Belen esagera con Photoshop, alla Littizzetto non sfugge il ritocco

Una delle foto di Belen su Instagram ha attirato l'attenzione di Luciana Littizzetto che, a Che tempo che fa, ha fatto notare un pollice decisamente fuori dalle misure normali

Foto di Martina Dessì

Martina Dessì

Lifestyle Specialist

Content editor di tv, musica e spettacolo. Appassionata di televisione da sempre, designer di gioielli a tempo perso: ama i particolari, le storie e tutto quello che brilla.

Pubblicato: 29 Novembre 2021 14:07

Il fotoritocco gioca brutti scherzi. Lo sa bene Belen Rodriguez, che spesso si è ritrovata a dover far fronte a una serie di critiche che hanno riguardato un certa tendenza a mettere mano alle immagini, con una post produzione forse un po’ troppo accentuata. A essere stata presa di mira da Luciana Littizzetto a Che tempo che fa, è stata una delle ultime foto comparse su Instagram e in bianco e nero. Il particolare non è di certo sfuggito alla comica torinese, che l’ha evidenziato nel corso del suo consueto intervento della domenica sera.

Belen e quel pollice sospetto

A scatenare i dubbi sulla veridicità della foto condivisa da Belen, è stata la dimensione del pollice che è apparsa piuttosto fuori misura. La Littizzetto ha scherzato su questo ma ha anche sottolineato come tutti si siano concentrati sul particolare, trascurando invece la bellezza della showgirl che si è mostrata senza veli.

“In natura succede, per esempio Nosferatu aveva dei pollici lunghissimi – scherza la Littizzetto – anche il gibbone, ha un pollice lunghissimo. Hanno detto che ha fatto un ritocco di Photoshop, ma secondo me sono le malelingue. Secondo me lei si è rifatta il pollice”.

Quelli che si sono concentrati sui dettagli, quindi, si sono persi la bellezza del corpo di Belen che è rimasta indiscussa nonostante qualche piccola esagerazione con il photo editing che ha compromesso la lunghezza normale del suo pollice. Niente di male, se invece ci si focalizza sul resto e non su quel particolare innocente che, davvero, non ha fatto male a nessuno (anche perché evidentemente non corrispondente alla realtà).

Il monologo di Luciana Littizzetto sulla violenza contro le donne

L’intervento di Luciana Littizzetto a Che tempo che fa è stato anche un’occasione per mettere l’accento sul delicato tema della violenza contro le donne, tornato al centro dell’attenzione in occasione delle riflessioni alle quali siamo state spinte dalla ricorrenza del 25 novembre. Una data, questa, che serve a rimarcare come ci sia ancora tanto, troppo da lavorare per eliminare ogni forma di violenza, di discriminazione, di attacco fisico e verbale:

“Caro Stato, sai quante sono le donne in Italia? Il 51,3%, e tante tantissime di loro ogni giorno sono picchiate, minacciate, calpestate e spesso uccise da un compagno o un marito violento. Si chiama femminicidio. E il femminicidio, caro Stato, non è quasi mai un evento imprevedibile. Per questo le donne quando denunciano devono essere credute e protette da subito. Perché mentre la giustizia è lenta, la violenza è molto molto veloce”.

E continua:

“Però poi sono le donne che dopo aver denunciato devono scappare, andare nelle case rifugio, e frequentare i centri anti violenza, che dio li benedica e lo stato li sostenga, cambiare identità e città… ma perché? Perché a pagare una doppia pena è sempre la vittima e mai il carnefice? E, caro Stato, non bastano le misure intermedie, tipo il divieto di avvicinamento. Ma cosa vuoi che gliene freghi a un pazzo violento che vuole a tutti i costi ucciderti il divieto di avvicinarsi. Non ci deve poter arrivare, a quella casa lì! Altrimenti a me donna passa la voglia di denunciare! lo capisci? Quindi ti prego, Stato. Appena la donna denuncia, il compagno violento deve essere messo in galera. O in uno spazio nuovo che ci inventiamo apposta. Una comunità di recupero. Un centro di accoglienza, un luogo controllato che gli impedisca di nuocere”.

Un argomento che ci tocca tutte da vicino, quello della violenza e del femminicidio, che necessitano di un’attenzione sicuramente maggiore rispetto a quella che hanno avuto in questi anni, in cui si è fatto davvero troppo poco per arginare il problema e sostenere tutte le donne che ne sono coinvolte, spesso costrette a cambiare casa, città, lavoro per sfuggire alla grinfie dei loro carnefici.