Tubercolosi, malattia che non va dimenticata e che colpisce ancora

In occasione della Giornata Mondiale sulla Tubercolosi il punto sulla situazione in Italia e come proteggersi dalle epidemie

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Non è vinta la sfida alla tubercolosi. Anzi. Semmai è vero il contrario. Questa malattia infettiva tra le più antiche dell’umanità continua a rappresentare un problema per la salute pubblica in tutto il mondo. A farlo presente, una volta in più è la Giornata Mondiale sulla Tubercolosi, in programma il 24 marzo. L’obiettivo è riassunto nello slogan della giornata ‘’Yes! We can end TB’’: si mira a porre globalmente fine alle epidemie di tubercolosi entro il 2030, così come espresso negli Obiettivi dell’Agenda per lo Sviluppo Sostenibile dell’ONU1.

Tubercolosi, quanto è pericolosa in Italia

Le informazioni del ‘’Tuberculosis Annual Epidemiological Report for 2020’’, mostrano che l’Italia continua a rientrare tra i Paesi a bassa incidenza (<20/100.000). I casi sono in calo dal 2010 e l’incidenza calcolata sulle notifiche nazionali è anch’essa in diminuzione dal 2019 (2,3%). Per una corretta lettura di questi dati occorre tuttavia considerare che, come evidenziato nel report OMS, la pandemia da SARS-CoV-2 ha inevitabilmente determinato una diminuzione delle notifiche dei casi in tutto il mondo, che sono passate dai 7,1 milioni nel 2019 a 5,8 milioni nel 2020 (con un calo del 18%) tornando ai numeri del 20124.

Com’è ben noto, il nostro Paese è stato interessato e continua ad essere colpito sempre più intensamente da flussi migratori provenienti da Paesi in cui l’incidenza di tubercolosi è elevata. Le condizioni di sovraffollamento che possono verificarsi sia durante il viaggio che nei centri di accoglienza gravano sullo stato di salute dei migranti, facilitando la trasmissione del micobatterio. Dal momento che la maggior parte dei casi di malattia si verifica entro 2 anni dall’ingresso nel Paese ospitante e che la differenza nel rischio relativo tra stranieri e italiani è ancora evidente (RR=6,7), il contrasto alla diffusione della tubercolosi deve necessariamente passare attraverso una serie di interventi strutturati e coordinati in modo da ridurre il rischio di diffusione di questo pericoloso patogeno.

Il punto della sanità pubblica

In occasione della Giornata Mondiale sulla Tubercolosi, la Società Italiana di Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica (SItI) sottolinea l’importanza e l’urgenza di intensificare le azioni di contrasto all’infezione per raggiungere gli obiettivi prefissati dall’ONU. “L’individuazione precoce dei casi di infezione – segnala la Presidente SItI Roberta Siliquini – è necessaria per garantire l’accesso ad un trattamento precoce in grado di garantire una maggiore efficacia e la tutela della salute dei pazienti.

Occorre agire sulle condizioni di salute delle persone che giungono nel nostro Paese, sia tramite l’abbattimento delle barriere socio-linguistiche che attraverso l’attuazione di protocolli per la valutazione precoce dello stato di salute e per il monitoraggio nelle fasi successive all’accoglienza. È opportuno, inoltre, uno sforzo in maggiori investimenti nei Dipartimenti di Prevenzione, anche in termini di reclutamento di risorse umane, come in parte previsto dal piano di rafforzamento dell’assistenza territoriale, che possano svolgere un ruolo di coordinamento al fine di attuare una ricerca proattiva dei casi di TB, avvalendosi dell’ausilio della Medicina Scolastica, deputata alla prevenzione delle patologie in età scolare”.

Attenzione viene richiesta anche per altre condizioni patologiche che non vanno assolutamente sottovalutate. È il caso di malaria, malattie sessualmente trasmissibili, parassitosi e HIV. “Patologie che, negli ultimi anni, complice un plateau temporale nella loro prevalenza, hanno assottigliato il loro appeal verso gli investimenti in ricerca, nonostante continuino a determinare un importante impiego dei servizi sanitari e aggravare il peso della  multiresistenza farmacologica con un inevitabile impatto sulle condizioni di salute della popolazione – conclude l’esperta”.