Long-Covid e serotonina nel sangue, cosa sappiamo

Uno studio dimostra che il long-Covid potrebbe essere causato da un deficit di serotonina: ecco cosa accade all'organismo

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Ci sono persone che riescono a superare l’infezione da virus Sars-CoV-2 senza alcuna difficoltà. E ci sono altri che, anche dopo che l’infezione si è spenta e le difese dell’organismo hanno avuto la meglio, continuano ad accusare segni e sintomi non solo fisici come debolezza protratta ma anche quadri di “stanchezza” cerebrale, come se una sorta di macigno invisibile si accumulasse sull’organismo. È in questi casi che si parla di long-Covid.

Tra le ricerche che analizzano questa situazione di permanenza prolungata dell’azione virale nell’organismo, uno studio pubblicato su Cell appare di grande interesse. Il Covid che si mantiene nel tempo, stando all’indagine condotta dagli studiosi dell’Università della Pennsylvania, sarebbe correlato ad una ridotta presenza di serotonina. Lo studio appare di grande importanza ed offre una chiave che permette di mettere in relazione la condizione debilitante con la presenza nel sangue di questo neurotrasmettitore, implicato tra l’altro nella patogenesi della depressione.

Cosa dice lo studio

La ricerca, va detto, parte dall’analisi del sangue e delle feci di persone con diagnosi di long-Covid, confrontati con quelli raccolti da persone che hanno superato senza sequele l’infezione e di altri soggetti che invece erano nelle prime fasi di acuzie del quadro clinico legato alla presenza di Sars-CoV-2. In particolare, a dare il la alla conoscenza è un dato che rivela come nelle feci di chi si ammala di long-Covid si manterrebbero porzioni del virus responsabile del quadro, che agiscono come elemento di “disturbo” sull’assorbimento intestinale (mediato dall’interferone stimolato dalla presenza del virus, proprio come reazione del corpo all’infiammazione) del triptofano.

Questo aminoacido, che il corpo non è in grado di produrre autonomamente (per questo fa parte degli aminoacidi essenziali), è alla base della sintesi di serotonina. Se è vero che un calo di serotonina nel sangue si può osservare in diversi quadri infettivi acuti, normalmente la situazione tende a normalizzarsi in poco tempo dalla guarigione. Nel caso di long-Covid, stando allo studio, questo non avverrebbe. La serotonina non torna ai valori osservati prima dell’infezione.

Il ruolo chiave della serotonina nel benessere psicofisico

Molti farmaci antidepressivi agiscono favorendo l’aumento della concentrazione di serotonina. Questo neurotrasmettitore favorisce la sensazione di benessere psicologico, e non solo, consentendo l’ottimale passaggio dei segnali nervosi. Per questo, quando ci si sente particolarmente giù, possono esserci anche deficit della serotonina, come peraltro avviene per altri neurotrasmettitori.

Secondo l’ipotesi prospettata su Cell, questa condizione potrebbe legarsi a long-Covid. E magari un deficit di serotonina (non va dimenticato che lo studio ha considerato un numero limitato di pazienti) potrebbe contribuire a spiegare il quadro, caratterizzato da segni e sintomi diversi, che si mantengono nel tempo anche mesi dopo che il tampone è diventato negativo e l’infezione è ufficialmente terminata. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha codificato questa condizione, con i disturbi che possono interessare diversi organi e comunque impattano pesantemente sulla qualità di vita.

Post-Covid o long-Covid?

I sintomi della sindrome post-Covid sono davvero vari. Si va dalla debolezza che non permette di fare sforzi fino all’ansia e all’insonnia, ma non mancano veri e propri dolori delle articolazioni e dei muscoli, oltre a cefalea, qualche linea di febbre e sensazione di malessere generale. In genere – ma non è una regola fissa – il quadro tende a presentarsi e a mantenersi nel tempo soprattutto quando i sintomi dell’infezione sono stati più seri. Attenzione però: è importante anche capire se si tratta di “long-Covid” o post-Covid.

Secondo gli esperti, probabilmente, le sequele persistenti di Covid-19 sono espressione di più sindromi risultanti da distinti processi fisiopatologici lungo lo spettro della malattia. Infine, non va dimenticata l’esistenza del neuro-Covid, nel quale l’azione dei bassi livelli di serotonina potrebbe risultare ancor più significativa.

Si sa infatti che a distanza di un anno dalla malattia ci possono essere in un certo numero di pazienti ancora alterazioni cognitive che in parte possono essere dovute ad alterazioni psichiche senza un correlato metabolico sul cervello ma, in poco meno della metà dei casi, possono essere correlate ad alterazioni del metabolismo cerebrale e, occasionalmente anche a deposizione di molecole tossiche per i neuroni.

La donna rischia di più problemi dopo Covid

Le osservazioni proponevano un maggior rischio di sequele di Covid per il genere femminile. Qualche tempo fa, a confermare questa osservazione specie per le donne che hanno avuto l’infezione in forma grave con necessità di ricovero. A segnalarlo è stata qualche tempo fa una rivista di altissimo livello scientifico – JAMA – in uno studio realizzato a cura dei numerosi esperti che fanno parte di un gruppo di lavoro chiamato “Global Burden of Disease Long Covid Collaborators”. L’indagine, che ha preso in esame i primi due anni della pandemia, segnala proprio le differenze di genere nel rischio di manifestare sintomi persistenti dell’infezione da Sars-CoV-2.

Le manifestazioni cliniche del long-Covid sono molto variabili e oggi non esiste un consenso unanime sulle loro caratteristiche, anche se è possibile distinguere manifestazioni generali come astenia, mialgie, artralgie, debolezza generale e quadri legati al benessere di un singolo organo come difficoltà a respirare normalmente, tachicardia, mal di testa inspiegabili e magari anche segni di reflusso gastro-esofageo. Il tutto prende spesso il via da una fortissima astenia, ovvero una stanchezza che pesa moltissimo sulla qualità di vita, che magari si associa anche difficoltà nelle normali attività del cervello. Ci si sente meno pronti a reagire e a seguire un percorso cognitivo più complesso come se tutto fosse da legare ad una sorta di “nebbia” che pare offuscare il normale funzionamento del sistema nervoso.