Da adolescenti non è il caso di farne un dramma, ma arrivate alla soglia dei trenta la verginità comincia a diventare ingombrante. Persino quando si tratta di una scelta consapevole è difficile scrollarsi di dosso la sensazione di essere rimaste indietro rispetto alle altre, come se si fosse saltato un rito di passaggio che permette di sentirsi pienamente adulte. Figuriamoci quando a decidere è stato il caso: a volte non c’è un motivo preciso per cui si rimanda la prima volta, semplicemente non è ancora successo.
Magari il grande amore non è mai arrivato, o magari non si è mai sentita l’esigenza di cercarlo. C’è chi ha dato la priorità prima allo studio e poi alla carriera, decidendo di mettere da parte gli appuntamenti e dedicando tutto il tempo libero agli amici o ai propri hobby. Oppure qualche appuntamento sporadico c’è stato, ma non si è mai riuscite a entrare in sintonia con una persona abbastanza da volerci andare a letto. E magari la timidezza si è ingigantita a ogni compleanno, facendo sentire sempre più insicure e meno disposte ad ammettere di non essere mai andate oltre un bacio, sempre che quel bacio ci sia stato.
Nel frattempo, le amiche si prendono e si lasciano, si scambiano aneddoti sui tipi più assurdi conosciuti su Tinder, rimpiangono quel momento di debolezza in cui sono finite di nuovo a letto con l’ex, vanno a convivere o si sposano, alimentando la sensazione di essere fuori sincrono con il resto del mondo, rare come unicorni.
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Quanti sono gli adulti vergini?
Forse avere sotto gli occhi i numeri aiuterebbe a sentirsi meno sole, anche se è difficile quantificare il fenomeno con esattezza. Per il momento l’ago della bilancia sono gli studenti universitari, in particolare quelli di statistica ed economia che hanno partecipato alle due grandi indagini sulla sessualità. In un articolo pubblicato su Neodemos i demografi Daniele Vignoli e Manuela Stranges fanno il punto sulla verginità al tempo dei millennial, confrontando i dati dell’indagine SELFY (2017) con quella dell’indagine SIS (2000). A essere ancora vergine nei primi due anni di università nel 2017 era il 18.8% dei ragazzi e il 21.1% delle ragazze, poco meno di un quinto del campione. Percentuali più basse rispetto al 2000, ma sicuramente lontane dal rappresentare un’anomalia.
L’età media della prima volta, poi, non è così bassa come si crede: dalla stessa indagine SELFY, commentata in maniera approfondita nel saggio Piacere e fedeltà (Il Mulino) da Daniele Vignoli e Gianpiero Dalla Zuanna, risulta che al primo rapporto “completo” si arrivi intorno ai 18 anni.
È una definizione restrittiva di verginità, lo ammettono anche i demografi, che per completezza includono una statistica separata per le prime forme di intimità, utilizzando il termine ombrello “petting”. Cosa vuol dire davvero essere vergini? «Tradizionalmente per verginità si intende il non aver mai avuto rapporti sessuali completi, il che per una donna eterosessuale corrisponde alla penetrazione: fisiologicamente è da questo momento in poi che ci si reputa non più vergini» osserva il dottor Giuseppe Iannone, psicologo, psicoterapeuta e sessuologo con sede a Monza e a Milano. «Detto questo, non sempre chi è vergine non ha mai avuto alcun tipo di esperienza sessuale in assoluto. Non si è però mai arrivate alla famosa prima volta, per scelta o perché non si è mai presentata l’occasione».
Le difficoltà da superare
In un mondo ideale la verginità non sarebbe più oggetto di dibattito, né in un senso né nell’altro. Peccato che per via dell’enorme significato personale e sociale che le si attribuisce sia ancora piuttosto complicato parlarne apertamente. Superata una certa età, potrebbe diventare difficile aprirsi senza paura di essere giudicate o di suscitare una curiosità che espone a domande invasive e talvolta inopportune. La possibilità che l’altro voglia mettersi a giocare allo psicanalista, attribuendo liberamente traumi infantili o presunte rigidità morali, è sufficiente a fare andare di traverso l’aperitivo a chiunque. E allora tanto vale restare a casa con un buon libro o uscire con le amiche di sempre, quelle che se ti compatiscono almeno non te lo fanno pesare.
