Prostata, il tumore di lui può dipendere dai geni di lei

Fino al 10% dei tumori della prostata è associato a una mutazione genetica: chi è a rischio e come procedere per prevenirlo

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Quando si parla di BRCA 1 e 2, il pensiero corre subito ad Angelina Jolie. Grazie alla storia che l’attrice ha avuto la forza di raccontare, si è aperta in moltissime donne l’attenzione alla componente genetica come possibile meccanismo che innalza il rischio di sviluppare un tumore della mammella o dell’ovaio.

Ma la lezione di Angelina Jolie può essere di grande aiuto anche  per gli uomini, che magari non pensano sempre alla componente genetica all’origine di uno dei tumori più frequenti, quello della prostata. Eppure una percentuale fra il 5 e il 10% dei tumori della prostata è associato a una mutazione genetica ereditaria: chi ha familiarità dovrebbe consultare un genetista perché la conoscenza del rischio individuale può cambiare la storia naturale della malattia per sé e per i propri familiari. A dirlo sono gli esperti dell’IEO (Istituto Europeo di Oncologia).

Tumore della prostata, controlli e diagnosi precoci

La presenza di specifiche alterazioni genetiche germinali, che sono ereditate dai genitori e possono essere trasmesse alla progenie, aumenta il rischio di sviluppare un tumore prostatico. Ma l’informazione alla popolazione maschile su quando e come attivarsi per individuare tali mutazioni è purtroppo ancora frammentaria.

“È necessaria un’importante campagna di sensibilizzazione sull’importanza della familiarità per tenere sotto controllo il cancro prostatico, che in Italia è la malattia più frequente nei maschi, con oltre 470.000 uomini che hanno ricevuto una diagnosi e più di 36.000 nuovi casi ogni anno – spiega Ottavio de Cobelli, Direttore del Programma Prostata IEO. Sapere se si è portatori o no di una mutazione genetica può significare salvare la propria vita e la sua qualità e allo stesso tempo proteggere i propri figli, riducendo l’impatto globale di questo tumore.

Oggi esistono terapie mirate per i tumori ereditari, che purtroppo sono più aggressivi, ed esiste la possibilità di effettuare uno screening a cascata sui familiari sani a rischio, attivando programmi di sorveglianza e prevenzione.  Bisogna sempre ricordare che lo strumento più potente che abbiamo contro il cancro della prostata è proprio la prevenzione, nel suo significato di diagnosi precoce.

Un tumore scoperto in fase iniziale a seconda dei casi può essere tenuto sotto sorveglianza attiva oppure può essere rimosso con un intervento chirurgico mininvasivo robotico o con un breve ciclo di radioterapia, con ridotti effetti collaterali e senza bisogno di altre cure. La familiarità dà dei segnali fondamentali per la diagnosi precoce e le indicazioni possono arrivare anche dal ramo femminile della famiglia”.

Chi dovrebbe studiare il DNA

Le attuali linee guida per il tumore alla prostata raccomandano l’esecuzione della consulenza genetica, e quindi dell’eventuale test genetico, in pazienti che hanno già sviluppato un tumore della prostata particolarmente aggressivo e hanno un altro membro della famiglia che ha avuto questa neoplasia prima dei 60 anni.

Ma non basta, come ricorda Stefano Luzzago, della Divisione di Urologia dello IEO: “occorre valutare la situazione in individui sani che presentano in famiglia almeno tre persone con una diagnosi di tumore alla prostata sotto i 60 anni. Va posta attenzione anche agli elementi femminili della famiglia per la presenza di più casi di altri tumori, per esempio a seno e ovaio. Ai figli e ai fratelli di donne con una sospetta o già accertata mutazione germinale, per esempio nei geni BRCA, dovrebbe essere offerto il test genetico”.

A fare il punto sulle componenti da valutare provvede Bernardo Bonanni, Direttore della Divisione di Prevenzione e Genetica Oncologica e Coordinatore dell’HRC dello IEO. “I geni più noti per la predisposizione al cancro prostatico sono associati a un elevato rischio di sviluppare anche altri tumori: seno, ovaio, pancreas, colon-retto, endometrio, melanoma a seconda dei casi – fa sapere l’esperto.

Si tratta dei geni BRCA1 e soprattutto BRCA2, ma possono essere responsabili anche altri geni che, come BRCA1 e 2, sono coinvolti nei meccanismi di riparazione del DNA, tra cui ATM e i geni del MisMatch Repair (MMR) associati alla sindrome di Lynch, nonché i geni CHEK2 e HOXB13 (l’unico specifico per il cancro prostatico ma molto raro).

I pazienti portatori di queste mutazioni germinali, oltre ad avere più possibilità di ammalarsi, possono sviluppare neoplasie prostatiche in età giovanile, prima dei 50 anni. È molto importante sottolineare che essere portatori di mutazione significa avere una sindrome ereditaria che condiziona sempre un rischio multiorgano (one gene-more diseases). Per questo tali pazienti e i loro familiari mutati devono esse preferibilmente seguiti in specifici servizi clinici multidisciplinari come l’High Risk Center (HRC) che abbiamo in IEO – chiarisce il Dott. Bernardo Bonanni, Direttore della Divisione di Prevenzione e Genetica Oncologica e Coordinatore dell’HRC dello IEO”.

Cosa fare, quindi: converrebbe eseguire una prima visita urologica e l’esecuzione del test del PSA a partire dai 50 anni se non c’è una familiarità rilevante per il tumore alla prostata. Se un soggetto ha più familiari che hanno sviluppato questo tumore, occorre anticipare il primo controllo a 45 anni e a 40 anni se ha scoperto di essere portatore di una mutazione BRCA, in particolare se nel gene BRCA2. “Avere una mutazione di BRCA2 anticipa dunque di dieci anni l’età a cui andare dall’urologo e quindi permette dieci anni di prevenzione in più, aumentando di dieci volte la possibilità di tenere in scacco il tumore – conclude de Cobelli”.