Tumore dell’endometrio, quando serve e per chi è indicata l’immunoterapia

Il tumore dell'endometrio generalmente si presenta dopo la menopausa.: l'immunoterapia si è dimostrata efficace nel combatterlo

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Pubblicato: 21 Maggio 2025 12:33

L’utero è fatto a strati. Quello più interno si chiama endometrio. E a volte si può ammalare, con le cellule che prendono una deriva maligna e possono dar vita ad un tumore. Pur se non esiste uno screening mirato, i sintomi possono indicare alla donna quando fare riferimento al ginecologo che può poi diagnosticare la lesione.

Inizia poi il percorso di cura, che sempre di più grazie alla ricerca offre l’opportunità di soluzioni specifiche, caso per caso, a partire dalla recente disponibilità di un trattamento di immunoterapia già in prima linea, in combinazione con la chemioterapia. Tecnicamente si parla di combinazione di dostarlimab (questo il nome del farmaco immunoterapico) con la chemioterapia.

L’Agenzia Italiana del Farmaco ha autorizzato questa indicazione per le pazienti “con carcinoma dell’endometrio primario avanzato o ricorrente con deficit del sistema di mismatch repair (dMmr) ed elevata instabilità dei microsatelliti (Mai-H), candidate alla terapia sistemica”. Tralasciando gli aspetti tecnici, si tratta di circa il il 20-30% dei tumori dell’endometrio primari avanzati o ricorrenti, che complessivamente incide con circa 9.000 nuovi casi l’anno.

Come nasce e si manifesta il tumore dell’endometrio

Siamo di fronte ad una forma tumorale che rappresenta poco più del 5% delle forme neoplastiche che interessano la donna. In genere si presenta dopo la menopausa, concentrando il maggior numero di casi tra i 50 e i 70 anni.

Il primo segnale che deve mettere in guardia la donna è la perdita di sangue anomala, molto comunque, che fa partire il percorso diagnostico assieme al ginecologo. Va comunque ricordato che con l’avanzare della lesione possono comparire perdite anormali e biancastre, dolore al ventre e addirittura difficoltà ad andare normalmente di corpo come se ci fosse una sorta di “barriera” al normale flusso delle feci all’interno dell’intestino, con una specie di occlusione. A volte, infine, possono esserci anche gonfiori alle gambe, se il tumore va ad interessare i linfonodi dell’area dell’inguine.

Dal punto di vista delle caratteristiche delle cellule si possono globalmente considerare due forme principali di tumore dell’endometrio. Quello endometrioide, con prognosi migliore, e quello che comprende altri istotipi e non appare direttamente associato agli ormoni.

Va detto che oggi questa modalità di classificazione sta lasciando il posto ad altre strategie di personalizzazione. Grazie all’analisi molecolare delle cellule si possono definire meglio gli approcci terapeutici ed anche le caratteristiche della prognosi.

Sul fronte dei possibili fattori di rischio, occorre sempre ricordare che l’aumento di peso gioca un ruolo importante, così come incidono negativamente sul profilo di rischio la presenza di ipertensione e l’eccessiva assunzione di alimenti ricchi di grassi di origine animale. Allo stesso modo le condizioni come la menopausa tardiva o l’assenza di gravidanza, con l’esposizione aumentata agli estrogeni legata a questa situazione, può influire sul rischio stesso.

Non bisogna poi dimenticare che ci sono anche condizioni legate all’ereditarietà, come sindromi genetiche. È il caso delle sindromi di Lynch, di Li Fraumeni e di Cowden. In particolare, è importante che in caso di diagnosi di Lynch i familiari della paziente vengano sottoposti allo specifico test genetico.

Perché si parla di immunoterapia e che prospettive si aprono

In termini generali, l’approccio terapeutico va modulato caso per caso, con lo specialista che può scegliere le cure integrando diverse strategie e modalità di trattamento.

Venendo più specificamente all’immunoterapia, il via libera delle autorità regolatorie per questa indicazione specifica segue i risultati dello studio Ruby che ha valutato l’efficacia dell’aggiunta di dostarlimab alla chemioterapia standard (carboplatino e paclitaxel) rispetto alla sola chemioterapia.

La ricerca “ha evidenziato una riduzione del 72% del rischio di progressione della malattia o di morte nelle pazienti dMmr/Msi-H (particolari caratteristiche del tumore) trattate con la combinazione – segnala Domenica Lorusso, direttore del programma di ginecologia oncologica dell’Humanitas San Pio X di Milano”. In un’analisi esploratoria pre-specificata della sola sopravvivenza globale (Os) nella stessa popolazione l’aggiunta di dostarlimab alla chemioterapia ha determinato una riduzione del 68% del solo rischio di morte rispetto alla chemioterapia”.

Alla fine, valutando quanto avviene, a 3 anni, il 78% delle pazienti trattate con dostarlimab e chemioterapia era vivo rispetto al 46% delle pazienti trattate con la sola chemioterapia. “Le curve del Ruby ci mostrano che stiamo guarendo queste donne: un verbo, guarire, che non avrei mai immaginato di poter usare per tumori recidivanti o che esordiscono al quarto stadio – segnala l’esperta. A questo punto non è utopia pensare che alcuni gruppi di pazienti potrebbero addirittura beneficiare della sola immunoterapia senza chemio”.

Le indicazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a scopo informativo e divulgativo e non intendono in alcun modo sostituire la consulenza medica con figure professionali specializzate. Si raccomanda quindi di rivolgersi al proprio medico curante prima di mettere in pratica qualsiasi indicazione riportata e/o per la prescrizione di terapie personalizzate.