«Socialmente siamo passati da un estremo all’altro: un tempo si dovevano esibire le lenzuola della prima notte di nozze davanti a tutto il paese, mentre oggi ammettere di essere vergini è fonte di imbarazzo. Escludendo le persone che fanno questa scelta in maniera consapevole, perché è in linea con i loro principi religiosi, arrivare vergini al matrimonio è considerato anacronistico anche per una donna» ragiona lo psicologo. Agli occhi degli altri si teme di apparire mancanti o incomplete, come se si fosse rimaste eternamente bambine. Non è detto però che si abbiano solo reazioni negative. «Chi finisce in una spirale di inadeguatezza sottovaluta la possibilità che un potenziale partner possa reagire in maniera positiva a questa rivelazione. L’altra persona potrebbe anche essere stupita nel senso buono del termine, curiosa senza essere invadente, addirittura sentirsi onorata di essere stata scelta dopo tanta attesa. O magari dopo lo sconcerto iniziale potrebbe mostrarsi molto rispettosa. C’è anche tanta gente empatica e comprensiva, bisogna solo dargli la possibilità di dimostrarlo».
Voler aspettare la persona giusta non è sbagliato, ma bisogna stare attente a non idealizzare l’amore temendo che non sarà mai perfetto come in una commedia romantica. «In questo caso idealizzare diventa un meccanismo di protezione, un modo per tenere vivo un sogno senza che la realtà lo faccia crollare. Non bisogna però dimenticare che l’amore inizia quando l’altro mi delude: è vero che non bisogna scendere a compromessi con i propri valori per adeguarsi alle pressioni sociali e che è giusto rispettare i propri tempi, ma non va bene neppure privarsi di qualsiasi esperienza relazionale e affettiva in attesa del principe azzurro. In amore bisogna formare la socialità, stare nel mondo, buttarsi nelle relazioni dando per scontato che non saranno perfette».
Certo, la situazione si complica ulteriormente quando si fa fatica a socializzare, ancora prima che a trovare il coraggio di buttarsi nella selva del dating. «C’è anche chi fatica a relazionarsi con le altre persone e quindi esce raramente. Magari sono persone molto riservate o persino scostanti, che non possiedono le abilità sociali necessarie per entrare in sintonia con gli altri» spiega lo psicologo. «In questo caso un buon consiglio potrebbe essere lavorare su questi aspetti e imparare prima di tutto a sentirsi a proprio agio con se stessi e con gli altri, senza dare troppa importanza al sesso».
Asessualità e verginità
Parlando dell’importanza (a tratti eccessiva) che si attribuisce al sesso, c’è anche chi si sente diversa perché si è ormai resa conto di non provare tutto questo interesse nei confronti della possibilità concreta di andare a letto con qualcuno. Magari si è innamorata, ma non ha mai considerato fondamentale far evolvere la relazione in questo senso. E trovare le parole per definire questo disinteresse senza ferire i sentimenti dell’altro non si è rivelato affatto facile, soprattutto se non ha mai sentito parlare di asessualità. «L’asessualità è un modo di essere che non va confuso con la castità o con l’astinenza, perché non ha a che fare con la volontà. A volte è difficile realizzarlo e spiegarlo agli altri perché si dà per scontato che il sesso renda felici. Ma il sesso non va idealizzato, non ha poteri magici, non è né la causa né la cura di tutti i mali. Insistere perché una persona perda la verginità o sia sessualmente attiva a prescindere dal suo sentire è una forzatura, perché il sesso non è una performance. Se una persona dovesse rendersi conto di non provare alcun interesse verso il sesso non significa che non lo integrerà mai in una relazione, ma sicuramente non sarà il suo primo pensiero. E va bene così, nella vita c’è anche altro» conclude l’esperto.