Cos’hanno in comune l’attrice e popstar Selena Gomez, che ha più volte raccontato la sua convivenza con il lupus eritematoso sistemico, Lady Gaga, costretta a cancellare alcuni concerti per la fibromialgia, Dan Reynolds, frontman degli Imagine Dragons, bloccato dalla spondilite anchilosante, o l’attrice Kathleen Turner che soffre di artrite reumatoide? Tutti questi personaggi fanno i contri con una malattia reumatologica. E, come si vede, le donne sono più spesso chiamata in causa.
Di cosa parliamo? Il 12 ottobre si è celebrata la Giornata Mondiale delle Malattie Reumatologiche, che colpiscono fino a 6 milioni e mezzo di persona nel nostro Paese. Dalle malattie autoimmuni sistemiche, alle artriti infiammatorie, per arrivare alle forme degenerative, le malattie reumatologiche sono circa 200. Spesso croniche, non interessano solo le articolazioni ma anche muscoli, tendini, ossa e talvolta organi interni.
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La via della prevenzione, fin da giovani
Prima di tutto, non bisogna fare l’errore di considerare dolore, infiammazione ed impotenza funzionale come caratteristiche dell’esistenza della persona anziana. Occorre riflettere sulla situazione ben prima.
“Nell’immaginario collettivo sono ancora molte le false credenze che circondano le malattie reumatologiche – segnala Andrea Doria, presidente della Società Italiana di Reumatologia (SIR). Prima fra tutte, quella secondo cui interesserebbero solo pazienti anziani. In realtà possono colpire anche persone giovani-adulte, nel pieno della loro vita attiva, donne in età riproduttiva, bambini. Altro ingombrante falso mito è quello secondo sui sarebbero ‘ineluttabili’. Sebbene la componente genetica rivesta un ruolo importante in molte malattie reumatologiche, è possibile cercare di prevenirle”.
Purtroppo gran parte della popolazione non lo sa, non è consapevole del fatto che alcuni semplici comportamenti, come non fumare, avere una sana alimentazione, fare esercizio fisico, tenere sotto controllo il peso e proteggersi dalle infezioni con i vaccini, possono ridurre il rischio di sviluppare le malattie reumatologiche o ritardarne la comparsa, soprattutto se in famiglia c’è già qualcuno che ne soffre. I familiari dei pazienti, infatti, hanno un rischio aumentato del 10% di ammalarsi.
L’importanza della diagnosi precoce
Purtroppo, nonostante le buone abitudini, a volte le patologie reumatologiche si presentano. E vanno riconosciute prima possibile, anche perché si può, grazia al dosaggio di alcuni biomarcatori, come gli auto-anticorpi, consente di intercettarle addirittura prima che inizino a produrre sintomi. Ma questo spesso non avviene.
“Sono necessari in media 7 anni per scoprire di soffrire di artrite psoriasica, 5 per la spondilite anchilosante, 3 per la sclerosi sistemica e 2 per l’artrite reumatoide – ricorda Gian Domenico Sebastiani, past president SIR. Se non diagnosticate e trattate precocemente, queste malattie possono portare a danni irreversibili, con conseguenti costi sanitari (trattamenti farmacologici, ricoveri ospedalieri e riabilitazione) e sociali (giorni lavorativi persi, riduzione del reddito, necessità di sussidi di disoccupazione e invalidità). Solo l’artrite reumatoide in Italia ha un costo complessivo annuo di oltre 2 miliardi di euro.
Il problema del ritardo diagnostico è legato alla mancanza di specialisti reumatologi sul territorio, il cui numero andrebbe incrementato, e all’assenza di reti che consentano di prendere in carico i pazienti nel setting di cura più adeguato a seconda della complessità del singolo caso. Resta cruciale la formazione dei medici di medicina generale, che devono essere sensibilizzati all’individuazione delle nostre patologie, perché sono loro i primi referenti dei pazienti e hanno la possibilità di intercettare i possibili campanelli d’allarme. E occorre realizzare PDTA che definiscano un iter appropriato, secondo le linee guida, al fine di garantire al paziente la miglior assistenza possibile”.
Come cambiano le cure
Siamo arrivati al momento della diagnosi. La donna ha vista riconosciuta la causa delle sue sofferenze. Ed ha bisogno di essere presa immediatamente in carico dal reumatologo e iniziare le terapie. Prima questo avviene, maggiori probabilità ci sono di tenere sotto controllo le malattie reumatologiche affinché non provochino danni irreversibili.
Con l’impiego precoce dei farmaci oggi a disposizione, dai nuovi immunosoppressori, più maneggevoli, ai biologici che possono cambiare il decorso della malattia, la remissione è sempre più spesso possibile, anche per periodi prolungati.
“Negli ultimi 15 anni l’armamentario farmacologico per le malattie reumatologiche si è arricchito moltissimo, grazie a una conoscenza più approfondita dei meccanismi che stanno alla loro base – spiega Roberto Caporali, presidente eletto SIR. Oggi la nuova frontiera si chiama ‘medicina personalizzata’ e consiste nel provare a definire il farmaco giusto, per il paziente giusto, al momento giusto. Attraverso indagini precise, l’analisi dei biomarcatori e quella dei tessuti, possiamo cercare di trovare il farmaco migliore per ogni singolo paziente, riducendo il più possibile la quota di coloro che non rispondono alla terapia. È un approccio già utilizzato in altre aree terapeutiche che sta iniziando a essere percorribile anche in reumatologia”.