro quel gesto.
“Ero un po’ risentito all’inizio. Non mi sentivo però tradito. Pensavo di sapere come mi aspettava e non ne ero felice. È stato diverso da ciò che credevo. Stare in comunità è difficile ma, ripeto, non c’è stato alcun errore. Come avrebbe potuto fare, altrimenti”.
Una storia a lieto fine, tutt’altro che scontata. Suo padre gli ha salvato la vita e lui ne è consapevole. Spiega come nessuno possa sapere, in effetti, come sarebbe proseguita la sua vita senza quel viaggio della speranza. Una certezza però c’è e risiede nella storia di altri suo coetanei: “Non credo sarebbe finita tanto bene. Purtroppo vecchi colleghi d’allora non se la passano bene. Probabilmente molti sono morti”.